Urania Ligustica

La nuova scienza

Sandro Doldi

Scienza e tecnica in Liguria dal Settecento all'Ottocento (1984) 1

La nuova scienza


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Giovanni Battista Baliano (Genova 1582-1666) è ricordato nella città natale da un «archivolto» tra piazza Matteotti e via Canneto il Lungo dove era la residenza dei Baliano; da una tranquilla viuzza che, provenendo da piazza S. Leonardo, esce in corso A. Podestà proprio in quel punto ove trovasi il busto eretto in onore di quest'uomo, forse lì messo per ricordare l'impegno da lui dato (nel 1866 quando era sindaco di Genova) per l'urbanizzazione dell'altipiano di Carignano dove era la casa di campagna dei Baliano; ed infine da una scuola nei pressi di piazza Sarzano. Baliano discendeva da una famiglia patrizia originaria di Levanto, venuta a Genova nel 1370 (25). Numerosi componenti della stessa furono impegnati in importanti uffici pubblici ed anche Nicolò, padre di Giovanni Battista, fu senatore della Repubblica genovese. La famiglia Baliano era dunque per tradizione ricca di potere.

C. L. Bixio (26) afferma che in gioventù il Nostro lesse «ogni maniera di libro» con grande spirito critico contribuendo alla formazione di quella indipendenza scientifica che lo caratterizzò per tutta la vita. Infatti, egli preferiva «dar credito all'intelletto anziché all'opinione». Questo criterio costituì una premessa all'adesione alle nuove concezioni filosofiche che per merito di Galileo andavano consolidandosi in virtù del controllo sperimentale dei fenomeni naturali e — quando possibile — della verifica matematica dei risultati ottenuti (27). Si aggiunga che quel voler ragionare con la propria testa gli permise di mantenersi costantemente indipendente anche da Galileo, che allora dominava da sovrano nel campo delle scienze fisiche; tanto indipendente da poter talvolta liberamente dissentire dalle opinioni dello scienziato pisano come nell'ipotesi sulla causa del sollevamento dell'acqua nei sifoni. [<36-38>]

Infine, nel giovane G. B. Baliano — secondo la precitata fonte — era innata la tendenza all'invenzione ed al perfezionamento delle altrui invenzioni. Egli era stato presentato a Galilei da Filippo Salviati, patrizio fiorentino, con una lettera del 27 dicembre del 1613 nella quale così si esprimeva:

«Ho trovato qua un filosofo all'usanza nostra, garbatissimo gentilhuomo nominato il S. Gio. Batista Baliano. Lui filosofa sopra la natura, si ride di Aristotele et di tutti i peripatetici. È buon geometra, ecc.» (28). Inoltre, conosceva il «Discorso intorno alle cose che stanno sull'acqua», scritto da Galileo, punto di merito per l'ammissione tra le fila dei propri seguaci.

Nel 1611 la Repubblica genovese affidò a Baliano il primo incarico pubblico inviandolo a Savona in qualità di commissario di quella fortezza. L'incarico veniva rinnovato ogni sei mesi. Baliano fu a Savona tre volte in epoche diverse. Tra il 1611 ed il 1615, in seguito ad osservazioni colà fatte assistendo al tiro delle artiglierie, nacque in lui l'interesse per lo studio della caduta dei gravi.

Per i risultati di queste ricerche Baliano fu accusato da p. Ottaviano Cametti, monaco di Vallombrosa, di plagio in danno di Galileo, ma è da notarsi che Baliano volle essere imitatore di Galileo, ma indipendente, e che i due scienziati raggiunsero risultati simili servendosi di metodologie diverse. Tuttavia, neppure questa circostanza turbò i rapporti tra Baliano e Galileo, perché erano basati su reciproca stima.

Tornato a Genova, Baliano fece parte del «Magistrato delle Galee» e questa carica gli diede occasione, nel 1637, di «rendere più facile il remigare». L'invenzione fu descritta in «Novum inventum: triremen celerius et facilius ducendi».

Fu uno dei «Dodici Padri del Comune» i quali — ognuno col titolo di governatore — si occupavano di problemi della pubblica amministrazione, ed in questi avevano suprema autorità decisionale.

Nell'espletamento dei pubblici incarichi Baliano aveva la possibilità di mettere a profitto la propria abilità e le proprie conoscenze di ingegneria e di idraulica. Ebbe così occasione di occuparsi dell'acquedotto civico di origine romana e nel 1630, durante [<38-39>] l'esecuzione di alcuni lavori riscontrò che non era possibile sollevare — per mezzo di sifoni — l'acqua all'altezza di 70 piedi (m. 21,4) per superare un dislivello del terreno sul quale egli voleva far passare la condotta.

Su questa presunta «anomalia» Baliano pensò di interpellare Galileo e da questi ebbe in risposta che con le pompe che lavorano «per attrazione» — quali sono appunto i sifoni — non era possibile sollevare l'acqua oltre 18 braccia (= 32 piedi = 10,5 m.), e questo era vero. Del fatto diede tuttavia un'errata interpretazione affermando che una colonna di acqua avente all'interno del tubo altezza maggiore, si spezzava come si spezza una fune costretta a sollevare un peso troppo forte.

Baliano, per niente persuaso dell'esattezza di questa risposta, si mise alla ricerca della verità e formulò l'ipotesi che il sollevamento dell'acqua nel sifone fosse dovuto al peso dell'aria sovrastante il liquido. L'aver intuito che l'«aria» potesse avere peso quando le «arie» — cioè gli aereiformi — erano considerati «spiriti» (e forse van Helmont (1577-1644) non aveva ancora coniato il termine «gas»), è frutto di genialità e costituisce un notevole progresso nella conoscenza di quelle sostanze che noi chiamiamo «aeriformi». Questa concezione permise poi a Baliano di allargare la formulazione della propria ardita ipotesi rendendola universale (29). Secondo la stessa i corpi che si trovano sulla superficie terrestre sono immersi nell'aria e quindi sottoposti al peso della stessa, proprio come i corpi immersi nell'acqua sono sottoposti in ogni loro punto al peso di quella che li sovrasta.

Il devoto ammiratore dell'opera di Galileo non verificò sperimentalmente la propria ipotesi: può darsi che non ci abbia pensato, ma più probabilmente Baliano che — tutto sommato — era uno studioso solitario, non disponeva di adeguate apparecchiature di ricerca e quindi non era in grado di organizzare la verifica sperimentale della propria ipotesi. Lasciò a E. Torricelli (30) di continuare per la strada che egli aveva tracciato.

Baliano ebbe anche l'incarico di eseguire scandagli per accertare il grado di insabbiamento del porto di Genova nelle cui acque arrivavano i detriti portati dal Bisagno e dal Polcevera. Un secolo e mezzo dopo i tecnici di Napoleone affronteranno questo [<39-42>] problema con la stessa urgenza con la quale si occuperanno della rete stradale ligure.

In una relazione del 1656 si trovano descritte le nuove tecniche introdotte da Baliano per l'esecuzione degli scandagli tendenti a stabilire di quanto si era innalzato il fondale nei precedenti sessant'anni, tanti ne erano passati tra la prima misurazione del 1595 e quella da lui fatta nel 1655 (31).

Molto elevato doveva essere il senso di responsabilità di questo uomo nell'espletamento dei pubblici incarichi a giudicare dalla meticolosa preparazione che per questi eseguiva, comprendente anche l'acquisizione delle conoscenze sugli usi e consuetudini del tempo. Baliano aveva anche fama di uomo dotto, particolarmente versato nelle discipline allora ritenute indispensabili come la Teologia, la Giurisprudenza, la Medicina e la Letteratura. Fu membro dell'«Accademia degli Addormentati», fondata da Giulio Pallavicini verso la fine del XVI sec., accademia di poesia della quale era socio autorevole il savonese Chiabrera (32).

Si ricordano due concisi, ma autorevolissimi giudizi riguardanti l'opera scientifica di Baliano (33). Il «De motu graviorum» è il trattato «dove egli appare lo scopritore della legge di Galileo sulla caduta dei gravi». L'altro giudizio afferma che «Baliano ebbe, per primo, l'idea che fosse la pressione atmosferica a sollevare l'acqua nelle pompe» (34).

Dalla moglie Maria Garibaldi, lo scienziato e letterato G. B. Baliano ebbe dodici figli (quattro maschi ed otto femmine). Suo figlio Nicola ne ebbe undici (sei maschi e cinque femmine). La discendenza di G. B. Baliano arrivò oltre la metà del settecento (35).2



(25) Giscardi: Origine e fasti delle nobili famiglie genovesi. Si ricorda che è inesatto l'uso del cognome al plurale (Baliani) in quanto egli si firmava al singolare.

(26) Cesare Leopoldo Bixio: Ritratti ed elogi dei liguri illustri, Tipografia e litografia Ponthenier, Genova, 1830.
Concetti analoghi a quelli espressi dal Bixio si trovano nella prefazione dell'Editore (Gio. Franchelli, Genova) alla ristampa del 1792 delle opere di G. B. Baliano. Questa edizione riprodusse numerose lettere scritte da illustri uomini per far conoscere il loro giudizio sulle opere di Baliano.

(27) La filosofia di Aristotele (384-322 a.C.), essendo la più completa e la meglio rispondente ai bisogni dell'uomo, fu determinante nella formazione del sapere umano antico. L'«aristotelismo» è l'insieme delle correnti e dei sistemi filosofici che nell'antichità diffuse gli interessi fisici e naturalistici di questo filosofo.
La «Scolastica», sistema filosofico il cui nome deriva dalle «Scholae» per l'insegnamento teologico esistenti presso le cattedrali medievali, aveva assimilato l'aristotelismo per utilizzarlo nell'indagine religiosa e teologica, osservando come metodo il sillogismo deduttivo. Grande fu il contributo di Severino Boezio [<52-53>] (480-525), di S. Agostino (354-430), di Alberto Magno (1206-1280) e di Giovanni Duns Scoto (1266-1308); ma poderoso quello di S. Tommaso d'Aquino (1225-1274) concretato nella «Summa theologica». La «Scolastica» e la «Tomistica» dominarono incontrastate nel Medioevo.
Ogni testimonianza che si poteva trovare nell'«aristotelismo» e nel suo metodo aveva valore assoluto: «ipse dixit», quello che affermò Aristotele doveva essere accettato anche per i fenomeni naturali e fisici. Per questa estensione, che risultò dannosa, era del tutto inutile cercare di capirne le cause mediante la diretta osservazione degli stessi.
La prima voce dissenziente da questo comportamento fu quella di Ruggero Bacone (ca. 1214-dopo 1292), il quale dichiarò utile l'osservazione diretta dei fenomeni naturali, specialmente di quelli fisici. In questa affermazione sta il germe del futuro metodo sperimentale.
L'abbandono dell'aristotelismo avvenne molto lentamente e qui si ricorda solo l'opera di coloro che costituirono tappe significative come, ad esempio, lo spagnolo Raimondo Lullo (Ramon Lull – Palma di Majorca 1235 o 1236-Tunisi 1315). È l'autore dell'Arbor Scientiae (1295) nel quale oppose all'aristotelismo un proprio metodo di indagine e di argomentazione. Si incontra R. Lullo nella storia dei «computers», avendo egli realizzato un dispositivo meccanico-combinatorio per la determinazione dell'esistenza di Dio.
Fu a Genova tra il 1298 ed il 1309 e qui tradusse alcuni suoi scritti religiosi in arabo, intendendo diffonderli in Tunisia (Fedele Luxardo: Breve biografia di Raimondo Lullo e di Bartolomeo Gentile Fallamonica, Tipografia di G. Caorsi, Genova, 1866).
Il poeta Bartolomeo Gentile Fallamonica, fiorito a Genova nella seconda metà del XV secolo, del quale, secondo un esagerato giudizio dello Spotorno «nessuno dopo la Divina Commedia e prima dell'Orlando Furioso può sostenere il paragone» scrisse un poema formato da quarantadue canti (della «scoperta letteraria» diede notizia il 30 maggio 1821 la Gazzetta di Genova) nel quale a R. Lullo è assegnato il ruolo che Virgilio riveste nella Divina Commedia.
Circa tre secoli dopo Lullo, N. Tartaglia – forse per la prima volta in Italia – avanzò l'ipotesi che Aristotele potesse sbagliarsi.
William Gilbert (1540-1603), l'inglese cui spetta il merito di avere dato configurazione scientifica alle conoscenze allora disponibili sul magnetismo (l'unica branca della fisica di origine medievale), dichiarò che era inutile ricorrere alle sentenze dei dotti e dei filosofi per avere giudizi sui fenomeni naturali dal momento che chiunque poteva osservarli direttamente. Per questo Gilbert è ritenuto uno dei fondatori del metodo sperimentale.
Il francese René Descartes (1590-1650), a tutti noto per le sue applicazioni dell'algebra alla geometria, ammoniva che non si deve ammettere per vero se non quello che è stato con esattezza riconosciuto per tale.
E finalmente, G. Galilei (1564-1642) stabilì che ogni ipotesi deve essere controllata con adatto esperimento e convalidata dal calcolo matematico. Questo è il «metodo galileiano» che nei primi decenni del seicento riscuoteva simpatie e consensi presso parte dei dotti (chiamati «antiperipatetici»), ma era anche aspramente criticato da altri (i «peripatetici»).
Chiude questo excursus un altro Bacone, Francesco (1561-1626), il quale col Novum Organum (1620), propose di sostituire la logica dell'esperienza a quella dell'induzione a mezzo di sillogismi contenuta nell'Organon di Aristotele. [<53-54>]

(28) Le Opere di G. Galilei, Ed. Barbera, Firenze, 1934, vol. XI, p. 610.

(29) Vedi anche la lettera «De vacuo» scritta a padre Mersenne a Parigi, il 25 novembre 1647.
Marin p. Mersenne (1588-1648), francese, abate dell'ordine dei Minimi, discepolo di Descartes, faceva da intermediario tra gli scienziati suoi contemporanei, accettando da ognuno i risultati delle proprie ricerche per smistarli ad altri cultori delle discipline attinenti gli argomenti trattati.
A lui E. Torricelli comunicò i risultati dell'esperienza compiuta dal Viviani e la notizia – tramite questo religioso – giunse a Pascal (il quale fece finta di non averla mai conosciuta).
Dalle riunioni di scienziati organizzate da Mersenne, trasse origine l'Académie des Sciences (poi fondata da Colbert nel 1666). Per queste e per altre ragioni p. M. Mersenne portò un grande contributo allo sviluppo delle scienze fisiche e matematiche.

(30) Evangelista Torricelli (1608-1647), il più geniale discepolo di Galileo, col quale collaborò dal 1641. Tra il 1630 ed il 1640 aveva studiato con Benedetto Castelli. Nel 1642 successe a Galileo come «Matematico e filosofo del Granduca di Toscana». Per quanto riguarda la realizzazione del barometro vedi Doldi: [si tratta presumibilmente di Scoperte e invenzioni nell'era moderna (Genova, Sagep, 1982)], p. 76.
La sua opera fu tanto vasta da essere definito scienziato «eminently catholic», cioè universale, da Ch. Boyer, storico statunitense della matematica.

(31) A. Boscassi: Una relazione di Gianbattista Baliani sul Porto di Genova, in «Giornale Ligustico», nov.-dic. 1897.

(32) Gabriello Chiabrera (1552-1638), poeta barocco che tentò il ricupero della tradizione lirica greca.

(33) Poggendorff: l.c., vol. I e vol. I aggiunte, voce Baliano.

(34) G. B. Baliano pubblicò le seguenti opere:
De Motu naturali gravium solidorum, Genuae, 1638, Ferroni et soc.;
De Motu naturali gravium solidorum et liquidorum, Libri 6, Genova, 1646, per Pietro Giovanni Calenzani;
Trattato della pestilenza, 1647 (ristampato nel 1653);
Opera Omnia, Genova 1666, per Pietro Giovanni Calenzani.

Nel 1792, a Genova, presso Gio Franchelli, fu fatta una ristampa in 2 volumi con 10 tav. delle opere diverse di G. B. Baliano. Nel I volume sono trattati i seguenti argomenti:
De ambitu terrae
De Troclea
Novum inventum: triremen celerius et facilius ducendi
Quomodo cursus commodius sit vectoribus qui in illo vehuntur
Prisma laterum inequalium
De vacuo
De motu in vacuo
Gravia - Qua ratione descendunt.
Nel secondo volume i primi tre libri costituiscono il:
De Motu gravium solidorum
ed i successivi 3 libri il:
De Motu fluidorum. [<54-55>]
All'inizio di questa ristampa si trovano le seguenti lettere scritte al Baliani:
– da Cabeo, Ferrara, 26 gennaio 1639;
– da F. Liceti, settembre 1639;
– da B. Cavalieri, Bologna, 11 settembre 1639;
– da E. Torricelli, Firenze, 22 giugno 1647;
– da P. Mersenne, Parigi, 25 ottobre 1647;
ed inoltre, due lettere del P. Vincenzo Riccati (una delle quali in latino) in difesa del Baliano stesso dalle accuse di plagio mosse da P. Cametti.

(35) Le notizie riguardanti la discendenza di Baliano sono dovute alla cortesia di L. Alfonso, noto studioso di questo scienziato genovese.3




1 S. Doldi, Scienza e tecnica in Liguria dal Settecento all'Ottocento (Genova, ECIG, 1984); scheda bibliografica Link esterno OPAC SBN.

Fig. 10, p. 35: il ritratto inciso già in Mosele 1939. Fig. 11, p. 37: ritratto silografico del Tartaglia (cfr. p. 25). Fig. 12, p. 40: estratto della zona di Carignano, con l'indicazione della possibile villa di Baliano, da una carta di Genova. Fig. 13, p. 40: firma di Baliano in un documento dell'Archivio di Stato, Genova. Fig. 14, p. 41: frontespizio del De motu naturali gravium solidorum et liquidorum.

2 Ivi, pp. 35-42.

3 Ivi, pp. 52-55.



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