Urania Ligustica

La nuova scienza

Giovanni V. Mosele

Il carteggio fra G. B. Baliano e Galileo Galilei (1939) 1

La nuova scienza


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In un precedente studio sulle origini dell'Acquedotto Civico, pubblicato in questa stessa Rivista sul fascicolo di gennaio 1938, è stato da chi scrive accennato alla collaborazione tecnico-scientifica di G. B. Baliano per incarico avuto dalla Commissione preposta all'esecuzione dell'opera, ed al parere chiesto in proposito a Galileo Galilei.

Riteniamo opportuno tornare sull'argomento per riferire più diffusamente sul carteggio intercorso fra i due scienziati che getta una simpatica luce sui rapporti di collaborazione scientifica in quei tempi.


G. B. Baliano
(da una stampa)

G. B. BALIANO (da una stampa)


Premetteremo brevemente che Giovan Battista Baliano (1582-1666) nato in Genova da cospicua famiglia patrizia genovese, è notissimo agli studiosi specialmente per i suoi trattati «De motu naturali gravium solidorum» (Genova, 1638) e «De gravium solidorum et liquidorum» (Genova, 1646) comprendenti sei libri, dei quali i primi tre svolgono la teoria dei solidi e gli altri anche quella dei liquidi.

Va tuttavia ricordato che il Baliano dedicò fervida attività anche alla cosa pubblica. Infatti, nel 1611, per conto della Repubblica Genovese fu Commissario a Savona e, dal 1647 al 1649, vi fu Governatore. In Genova egli faceva parte del consesso dei dodici Padri del Senato, che avevano la suprema autorità nelle materie civili.

Il lungo carteggio tra Baliano e Galilei ha inizio da una lettera del 27 dicembre 1613 di Filippo Salviati, Accademico Linceo dal 1612, già scolaro del Sommo a Padova, e che al Maestro lo presentò con lettera, da Genova, con le seguenti parole: «Ho trovato quà un filosofo alla usanza nostra, garbatissimo gentil huomo, nominato il Signor Gio. Battista Baliani. Lui filosofa sopra la natura, si ride di Aristotile et di tutti i Peripatici. È buon geometra et m'ha detto che andò a Venetia apposta per vedere V.S. ... Si ride di chi ha scritto contro il vostro libretto, sebbene m'ha detto che ha notato alcune cose nel libretto di V.S. che non gli piacciano...» e subito dopo, il 13 gennaio 1614, Salviati riscrive a Galilei pregandolo di voler mandare, al Baliano, «il modo, o almeno quanto l'aria pesi rispetto all'acqua» e conoscendo la semplicità e la modestia del Baliano, gli raccomanda «se la gli scrive, dia del molto Ill.mo solamente».

Il 25 dello stesso mese, Galilei scrivendo al Baliano dice di mandare «le chieste lettere intorno alle macchie solari» e prosegue «il medesimo Signor Salviati mi scrisse, come la V.S. haveva veduto quel mio tratterello delle cose che stanno sull'acqua», perciò lo prega di comunicargli «le cose che non gli satisfano». Lo informa d'aver inviato al Salviati «un modo, delli tre che ne ho, di pesar l'aria...». «Il Signor Filippo, al quale ho conferito buona parte delle mie immaginazioni filosofiche, mi scrive haver trovato gran conformità tra le sue (del Baliano) speculazioni e le mie; di che non mi sono molto maravigliato, poiché studiamo sopra il medesimo libro e con i medesimi fondamenti».

Subito, il Baliano, il 31 stesso mese, rispondendo, [<3-4>] scrive per la prima volta al sommo uomo per ringraziarlo ed elogiarlo «per il trattato delle cose che stanno su l'acqua» e della «Historia delle macchie solari» sulle quali però fa lunghe (e profonde) osservazioni filosofiche sulla ruvidità e opacità della terra, chiede, se col telescopio, avesse «osservato la stella nuova che è nel petto del Cigno, ed avesse scorto qualche differenza dalle altre stelle. Mi pare che V.S. approvi le oppenioni del Copernico; e pur io crederei che le osservationi che si fanno col cannone circa Venere e le stelle Medicee e le macchie del sole, più tosto, provassero la flussibilità della materia celeste, onde par, che più tosto venga ad essere più provabile l'opinione del Ticone». Confessa che era convinto che il ghiaccio fosse più pesante dell'acqua: rinnova la richiesta di aver «la portione che ha ritrovato fra il peso dell'aria e quello dell'acqua», e comunica di aver trovato «un modo, a parer mio nuovo, di cuocere senza fuoco, mediante il moto di due ferri che si riscaldano insieme». Termina la lettera dicendo che la diversa intensità delle macchie del sole, può essere causata «dal più e men caldo», ma che può anche essere «sien caggione della varietà dei tempi e delle mutationi dell'aria», perciò «onde non sarebbe per avventura inconveniente farne [facendo] [N.d.A.] qualche esperimento si potesse prevedere le macchie alcuni giorni può esser che [per] [N.d.A.] questa via si possano prevedere i tempi per qualche giorni, che sarebbe di grandissimo giovamento a molti, e specialmente a' marinai».

Il 1° marzo appresso, Federico Cesi, il fondatore, dal 17 agosto 1603, dell'Accademia «dei LINCEI» (Caelivagus Lyncaeus) comunica al proponente Galilei: «Quanto alli Signori Antonini e Baliani, io sento con V.S.: aspetterò suo avviso, perché possa conferir il tutto a' S.ri compagni, ch'altro non desiderano che soggetti di tale eminenza, acciò, inteso il tutto, si venga all'ascrizione» (vedere a proposito i resoconti delle adunate annuali dell'Accademia del 26 gennaio 1616).

Con lettera del 12 marzo appresso, Galilei manda a Baliano il sistema per pesar l'aria già chiestogli dal Salviati e sollecitato anche dal Baliano, e dà le spiegazioni chieste precedentemente sulle «macchie solari», sulle «piazzette più lucide», sulla «sustanza delle stelle fisse e l'erranti», sulla «rudività dei pianetti» e nel contempo comunica «di non aver ancora osservato la stella nuova del Cigno», dimostra il perché egli «è più dell'opinione del Copernico che del Ticone». Si compiace dell'ingegnoso sistema trovato «di scaldar con 2 ferri» e lo prega di farglielo conoscere, «quando V.S. havrà diterminato di farne parte ad altri amici suoi...».

Con lettera del 4 aprile appresso, Baliano scrive a Galilei ed insiste sulle spiegazioni chieste precedentemente sulle variazioni delle macchie solari da lui stesso osservate a fine marzo scorso, variazioni che egli opina «dipendere dal cambiar di stagione e di temperatura». Dà particolari sul modo di aver trovato «di cuocere cose entro due vasi di ferro» senza il calore del fuoco.

Il 17 giugno 1615, Baliano scrive a Galilei chiedendo scusa di essere partito da Firenze senza essersi da lui licenziato; spiega le ragioni delle sue osservazioni fatte «hier sera sulle stelle Medicee»; dà notizia di aver incontrato «un che diceva d'aver trovato il tanto desiderato moto perpetuo; Egli è vero, che io non gli credo punto... Poiché mi parve che V.S. desiderasse vedere la propositione del Vieta, della proportione della forza che si richiede a tirar un peso sopra piani variamente inclinati, è la seguente...».

Con lettera dell'8 agosto 1619, Baliano spiega a Galilei i suoi dubbi circa il contenuto di un discorso delle Comete del fiorentino Mario Guiducci, dubbi e spiegazioni che si leggono in tre lunghe pagine.

Il 20 febbraio 1627, Baliano scrive al Padre Benedetto Castelli bresciano, informandolo intorno ai suoi studi ed esperimenti sulla velocità dei liquidi e delle difficoltà che incontra, non incontrate nei suoi precedenti studi «de' moti dei solidi», e della loro «maggiore o minore velocità ne' piani più o meno inclinati»; e il 28 maggio appresso, da Savona, lo informa di un suo «trattato del moto dei gravi», ma di non poter mandarglielo, perché non ha il tempo di ripulirlo né di metterlo in bello, «perché, per mia natura son più inclinato a crear le invenzioni delle cose e farne una certa sbozzatura malfatta, che ripulirle...».

Con lettera del 7 settembre 1629, Baliano presenta a Galilei, il Padre Francesco di S. Giuseppe de' P.P. delle Scuole Pie, dicendo: «lo raccomando a V.S. perché giovane virtuoso e studioso...», termina la lettera dicendo: «sto in continuo desiderio di veder uscire fuori qualche nuovo parto di V.S.».

E venendo a quanto accennato in principio, in occasione della costruzione del tratto del Civico Acquedotto da Trensasco a Schiena d'Asino, il nostro Baliano ricevette dalla Commissione preposta l'incarico di verificare l'andamento dei lavori e di riferire in merito.

In quell'occasione il Baliano, prevedendo i gravi inconvenienti e le forti spese di manutenzione derivanti dal lungo e tortuoso sviluppo dell'acquedotto, radente e seguendo tutte le sinuosità dei colli, delle valli e dei torrenti, fece studi per poterne ridurre al minimo possibile il percorso mediante l'uso di sifoni con tubi di rame, i quali dovevano convogliare le acque attraverso le valli valicando i torrenti.

Non avendo egli ottenuto, dai suoi esperimenti, gli effetti desiderati, il giorno 27 luglio 1630 si rivolge al sommo Galilei con la seguente lettera il cui [<4-5>] originale trovasi nella Bibl. Naz. Firenze, Mss. Gal., P. VI, T. XI, 134.

Recto della lettera Verso della lettera

FAX SIMILE DELLA LETTERA AUTOGRAFA
SCRITTA DA BALIANO A GALILEO GALILEI IL 27 LUGLIO 1630


Molt'Ill.re et Ecc.mo Signor mio Oss.mo,

Io vengo di rado a ricever favori da V.S., per non tediarla. Mi occorre un dubbio, che, non sapendol sciorre, mi è forza ricorrere da lei, pregandola che me ne dica ciò che le occorre.

Ci conviene far che un'acqua di due once di diametro in circa traversi un monte, e, per farlo, conviene che l'acqua salisca a piombo 84 palmi di Genova, che son circa 70 piedi geometrici; e per farlo habbiam fatto un sifone di rame, conforme il disegno inchiuso (1) , ove C.A. è il livello, A. ove si piglia l'acqua, B. ove ha da uscire, D. l'imbottatoio per dove si empie il sifone, D.E. l'altezza a piombo che l'acqua ha da salire. Però questo sifone non fa l'effetto desiderato; anzi aperto, ancorché chiuso dal di sopra, l'acqua esce da tutte due le parti, e se si tiene chiuso da una parte, aprendo dall'altra, ad ogni modo da questa esce l'acqua.

Io non mi posso dar a credere che l'acqua habbia in questa occasione voluto appartarsi dalle sue proprietà naturali, onde è forza che, uscendo l'acqua, vi sottentri aria nella parte di sopra: però non si vede di dove.

Avviene un'altra cosa che mi fa stupire; et è, che aprendosi la bocca A, esce l'acqua sin che dalla parte D. sia scesa per la metà in circa, ciò è sin a F, e poi si ferma. Io sono andato considerando se possa essere che il canale o sifone habbia qualche pori, ma che l'acqua non possa passarvi, e né anche l'aria senza gran violenza; e per ciò, se il canale è pieno, l'acqua A. sia tanto premuta, che faccia forza tale che l'aria sottentri per li pori che sono verso la parte di sopra, in modo che l'acqua possa scendere per quelli [<5-6>] sino a F. senza che vi rimanga vacuo; scesa poi in F, non restando nel canale altra acqua che la F.A, questa non habbia forza di far violenza tale all'aria, che possa sforzarla ad entrare per li pori sudetti. Il canale è di rame; è, come ho detto, due oncie di vano; pesa circa 14, ovvero 15 oncie per palmo; né, per diligenza usatavi si può veder che àbbia meati sensibili.

Ho voluto narrarle ogni cosa, afine che V.S. possa più facilmente ritrovar in che consista il mio errore, e favorirmi di avvertirmene. Sto con desiderio aspettando che sia uscito qualche suo nuovo parto; et a V.S. bacio per fine con ogni affetto le mani, con offerirmi prontissimo a ricever i suoi comandamenti. Di Gen.ª, a 27 di luglio 1630.

Di V.S. molto Ill.re et Ecc.mo
Sig.r Galo Gali

Ser.ore Aff.mo
G. B.ª Baliano.


Galilei risponde il 6 agosto appresso: «Mi dispiace bene che ella non abbia domandato il mio parere circa l'esito del sifone prima che la spesa fusse fatta, perché glie l'havrei potuta risparmiare col mostrare, s'io non m'inganno, l'impossibilità del quesito... per impulso l'acqua può essere spinta a qualunque altezza, anco di 1000 braccia... ma alzarla per attrazzione ci è una determinata altezza e lunghezza di canna, oltre alla quale è impossibile far montare l'acqua un sol dito, anzi un sol capello, e tale altezza parmi che sia circa 40 palmi, e credo anco meno...».

Come si vede Galilei spostò il quesito chiestogli; forse dipese in parte che Baliano non seppe esprimersi in modo abbastanza chiaro, ma è altresì certo che se Galilei avesse conosciuto la proprietà della pressione atmosferica, avrebbe risposto esaurientemente. È quindi logico pensare che il grande italiano non sapesse che all'epoca di Silla, 88 a.C., Betilieno Varo aveva costruito ad Alatri, in località Purpuro, un ponte a sifone rovescio per avviare le acque da una parte all'altra della valle e quindi in città, che all'epoca dell'imperatore Claudio (43 a.C.) fu costruito quello che con due ordini di tubi condottava l'acqua a Lione, e il terzo, quello sul fiume Fiora, Km. 11, dalla città di Volci in Etruria.

Risponde il Baliano con lettera del 24 ottobre 1630, ammettendo il suo errore dicendo: «Io non havea fatto distinzione che sia diverso il far salire l'acqua in un cannone per attrazzione o per impulso... io mi dava ad intendere che lo stesso dovesse avvenire per attrazzione, e perciò poco importasse che il sifone fusse rivolto all'ingiù ovvero all'insù»; prosegue per dimostrare la cagione del suo errore dicendo: «per dichiararmi meglio, come se l'aria pesa, non sia diferenza tra l'aria e l'acqua solo nel più o nel meno, è meglio parlar dell'acqua, il cui peso è più sensibile, perché poi lo stesso dovrà avvenire dell'aria...» e dopo aver detto le sue impressioni sull'azione di questa, prosegue: «Chi volesse trovar questa proportione, converrebbe che sapesse l'altezza dell'aria e 'l suo peso in qualunque altezza».

Questi concetti espressi dal Baliano, spianeranno, tredici anni dopo al Torricelli, la via alla scoperta del barometro.

Non crediamo fuor luogo riportare, per dimostrare in quale considerazione fosse tenuto il Baliano anche da Evangelista Torricelli, una sua lettera tolta «Dalle opere diverse» del Baliano, Genova, 1792, pag. 35.


Ho ricevuto finalmente il libro di V.S. Ill.ma il quale ha voluto osservare il costume delle cose più care, e più bramate, cioè di farsi aspettare un pezzo. Caggione di quella tardanza è stata ecc.

Ho ben letto qualche pagina così alla sfuggita, ed ho ammirato la ricchezza, sottilezza, e nobiltà delle materie, e sopra tutto la brevità impareggiabile, con la quale V.S. Ill.ma supera tutti gli antichi e moderni scrittori di Matematica, non escludendo neanco Archimede, né Appollonio medesimo.

Bisogna che io deplori la mia miseria, conoscendo la povertà delle mie leggierezze. Da Firenze 22 giugno 1647.


Più tardi, troppo tardi (vedi dissertazioni del Prof. Govi alla R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. II, pag. 562, anni 1866-67) Baliano venne acclamato «primo scopritore della pressione atmosferica».

Il giorno 23 aprile 1632, Baliano scrive a Galilei, e dopo averlo ringraziato del suo libro avuto «De sistemi del mondo» chiede con franchezza, che tanto distingue il Cavalier Genovese, spiegazioni sul suo contenuto «et è che il flusso non dovrebbe essere ogni dì alla stessa hora, ... ma che si anticipi ogni giorno circa 4/5 di hora per andar esso seguendo il moto della luna...» più oltre chiede: «Io riceverei a gran favore che V.S. mi desse conto del modo con che ha ritrovato che il grave scende per cento braccia in cinque minuti secondi. Altre volte io tentai l'impresa per mezzo di una palla attaccata ad una funicella tanto longa, che le sue vibrazioni durassero un secondo per ponto (intendi oscillazioni del pendolo) ne mi è sin hora riuscito ritrovar qual sia la longhezza precisa della fune. Mi manca poi la torre sì alta. Habbiamo quella del porto della lanterna: però ha un risalto nel mezzo che rende l'operation dificile. So che nel primo secondo ha da scendere quattro braccia...» prosegue dicendo che «potendo havere un orologio che misurasse i secondi di minuto, io do ad intendere che me ne servirei a più usi, e cioè: 1° a misurare le grandi distanze per mezzo della differenza del tempo che è fra la vista e l'udito; 2° a ritrovare i gradi di longitudine mediante il moto della [<6-7>] luna, ancorché non vi sia eclisse...; 3° ritrovare precisamente la differenza della distanza della luna a qualunque stella, e dall'un all'altro meridiano, calculandovi l'anomalia di essa luna, ecc.».

Il giorno 17 dicembre 1638, Baliano mandò a Galilei le bozze di una sua opera che stava per licenziare alle stampe, intitolata «De' moto naturali et gravium solidorum» pregandolo di «leggerle, correggerle e dirmene il suo parere...».

Risponde il Galilei il 7 gennaio 1639 per ringraziarlo del libro avuto «Del Moto» e gli dice, che per «essere egli cieco del tutto da circa due anni», oltre gli acciacchi dei «suoi settantacinque anni», lo fece leggere dal porgitore stesso, Padre D. Clemente di S. Carlo delle Scuole Pie; dà, per questo lavoro il suo lato elogio e si dilunga a parlare della velocità della caduta dei corpi, del contenuto di un suo Dialogo stampato due anni prima ad Amsterdam...

Il 1° luglio 1639, Baliano scrive a Galilei accusando ricevuta della lettera del 20 giugno scorso, unitamente al libro «De Movimenti locali» per il quale lo elogia per la particolarità delle dimostrazioni e coglie l'occasione per riprendere l'insoluto quesito chiesto per i sifoni dicendo: «in occasione che io le dimandai aiuto in un sifone alto 40 braccia, che non riuscì: e tutti i discorsi in tal materia, che V.S. fa delle particelle del vacuo, ancorché io non ne sia totalmente soddisfatto...» particolarmente lo elogia per il discorso del secondo Dialogo, «solo desidererei che V.S. havesse un tantino più dichiarato alla propositione prima...».

Un mese dopo e cioè il 1° agosto 1639, Galilei risponde a Baliano per ringraziarlo dell'elogio precedente e dà certe spiegazioni richieste, parla e spiega dell'isocronità del pendolo, il cui numero delle vibrazioni «dipendono dalla lunghezza della corda», e che perciò, «trovato la lunghezza di quella, e calcolate le vibrazioni in 24 ore, si può ottenere non solo i minuti primi, secondi e terzi, ma quarti e quinti e più ci piacerà». Dà infine altre spiegazioni chieste circa la propositione prima del secondo Dialogo...

Il 19 dello stesso mese, Baliano comunica a Galilei di aver fatto fare delle ricerche dal Padre Nicolò Cabeo «per ritrovar la lunghezza di un pendolo le cui vibrationi fossero contenute esattamente in un minuto secondo...».

Galilei risponde il 1° settembre appresso, parlando lungamente sulle vibrazioni del pendolo, sulla «condensazione e rarefazione dei corpi e della relativa penetrazione uno in l'altro», sulla palla che cada dopo essere stata lanciata con l'archibuso.

Otto giorni dopo, e cioè il 9 settembre 1639, Baliano rispondendo discute ampiamente sulle considerazioni delle vibrazioni del pendolo, delle quali spera «poter servirsi per calcoli celesti, unitamente ad un sestante di 5 piedi incirca di semidiametro, fatto in Bologna di ordine del Ticone». Prosegue, parlando del lancio e della caduta «di un proietto spinto con braccia ed altro strumento»; dà notizia che a Napoli, con l'aiuto di un telescopio, «hanno trovato che Marte è cornicolare e altre cose nuove nella luna», soggiungendo «essere addolorato per il fatto che, esso Galilei, non le possa osservare...».

Sette giorni più tardi (16 settembre 1639) Baliano riscrive a Galilei in Arcetri, per inviargli un foglio ristampato e riferito ad una sua precedente pubblicazione riscontrato errato e lo prega di sostituirlo e farlo «degno di stare in un canto della sua libreria...». Comunica nel contempo il risultato di una «esperienza fatta domenica scorsa andando a spazzo sopra una galea», riscontrando che «lasciando cadere una palla parecchie volte dallo albero alto più di 40 braccia, mentre la capitana andava, a non meno di 16 braccia, durante i tre minuti secondi che la palla impiegava per giungere al suolo, riscontrando che, [essa], [N.d.A.] cadeva sempre al pie' dell'albero, senza restar ponto a dietro...».

Negli atti già accennati, relativi alla proclamazione di Baliano quale primo scopritore della pressione atmosferica si parla di dodici lettere avute dal sommo Galilei, e si accenna all'esistenza di altre sei.


Se il nostro illustre concittadino non poté in vita assurgere alla grandezza che meritava, lo si deve al fatto che egli era schivo.

A Genova però incombe il dovere di non dimenticare questo suo grande Figlio: deve invece farlo conoscere in tutta la sua grandezza alle nuove generazioni ristampando i trattati (sei libri) suaccennati in una edizione integrale e curata amorosamente con rigore scientifico da competenti studiosi.


(1) Disegno fatto sul recto di un doppio foglio (car. 135) riporta la grandezza naturale del palmo di Genova, e sotto si legge: «Palmo di Genova, diviso in 12 oncie» nonché la seguente dicitura: «il canale è longo P. 670; porta oncie tre di acqua, sono palmi quadr. 14 in circa».




1 G. V. Mosele, "Il carteggio fra G. B. Baliano e Galileo Galilei", Genova (Comune di Genova, gennaio 1939); anche in estratto, pp. 8; scheda bibliografica Link esterno OPAC SBN. L'unica nota è a pie' della p. 5. Sono stati corretti pochi evidenti refusi del testo, tralasciando quelli relativi alle lettere, riportate integralmente altrove.



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