Urania Ligustica

L'astrofilia nel Novecento. I

Ricordi personali

Luca Maccarini

Astrofilia I



Indice
 
1. Le origini di una passione
2. I miei primi strumenti
3. Esperienze di fotografia astronomica
4. Osservazione di stelle variabili
5. Astrometria cometaria
 
App. I – L'invasione dei telescopi giapponesi
App. II – Fantascienza in tv e al cinema


1. Le origini di una passione

Spesso mi è capitato di leggere, o di sentir dire, che lo spettacolo offerto da un'eclisse od il passaggio di una cometa luminosa in cielo contribuiscano a farci riscoprire la bellezza del cosmo ed a far nascere in noi un interesse per l'astronomia.

Sono nato a Genova nel 1963, qualche anno dopo quell'indimenticabile mattina del 15 febbraio 1961, quando l'ombra della Luna percorse uno stretto lembo di terra della nostra penisola, regalando ai miei genitori ed a molti italiani uno dei più suggestivi spettacoli che la Natura possa offrire: un'eclisse totale di Sole. L'11 agosto 1999 ebbi anch'io l'occasione di osservare dalla Turchia, nel meraviglioso scenario naturale dell'altopiano anatolico, a Dogantepe nella regione di Amasya, l'ultima eclisse totale di Sole del secolo scorso e, come tanti anni prima accadde ai miei genitori, di rimanerne affascinato. 1 ▼

Il ricordo di quell'esperienza è ancora oggi impresso indelebilmente nella mia memoria, ma la passione per le scienze naturali, la fisica e l'astronomia ebbero origini ben più lontane nel tempo quando, all'età di dodici anni, conobbi Mario Pelissetto: un ragazzo poco più "grande" di me e studente del primo anno al Liceo Scientifico. 2 ▼

Mario rappresentò un tassello importante nel cammino della mia formazione e maturazione personale. Dotato di una grande dose di curiosità, fantasia e inventiva, divenne in breve un mio costante punto di riferimento, una persona dalla quale c'era sempre da imparare moltissimo, una fonte di dialogo e di confronto e talvolta di ispirazione. I suoi interessi, quando iniziai a frequentarlo, erano molteplici: la paleontologia, la geologia, la cosmologia, l'elettronica, l'informatica, la lettura di romanzi di fantascienza, la musica.

Ricordo con un pizzico di nostalgia le moltissime giornate trascorse in sua compagnia, durante le quali ricreavamo insieme divertenti esperimenti di laboratorio di fisica, come la scomposizione dello spettro luminoso attraverso un piccolo prisma di vetro, o l'oscillazione dell'ago magnetico di una bussola perturbato da una debole corrente elettrica, oppure la costruzione con il legno compensato di ripidi piani inclinati con l'intento di riprodurre l'esperienza di Galileo Galilei sulla caduta dei gravi.

Nel 1977 iniziai a frequentare l'istituto tecnico commerciale per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere, che mi consentì poi di intraprendere la carriera professionale. Nonostante un indirizzo di studi non orientato alle materie scientifiche, nel corso del biennio era in programma un discreto numero di lezioni di fisica e chimica e nel triennio successivo venne inaugurato il primo corso per "ragionieri programmatori", a cui mi iscrissi con entusiasmo.

Con gli anni l'amicizia con Mario si consolidò sempre più e durante le fresche domeniche primaverili ed autunnali prendemmo l'abitudine di chiacchierare insieme di Cosmologia: l'universo è finito od infinito, lo spazio ed il tempo hanno avuto un inizio ed avranno una fine? Queste erano le domande che ci ponevamo alle quali ancora oggi la scienza sta cercando di dare una risposta, mentre con passo lento salivamo lungo via Luigi Andrea Martinetti verso la collina di Belvedere, attraverso una "creuza" fatta in mattoni e ciottoli ed in parte asfaltata, costeggiata da olivi, fichi e magnolie.

Una delle nostre mete preferite era raggiungere il piazzale antistante il Santuario di N. S. di Belvedere (una chiesa in stile barocco ristrutturata nel 1665 ma risalente al XIII secolo), situato sulla sommità del quartiere, oppure dirigerci verso il campo sportivo M. Morgavi (realizzato sui resti delle fondamenta del Forte Belvedere), da cui godere di un'ampia veduta per le nostre osservazioni astronomiche. 3 ▼

Da lassù, la vista del cielo stellato e di qualche pianeta, nonostante l'inquinamento luminoso del vicino porto di Genova e del sottostante viadotto autostradale (ormai tristemente famoso come "ex ponte Morandi"), era ancora apprezzabile per la scarsa illuminazione pubblica e per le poche auto che vi transitavano.

Dal campo sportivo o in cima alla "creuza", guardando il mare e traguardando lo sguardo oltre la diga foranea, capitava di scorgere qualche nave in rada accendere, all'imbrunire, le luci a prua ed a poppa mentre il cielo diveniva più scuro ed i contorni delle costellazioni dello zodiaco apparivano sempre più definiti. Entrambi eravamo equipaggiati dei soli nostri occhi, e consultavamo una piccola mappa del cielo che la rivista Il giornale dei Misteri pubblicava ogni mese nella rubrica dedicata all'astronomia ed all'osservazione del cielo. A metà degli anni '70, non era ancora in edicola l'Astronomia, il mensile di divulgazione astronomica curato dal Prof. Corrado Lamberti e diretto dalla Prof.ssa Margherita Hack, che negli anni '80 diventò un eccellente punto di riferimento per molti astrofili.

Successivamente costruimmo un astrolabio, che consultavamo alla debole luce rossastra di una torcia elettrica, uno strumento tramite il quale ci fu possibile calcolare e prevedere nel corso della notte la posizione dei corpi celesti come la Luna, i pianeti e le stelle. Fu così che, stagione dopo stagione, imparammo insieme a riconoscere in cielo le principali stelle delle costellazioni dello zodiaco ed i pianeti più luminosi.

Ricordo che fummo particolarmente interessati a capire la ragione del cambiamento, con il passare del tempo, della posizione apparente sulla volta celeste di uno dei pianeti più luminosi in cielo come, ad esempio, Giove rispetto alle stelle che vi stavano intorno. Un movimento che provammo a seguire settimana dopo settimana, mese dopo mese, prendendo come punto di riferimento le stelle e disegnando su un taccuino la posizione del pianeta rispetto ad esse. Talvolta potemmo osservare Giove spostarsi progressivamente a sinistra di una certa stella, ma con il passare del tempo lo ritrovavamo spostato a destra facendoci sembrare il movimento privo di alcuna regolarità. Sapevamo, però, che il pianeta Giove era molto più lontano dal Sole di quanto non lo fosse la Terra e quindi il suo moto di rivoluzione era molto più lento rispetto a quello terrestre: provammo a schematizzare questo comportamento ed intuimmo che, osservando Giove dalla Terra, il suo spostamento apparente proiettato sulla volta celeste si muoveva progressivamente verso l'alto e pertanto dalla nostra posizione sulla Terra potevamo apprezzare questo spostamento come un altrettanto progressivo procedere verso Ovest. 4 ▼

Analogamente pensammo, la situazione doveva mutare quando, a distanza di qualche mese, la Terra, essendosi trovata in una differente posizione orbitale, avrebbe proiettato verso il basso il moto apparente di Giove e dalla nostra posizione dalla Terra avremmo potuto percepire un progressivo allontanamento verso Est. 5 ▼


Da 'Our Vast Universe'

Figura 1 – Moto apparente diretto e retrogrado di un pianeta superiore 6 ▼


Probabilmente, in una di quelle tante sere trascorse su quella collina con il naso rivolto all'insù verso il cielo a domandarmi del perché delle cose si accese in me il "sacro fuoco della passione" per l'Astronomia.

Sono immensamente grato a Mario (diventato poi un ingegnere elettronico ed informatico presso un'affermata azienda genovese) per avermi insegnato a pormi delle domande a cui cercare di dare delle risposte con la volontà di perseguire un desiderio di approfondimento e di conoscenza ulteriore.

Poco tempo dopo, da un articolo pubblicato sulla stampa locale, appresi la notizia che la Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese (SAUPS) aveva in progetto la costruzione di un Osservatorio Astronomico in località "Righetti" sulle alture (monte Gazzo) di Sestri Ponente.

Un sabato pomeriggio mi recai presso la sede della SAUPS per chiedere informazioni. Ricordo ancora la paterna figura del Dr. Silvano Motti che mi accolse con grande entusiasmo dandomi tutte le informazioni del caso, mostrandomi il bellissimo modellino in scala dell'Osservatorio, qualche foto del luogo in cui si intravedevano le fondamenta e parte della soletta in cemento armato scattate da alcuni soci della Sezione ed una copia del Notiziario Culturale dell'Università Popolare Sestrese, nel quale era indicata la planimetria dell'edificio e le caratteristiche ottiche del telescopio (Marcialis) in configurazione Newton da 40 cm di diametro, che avrebbe alloggiato in cupola. 7 ▼


Notiziario Culturale UPS

Figura 2 – Il numero speciale del Notiziario Culturale UPS
(marzo 1972) 8 ▼


Rimasi eccitato da tutto ciò: ritornato a casa chiesi insistentemente il consenso dei miei genitori a frequentare le riunioni della Sezione Astrofili, che si svolgevano al giovedì ed al sabato sera dopo le ore 21, mentre nel contempo incominciai a risparmiare sulla "paghetta" settimanale necessaria per potermi iscrivere all'associazione.

Fui socio della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese dal 1977 sino al 1992, assistendo alla realizzazione del progetto e alla costruzione dell'Osservatorio Astronomico di Genova ed a molte altre iniziative nell'ambito della didattica e della ricerca. Questo lungo periodo di sodalizio mi diede l'opportunità di conoscere e stringere amicizia con molte persone ed imparare da ognuno doti fondamentali come l'umiltà, la dedizione ed il metodo scientifico. Il raggiungimento di un risultato, in qualunque ambito esso sia, e maggiormente nella ricerca scientifica, è imprescindibile da questi princìpi.

Sono convinto che il mio personale percorso di maturazione intellettuale sia in parte merito di una passione come l'Astronomia che non ho più abbandonato da oltre 45 anni.


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Porre il cursore del mouse sulla persona da identificare
Figura 3 – Gita sociale della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese ai giardini botanici di Lord e Lady Hanbury
(Località La Mortola, Ventimiglia, 13 maggio 1979) 9 ▼


L'autore è indicato dalla freccia in alto a destra

2. I miei primi strumenti

Ad occhio nudo le stelle mi apparivano puntiformi e simili a qualsiasi astro in cielo. In qualche enciclopedia lessi che il colore e la luminosità erano elementi distintivi per conoscerne età e distanza, ma la curiosità di avvicinare l'occhio all'oculare di un cannocchiale, per cogliere qualche dettaglio in più da quelle deboli luci, che brillavano in cielo sopra la collina di Belvedere, incominciò a divenire una fantasia sempre più ricorrente.

Decisi, pertanto, nonostante le mie scarse attitudini manuali, di cimentarmi ugualmente nella costruzione di un "cannocchiale galileano". Pensai che, con un po' di fortuna, avrei potuto trovare le lenti per il mio progetto nel laboratorio di un ottico, approfittando di qualche scarto di lavorazione, e ricavare il rimanente materiale tra gli oggetti che solitamente si ripongono in soffitta od in cantina: insomma, incominciai ad accarezzare l'idea di progettare e costruire il mio primo strumento per osservare gli astri, con poca spesa e soprattutto con tanta inventiva e fantasia. Fu così che un giorno mi recai nella bottega dell'Ottica Boveri, nel quartiere di Sampierdarena e, grazie alla generosità del titolare, che mi conosceva da molti anni come abituale cliente, recuperai per la modica cifra di 1.000 Lire una lente da 50 mm di diametro con una lunghezza focale di circa un metro, che avrei utilizzato come obiettivo, ed una piccola lente da circa 10 mm di diametro che, fornendo una focale di 25 mm, mi sarebbe servita come oculare.

Giunto a casa, incominciai a pensare alla costruzione del tubo ottico alle cui estremità avrei dovuto collocare le lenti. Decisi di fabbricarlo con alcuni fogli di cartoncino di colore nero, che acquistai in cartoleria, uniti e poi arrotolati insieme, rivestiti da uno spesso strato di nastro isolante. Sulla parte frontale del tubo di cartone incollai una guarnizione di gomma per creare la cella che, in seguito, avrebbe tenuto fermo l'obiettivo. La lente dell'oculare, invece, riuscii a fissarla all'estremità di un corto tubo di plastica, che fortunatamente trovai dello stesso diametro. Con un paio di rigidi rotoli di cartone a sezione decrescente, inseriti l'uno dentro all'altro, ottenni lo scopo di far scorrere in avanti ed indietro la lente dell'oculare; questo movimento mi avrebbe consentito di raggiungere una grossolana messa a fuoco del cannocchiale.

Ma l'operazione più difficile si rivelò quella del fissaggio della lente alla guarnizione, che fungeva da cella dell'obiettivo. Per raggiungere lo scopo, feci molti tentativi, ma durante uno di questi l'obiettivo mi cadde dalle mani e si ruppe! Fortunatamente, la lente non si spezzò a metà, ma solamente una piccola porzione di vetro si staccò da un bordo. Disperato, il giorno successivo dopo la scuola, corsi dall'ottico mostrandogli la lente danneggiata: questi, dopo averla esaminata nel retrobottega, mi consigliò di rimediare al guaio diaframmando l'apertura frontale del tubo ottico con un disco di cartoncino nero di sezione interna pari a 40 mm: così facendo avrei perso un po' di luminosità ed avrei diminuito la risoluzione del mio cannocchiale, ma avrei salvato il progetto.

Finalmente qualche giorno dopo, superate altre piccole difficoltà progettuali ed ultimata la costruzione del cannocchiale, feci le prime osservazioni dalla finestra della mia camera per provare il corretto punto di messa a fuoco all'infinito. A quel tempo, si potevano scorgere in linea d'aria, a circa 800 metri di distanza, due gasometri (abbattuti, poi, tra il 2007 ed il 2009) del complesso siderurgico Italsider, situati nel quartiere di Cornigliano: due cilindri in acciaio alti sino a 80 metri di colore azzurro e con il cappello "rosso e bianco", segni di una convivenza faticosa tra fabbrica e città. 10 ▼ Lo stupore che provai, puntando la sommità di quelle due lontane strutture, che mi apparvero nel cannocchiale vicine come se fossero ad un palmo del mio naso, fu immenso.


Stabilimento siderurgico a ciclo integrale di Genova Cornigliano Copyright

Figura 4 – I gasometri dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale Italsider di Genova Cornigliano
(1979)


Sebbene di giorno la resa qualitativa del mio piccolo "telescopio" si potesse definire approssimativamente soddisfacente, alla notte, rivolgendo l'obiettivo verso la Luna, l'immagine che ottenni del nostro satellite fu di scarsa qualità: assai poco luminosa e circondata ai bordi da diversi aloni colorati. Tuttavia, il grado di autostima raggiunto per aver portato a compimento il progetto ottico mi portò a credere, che nel volgere di poco tempo avrei posseduto un cannocchiale di migliore qualità.

Il giorno di Natale del 1976 dai miei genitori mi fu regalato il primo vero telescopio: un momento difficile da dimenticare, tanta fu la sorpresa e l'immensa gioia che provai allo stesso tempo!

Ricordo che rimasi quasi paralizzato alla vista di quella grande scatola di cartone di colore azzurro sulla quale era stampata la scritta Astronomical Telescope. L'immagine di un cannocchiale con l'obiettivo puntato verso una grande Luna Piena mi diede l'impressione che la scatola contenesse uno strumento molto potente. Aprendola, trovai alloggiati il tubo ottico, il treppiede in legno e vari accessori ordinatamente riposti negli spazi sagomati nell'imbottitura di polistirolo espanso. All'estremità del tubo ottico, sopra il fuocheggiatore, una targhetta riportava il marchio commerciale del cannocchiale: Stein Optik.

Sul libretto di istruzioni per il montaggio lessi le seguenti caratteristiche tecniche.
Obiettivo: doppietto acromatico Ø=60 mm; lunghezza focale 700 mm; rapporto focale f/12.
Dotazioni standard: copriottica in plastica per lente frontale; treppiede in legno con tre ancoraggi per vassoio porta oculari; movimento micrometrico in altezza; cercatore 5x24 con crocicchio e relativo supporto.
Accessori in dotazione: raddrizzatore di immagini e lente di Barlow integrata (Erector lens 1,5x); oculari H – Huygens – con lunghezze focali 6 mm e 20 mm, in barilotti da 24,5 mm; filtro lunare; supporto e schermo bianco per proiezione solare.

A distanza di molti anni, non ricordo più il nome del produttore delle ottiche di questo modello, che successivamente donai a metà degli anni '90 ad un ex collega di lavoro. Dall'analisi in Appendice I ▼, potrebbero essere state fabbricate dall'azienda TOWA, ma non posso affermarlo con certezza.


Il mio primo telescopio Copyright

Figura 5 – Il rifrattore altazimutale sul balcone dell'appartamento di Sampierdarena
(1979)


Ovviamente, la "prima luce" che attraversò l'obiettivo di quel mio primo rifrattore fu quella della Luna.

Sebbene qualche residuo di aberrazione cromatica fosse presente ai bordi dell'immagine, la visione dei crateri e dei mari lunari non avevano confronto con il piccolo rifrattore da 40 millimetri auto costruito un paio di anni prima. Ricordo ancora le osservazioni del nostro satellite che amavo compiere già fin dai primi giorni di Luna crescente: il sorgere del Mare Crisium dal bordo orientale della Luna (con il Nord rivolto verso il basso) svelava a poco a poco le pareti rocciose dei promontori che illuminati da Sole affioravano dal terminatore. Dopo qualche sera, ecco che appariva il grande bacino del Mare Tranquillitatis dove atterrò il modulo lunare Eagle della missione Apollo XI. Trascorso ancora qualche giorno del ciclo lunare, il Mare Imbrium mi dava l'opportunità di osservare il vicino cratere Plato, una struttura lunare che amavo particolarmente perché, da appassionato di fantascienza (Appendice II ▼), sapevo che nella serie televisiva Spazio 1999 gli sceneggiatori immaginarono di costruirvi Base Alpha: un'installazione scientifica permanente con il compito di approntare una spedizione umana esplorativa sul pianeta Meta.

Plato era di una rara bellezza soprattutto quando la diversa inclinazione dei raggi solari provocavano all'interno del cratere ombreggiature, talvolta esaltandone i bordi, talvolta rimarcandone il fondo, anche se con il diametro del mio telescopio questi dettagli erano appena percepibili. Anche la vicina Vallis Alpes, scoperta nel 1727 da Francesco Bianchini, una frattura assai ampia che interrompe i Montes Alpes e prosegue verso il Mare Frigoris, costituì un interessante obiettivo di osservazione per la sua morfologia fatta di pendici più regolari da un lato e maggiormente frastagliate dall'altro.


Il cratere Tycho Copyright

Figura 6 – Il cratere Tycho al 12° giorno del ciclo lunare
(27 marzo 2010) 11 ▼


Man mano che osservavo incominciai a prendere confidenza con lo strumento scoprendone i lati positivi, ma anche gli immancabili punti di debolezza.

Il mio telescopio era dotato di una montatura altazimutale, che aveva i movimenti di aggiustamento fine nella solo direzione dell'altezza, e pertanto, in determinare circostanze, inseguire la Luna non era agevole, con il risultato di perdere il satellite dal campo dell'oculare. Per ovviare a questa mancanza qualche anno dopo mio papà, abile meccanico, lavorò al tornio un pezzo di ottone, costruendo una sorta di attuale accessorio chiamato "mezza colonna" sulla quale era applicata una ruota senza fine che potevo azionare con una manopola di plastica posta lateralmente al telescopio ottenendo così un graduale e più fluido movimento in azimut.

Un altro problema era rappresentato dalla serie di oculari in dotazione, costruiti con schema ottico Huygens, cioè quanto vi era di più economico sul mercato. Nonostante negli anni '70 non esistesse un'ampia scelta di schemi ottici come è al giorno d'oggi, si potevano comunque acquistare dei buoni oculari, come gli ortoscopici Abbe e i Kellner. Gli oculari che disponevo, soprattutto quello da 6 mm di focale, risultarono assai scomodi perché avendo un'estrazione pupillare limitata mi costringevano ad accostare l'occhio troppo vicino alla lente e per un soggetto come me, che portava gli occhiali da vista, quella posizione era quanto di meno indicato per ottenere una visione rilassante ed appagante. Inoltre l'immagine era buona sola al centro del campo inquadrato, perché ai bordi l'aberrazioni sferica, un residuo di aberrazione cromatica e l'astigmatismo ne deterioravano il rendimento. Ma le associazioni di astrofili servono anche a risolvere i problemi attraverso un confronto e mediante consigli e suggerimenti. Il socio Giorgio Montaldo, esperto astrofotografo, mi fornì una soluzione economica per le mie povere tasche di studente, ma al contempo ottimale per resa qualitativa: un oculare a schema ottico Kellner da 12,5 mm di focale, dotato di una buona estrazione pupillare e non eccessivamente costoso, ed inoltre mi suggerì anche dove acquistarlo!

La sera portavo il telescopio sul balcone ed osservavo il cielo, finché i miei genitori non mi ordinavano di rientrare in casa. Di rado avveniva prima delle undici e nel fine settimana rimanevo alzato anche più tardi soprattutto al sabato, quando dopo la riunione della Sezione Astrofili rincasavo a mezzanotte.

"Non vi è pace pari a quella di una sera stellata": così scriveva Charles Laird Calia, un astronomo dilettante, iniziando il primo capitolo del suo appassionato diario astronomico attraverso le stagioni del cielo. 12 ▼ La sensazione di pace interiore che portava con sé la tranquillità della notte, spezzando il frenetico ritmo della giornata, ed appoggiare l'occhio all'oculare del mio telescopio per guardare un pianeta od un ammasso stellare mi rilassava tantissimo anche durante quelle fredde serate d'inverno nelle quali un gelido vento di tramontana mi sferzava il volto ed intorpidiva piedi e mani.

Osservare i principali pianeti ed in particolare Giove, soprattutto dopo l'acquisto del nuovo oculare Kellner, contribuì a darmi ancora maggiori soddisfazioni e stimoli: un contrasto più marcato delle immagini ed un ingrandimento più corretto, in rapporto al potere risolutivo del mio strumento, mi fecero apprezzare particolari delle bande equatoriali del pianeta gassoso prima difficilmente rilevabili.


Giove ed Io Copyright

Figura 7 – Giove, con diametro apparente 48", ed il satellite Io
[nel riquadro in basso a sinistra, come vedevo il pianeta con il mio primo telescopio]
(23 novembre 2011)
13 ▼


Sembrerà strano, ma l'aspetto che mi affascinava di più nell'osservazione di Giove non era la famosa "grande macchia rossa", che comunque apprezzavo tantissimo per la bellezza dei suoi colori e della sua forma, bensì il movimento dei satelliti medicei intorno al pianeta gassoso, che mutavano la loro posizione una sera dopo l'altra. A volte ne vedevo due a volte tre, raramente quattro, talvolta più distanti dal loro pianeta talvolta più vicini. Non ricordo però di aver mai visto un transito sul disco di Giove: lo osservai molti anni dopo con uno strumento di maggiore apertura. Durante le osservazioni trascrivevo su un quaderno ciò che vedevo all'oculare con schizzi e disegni a matita ed annotando l'ora ed il giorno di osservazione.

In quegli anni le pubblicazioni in italiano che riportavano le effemeridi dei transiti dei satelliti medicei erano l'Almanacco della rivista Astronomia, edita dall'Unione Astrofili Italiani (a cui non ero ancora iscritto), e quello della rivista Coelum, a cui ero abbonato dopo aver effettuato un vaglia postale intestato al prestigioso Istituto di Astronomia dell'Università di Bologna. É da quella pubblicazione che riuscivo ad apprendere della mutua rivoluzione dei satelliti di Giove e ad appassionarmi al loro "andirivieni", allo stesso modo di come fui incuriosito dai movimenti dei pianeti sulla volta celeste, all'epoca delle mie osservazioni ad occhio nudo dalla collina di Belvedere.


Almanacco COELUM 1978

Figura 8 – Almanacco Astronomico della rivista Coelum per l'anno 1978
(fine 1977)


Da subito, l'osservazione dei movimenti degli astri e dei corpi minori del sistema solare suscitò in me una curiosità maggiore rispetto alla contemplazione di un corpo celeste dal punto di vista estetico: questo elemento di distinzione diventerà sempre più marcato negli anni a venire.

Più tardi, sul finire degli anni '70 in seguito alla mia iscrizione alla Sezione Astrofili, fui attratto dai resoconti osservativi, che descrivevano la variazione luminosa di alcune particolari stelle nel corso del tempo. Gli articoli pubblicati sul Bollettino SAUPS 14 ▼ erano firmati da un socio della Sezione, Paolo Leoncini, un giovane studente dell'età più o meno del mio amico Mario Pelissetto, simpatico ed estroverso a cui chiesi subito – durante le riunione del giovedì sera nella sede UPS – informazioni e consigli per l'osservazione pratica di questi corpi celesti. Quegli astri che variano la loro luminosità sono stelle che hanno raggiunto un periodo della loro evoluzione in cui l'equilibrio termodinamico, tra la pressione esercitata dalla fusione dell'idrogeno al centro della stella e la forza attrattiva della gravità, è diventato instabile. Terminate le reazioni nucleari del bruciamento dell'idrogeno all'interno del nucleo della stella, l'astro incomincia a contrarsi a causa della sua stessa forza di gravità. La contrazione produce un aumento di temperatura del nucleo, che è in grado di accendere le reazioni nucleari in un guscio che lo circonda. A causa delle temperature più elevate, il tasso delle reazioni nucleari è maggiore, determinando così un'espansione degli strati più esterni della stella con il conseguente aumento di luminosità nel corso del tempo, al termine del quale vi sarà un'ulteriore contrazione per effetto dell'attrazione gravitazionale. Tutto questo, ai fini pratici, si traduce in un aumento e diminuzione della luminosità della stella in un lasso temporale più o meno lungo a seconda della massa dell'astro. Questa, a grandi linee, è la dinamica delle stelle variabili denominate intrinseche che osservava Paolo, la cui luminosità è variabile a causa di "reali" cambiamenti nelle dimensioni dell'astro. Ma ci sono anche altri tipi di variabili come quelle estrinseche il cui apparente cambiamento di luminosità è dovuto al diverso quantitativo di radiazione che raggiunge la Terra, per esempio a causa di una compagna che orbita intorno alla stella e che talvolta lo eclissa.

Come descriverò in un prossimo capitolo, all'osservazione delle stelle variabili dedicai molto tempo anche negli anni a venire, ma curiosamente nel periodo in cui scrutavo il cielo con il rifrattore Stein Optik non fui un assiduo osservatore della stella a noi più vicina: il Sole. Ripensando ora alle motivazioni di quella scelta, una delle principali cause fu la scomodità nel puntare la nostra stella, oltremodo unita ad una pericolosità nello svolgere questa operazione. A quel tempo non esistevano i "telescopi solari", ossia quegli strumenti progettati per lo studio del Sole sia in luce bianca che nella banda dell'idrogeno H-alpha, che avevano in dotazione un "foro stenopeico" per puntare in tutta sicurezza il Sole. Con il piccolo rifrattore da 60 mm l'operazione era più complessa perché dovevo intercettare, agendo sui movimenti in altezza e in azimut del telescopio, il fascio luminoso dei raggi solari che, entrando frontalmente dall'obiettivo, si focalizzavano su un foglio di carta, all'altra estremità del tubo ottico, sotto forma di un piccolo e caldo disco luminoso. Poi dopo aver puntato il Sole e messo l'oculare, l'osservazione avveniva per proiezione su uno schermo posto a debita distanza dall'oculare. Talvolta, durante le giornate estive, le parti ottiche del telescopio erano soggette ad un intenso calore e, per timore che il doppietto acromatico si danneggiasse, costruii un riduttore di apertura (sempre con il solito cartoncino nero) da porre prima dell'obiettivo; ciò però aveva lo svantaggio di ridurre anche il contrasto delle macchie solari proiettate sullo schermo. Al giorno d'oggi la tecnica della proiezione non si usa più e filtri a tutta apertura prodotti con un materiale chiamato Mylar o in vetro sono disponibili a prezzi convenenti e utilizzabili in tutta sicurezza.


Gruppi di macchie sul disco solare Copyright

Figura 9 – Il Sole con il gruppo di regioni attive 1520-1521-1519
[nel riquadro in basso a sinistra, come vedevo le macchie con il mio primo telescopio]
(15 luglio 2012)
15 ▼


Ritornando all'osservazione del cielo, anche le prime esperienze di osservazione delle stelle variabili condotte con il rifrattore Stein Optik non furono incoraggianti. Per rintracciare un campo stellare di una decina di primi d'arco con una montatura altazimutale dovevo ricorrere alla tecnica dello star-hopping, ossia il salto a partire da stelle luminose e visibili per arrivare a trovare oggetti invisibili all'occhio nudo. Ovviamente un atlante stellare era all'epoca l'unica guida disponibile e per tanti anni l'Atlante Celeste di G.B. Lacchini è stato il mio compagno di tante avventure astronomiche, ma rintracciare nel campo dell'oculare, anche con pochi ingrandimenti, l'astro da osservare attraverso un telescopio lungo quasi un metro sistemato su di un balcone che era largo mezzo metro mi costringeva ad inusuali torsioni del busto: una volta rimasi incastrato tra il muro ed il telescopio, talvolta mi ritrovai con la testa sporgente dalla ringhiera del balcone. Insomma, anche in questo caso la tecnologia mi sarebbe venuta in aiuto parecchie decine di anni dopo con l'introduzione sul mercato di accessori come il Telrad o il QuickFinder, tipologie di cercatori senza ingrandimento che proiettano su un vetrino tre cerchi rossi da 4, 2 e 1/2 grado: attraverso queste indicazioni, usando un'opportuna mappa sovrapposta in trasparenza, si identifica e inquadra con una buona approssimazione il campo stellare cercato.

Dopo poco, scoraggiato, decisi di sostituire il tanto sognato rifrattore... con un binocolo! Pensai che questo strumento fosse più indicato per la ricerca dei campi stellari, quando volevo dedicarmi all'osservazione ed alla stima di luminosità delle stelle variabili, poiché meno ingombrante e più leggero. L'unico binocolo che trovai a casa, riposto in un cassetto, fu un vecchio modello ESA 6x30 di tipo prismatico a regolazione indipendente con trattamento antiriflesso, prodotto nel 1951 dalla fabbrica genovese → San Giorgio. Il campo di vista abbracciato di 5° era molto ampio ed incominciai ad utilizzarlo comodamente seduto su di un sedia a sdraio.

In conclusione, utilizzai il rifrattore nell'osservazione degli oggetti del catalogo Messier, almeno quelli più luminosi e noti che si potevano vedere (o intravedere) da un cielo cittadino, i pianeti come Venere, Giove e Saturno ed ovviamente la Luna, mentre con il binocolo avrei dedicato tempo all'osservazione delle stelle variabili ed agli ammassi stellari e, perché no, anche a qualche cometa luminosa che avrebbe potuto avvicinarsi alla Terra.


3. Esperienze di fotografia astronomica

Nel 1981 Mario Pelissetto ed io stavamo passeggiando sotto i portici di via Cantore a Sampierdarena, come ogni domenica mattina, quando la nostra attenzione fu catturata dalla monografia Astronomia Pratica, curata da Marco Milani, 16 ▼ ben esposta in una delle tante edicole lungo il nostro abituale percorso. Ci fermammo entrambi e dopo aver sfogliato alcune pagine per saggiarne i contenuti, con un rapido cenno di intesa decidemmo di acquistarla. Quel volumetto di 80 pagine, come suggeriva il titolo, affrontava varie tematiche care ad ogni astrofilo: come avvicinarsi all'osservazione dei corpi celesti, come scegliere o costruire da sé un telescopio per osservare visualmente i pianeti, le stelle e le galassie e, ultimo argomento ma non per questo meno importante, come ottenere le migliori fotografie in ambito astronomico con un apparecchio reflex analogico e le emulsioni chimiche (di quel tempo).


Astronomia in pratica

Figura 10 – Astronomia in pratica
(supplemento a Elettronica 2000, n. 29/1981)


L'argomento della fotografia astronomica fu quello che ci interessò maggiormente. Mario, appassionato di elettronica, vide lo schema elettrico di un variatore di velocità per il motorino d'inseguimento di un telescopio (a pag. 65) e cominciò a studiarlo per migliorarne le prestazioni. Poiché il mio rifrattore da 60 mm non era dotato di montatura equatoriale da allineare al polo celeste, pensai di realizzare un "inseguitore motorizzato della volta celeste", a cui applicare il variatore di velocità proposto dalla rivista, per fotografare senza "alcun mosso" le stelle delle principali costellazioni e qualche brillante nebulosa del catalogo di Messier.

Per il progetto e la costruzione impiegammo sei o sette mesi: mentre Mario si occupava dell'elettronica del variatore di velocità, io mi interessai alla meccanica dell'inseguitore.

Per prima cosa, acquistai un motorino a corrente alternata 115-230 V 50-60 Hertz, prodotto dalla ditta Crouzet di Milano, che mi fu consigliato da → Virginio Monticelli, un esperto autocostruttore di telescopi della Sezione Astrofili UPS. Per raggiungere la velocità siderale di circa un giro ogni 24 ore, pensai di applicare all'albero motore una serie di ruote dentate per ridurne convenientemente la rotazione. La lavorazione di ogni parte meccanica dell'inseguitore fu eseguita da mio papà che, dotato di un tornio, poté costruire tre ruote ingrananti da applicare al piccolo albero del motore Crouzet, che fu poi fissato alla sommità di una basetta di ferro tagliata ed inclinata esattamente con un angolo di 44°30', corrispondente alla latitudine di Genova.


Inseguitore equatoriale Copyright

Figura 11 – L'inseguitore motorizzato della volta celeste
(1981)


Nel contempo Mario sostituì parte delle resistenze impiegate nello schema elettrico originale e riprogettò interamente l'elettronica della pulsantiera, mentre io disegnai e tagliai il legno compensato per costruire il contenitore, che avrebbe protetto l'apparecchiatura elettrica dall'umidità della notte durante le riprese fotografiche.

A lavoro ultimato, l'intera opera ci apparve anche esteticamente piacevole.


Copyright Foto d'insieme

Figura 12 – Inseguitore su cavalletto, batteria d'auto 12V CC e variatore di velocità
(1981)

Variatore di velocità Copyright

Figura 13 – Pulsantiera e parte posteriore del variatore di velocità
(1981)


Non rimaneva che la "prova sul campo". Ma ben presto il nostro entusiasmo si scontrò contro la dura realtà di due studenti che, a quel tempo, non si potevano permettere l'acquisto di un apparecchio fotografico! I genitori di Mario possedevano una Polaroid Model 1000: marchio di successo nel campo della fotografia istantanea, ma inadatta agli scopi di ripresa astronomici. Da parte mia, una Kodak Instamatic Camera con ottica fissa non era altrettanto all'altezza della situazione. Mi ricordai però di aver visto in un cassetto, ancora nella propria custodia in pelle, una macchina fotografica con obiettivo da 50 mm, messa fuoco a telemetro e soprattutto dotata di un otturatore che poteva rimanere aperto per effettuare lunghe pose. Insomma... era la fotocamera che mi avrebbe permesso di provare l'inseguitore ed il variatore di velocità, facendo le esposizioni necessarie per impressionare maggiormente l'emulsione.

La Voigtlander Vito B, 17 ▼ questo era il marchio dell'apparecchio fotografico, era stata acquistata dai miei genitori negli anni '60. Le dimensioni compatte e la sua solidità (non aveva nessuna parte in plastica) la rendevano un oggetto molto maneggevole e adatto per essere sempre a portata di mano e fotografare un bel panorama o immortalare qualche gioioso quadretto di vita familiare, durante le gite domenicali "fuori porta" o in vacanza al mare.

Queste le principali caratteristiche:

Incominciai subito a scattare qualche foto durante le ore diurne, per impratichirmi sul suo utilizzo ma, dopo aver fatto sviluppare la pellicola, notai con sconforto che le foto erano tutte irrimediabilmente sfocate. Il laboratorio fotografico imputò il difetto ad una grossolana stima della distanza tra l'obiettivo ed il soggetto da fotografare: ovviamente era sufficiente valutare male la distanza e non tenere conto della profondità di campo per creare un accenno di sfocatura, ma il difetto, dopo ripetute prove, era persistente a tutte le distanze. Ero piuttosto deluso... Parlando di questo problema con alcuni soci della Sezione Astrofili, mi fu consigliato di rivolgermi ad un esperto manutentore di apparecchi fotografici, iscritto alla Sezione Fotocine della stessa Università Popolare Sestrese: Bruno Giarola. Nel breve volgere di una settimana, il signor Giarola mi riconsegnò l'apparecchio fotografico, dicendomi che era diventato come nuovo. In pratica, la sfocatura era dovuta ad una opacizzazione delle ottiche causata, molto probabilmente, dalla salsedine marina! Lo smontaggio, l'accurata pulizia dell'obiettivo e il meticoloso rimontaggio avevano restituito l'ottica ai fasti originali.


Voigtlander Vito B Copyright

Figura 14 – La fotocamera Voigtlander Vito B
(1982)


[DA COMPLETARE]


[4. Osservazione di stelle variabili]

[5. Astrometria cometaria]


Luca Maccarini Copyright

Figura [ultima]Prima di salire al rifugio Torino
(Courmayeur, agosto 1986)




Appendice I – L'invasione dei telescopi giapponesi (1970-1980)

Le iniziali dell'azienda produttrice erano solitamente indicate, insieme a quelle del marchio commerciale, sulla targhetta posta sopra il fuocheggiatore. La curiosità di conoscere questo dettaglio mi ha indotto a cercare in internet qualche indizio sul costruttore del mio primo rifrattore attraverso le informazioni e le discussioni riportate sui principali forum italiani ed americani di amatori di astronomia Link esterno Astrofili.org, Binomania e Cloudy Nights. La ricerca che segue, pur non essendo esaustiva, può fornire un'idea della moltitudine di marchi ed aziende manufatturiere che operavano sul mercato a quel tempo.

In Europa, nei primi anni '70, il panorama dei maggiori produttori di ottica (inteso come obiettivi per macchine fotografiche o per cannocchiali terrestri e telescopi) era concentrato nella ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR), a Dresda, e nella ex Repubblica Federale di Germania (BRD), a Jena, dove risiedevano le fabbriche dei prestigiosi marchi VEB Zeiss Ikon e ZEISS Ikon Optical. A I 1 ▼

Oltreoceano, ed in particolar modo in Giappone, dalla fine degli anni '60 fino alla metà degli anni '70, la produzione di ottiche conobbe un periodo di grande espansione. Per quanto riguarda la costruzione delle ottiche e l'intubazione di telescopi rifrattori di piccolo diametro per il mercato consumer, il Giappone dispiegò un'incredibile quantità di brand che sebbene mantenessero, da un lato, una propria linea di produzione, dall'altro lavoravano anche per conto terzi. Pertanto ai tradizionali costruttori, si aggiunsero anche linee di prodotti registrati sotto differenti marchi, talvolta di aziende che ne curavano l'assemblaggio ottico e meccanico, talvolta di altre che si occupavano solo della loro distribuzione commerciale. La collaborazione tra i vari produttori di parti ottiche e meccaniche era probabilmente mirata a soddisfare sia il mercato interno, sia quello di esportazione che agli inizi degli anni '70 ebbe un grande boom economico in questo settore.

Nel sito Link esterno The history of the telescope & the binocular di Peter Abrahams, alla voce "Trademarks of optical manufacturers", ho trovato vari documenti che elencano i marchi dei maggiori produttori e distributori giapponesi censiti dal 1957 al 1973. The Japan Telescopes Inspection Institutes (JTII), l'organismo deputato al controllo ed alla certificazioni che gli strumenti fossero conformi ai rigidi standard di esportazione del governo giapponese, ad esempio nel caso dei binocoli, riportava la classificazione di più di 300 produttori di parti ottiche e di carpenteria tra il 1960 ed alcuni decenni dopo. Un particolare che non passava certamente inosservato era l'adesivo ovale dorato od argentato che recava la dicitura "PASSED JTII" incollato sul tubo del telescopio. Il colore dorato potrebbe indicare le date di applicazione tra il 1966 ed il 1972, mentre l'adesivo di colore argentato molto probabilmente quelle successive. Come già accennato, il marchio commerciale ed il produttore delle ottiche erano indicati su di una targhetta in allumino incollata o rivettata sopra il fuocheggiatore (in alcuni esemplari impressa sotto il carter metallico che protegge la cremagliera della messa a fuoco). Sulla targhetta si poteva chiaramente leggere il marchio commerciale del telescopio, talvolta accompagnato dalla dicitura "Astronomical Telescope Achromatic Coated Lens", il diametro e lunghezza focale in millimetri e lateralmente,ma in caratteri più piccoli, erano indicate con due o tre lettere iscritte all'interno di un cerchio (circle) o tra un rombo (diamond) le iniziali dell'azienda produttrice.

Attraverso una ricerca in rete, nella Tab.1, ho raccolto alcuni dei maggiori produttori giapponesi di telescopi rifrattori degli anni '70. Towa, Eikow e Yamamoto furono senz'altro quelli più prolifici e che probabilmente produssero le ottiche per alcuni marchi commerciali esportati sul mercato italiano nella prima metà del decennio.

Eikow e Yamamoto (che probabilmente acquisì Eikow nella prima metà degli anni '70) produssero sia intubazioni ottiche, sia doppietti acromatici di qualità. Ne sono un esempio i rifrattori nativi da D=77 mm e F=1000 mm (Eikow) e D=77 mm F=910 mm (Yamamoto) le cui ottiche, lavorate a mano da sapienti artigiani, si narra fossero costituite da (segrete) terre rare ed ancora oggi si possono considerare i precursori delle prestigiose lenti montate sui rifrattori apocromatici alla fluorite o negli oculari al lantanio. Non a caso, molti di questi vetri di qualità furono esportati per il mercato estero e capitò di trovarli assemblati nei rifrattori denominati Lafayette e Stein Optik.

Tanto per citare l'importanza del mercato giapponese, basti pensare che dal 1972, la nota azienda americana Meade Instruments Corporation fondata da John C. Diebel, iniziò la sua attività come importatore di telescopi "Made in Japan" della Towa Optical Manufacturing Company. Solamente nel 1977 con la piena operatività della fabbrica in Costa Mesa, in California, la Meade iniziò a produrre una propria linea di telescopi e montature che divennero negli anni a venire uno standard di riferimento per altri produttori di telescopi catadiottrici Schmidt-Cassegrain.

La grande varietà di marchi commerciali esistenti in quel periodo, nonché le operazioni di fusioni ed acquisizioni societarie di alcuni produttori di ottiche giapponesi intraprese nel corso degli anni 1970-80, hanno senza dubbio contribuito a creare in questo settore, soprattutto a distanza di cinquant'anni, molta confusione ed incertezza nell'attribuire una corretta identificazione tra produttori e rivenditori.


Sigla del produttore Produttore o distributore di ottiche Marchio commerciale ∅ obiettivo / focale (mm)
T nel cerchio

<Circle T>
TOWA Towa
Orbit
Crescent
Monolux
Stein Optik
60 / 800
50 / 600
60 / 800
60 / 800
60 / 700
W nel cerchio

<Circle W>
TOWA Stein Optik
Stein Optik
Focal
Jason
60 / 900
80 / 1200
40 / [incerta]
60 / 700
K nel cerchio

<Circle K>
KENKO Kenko
Kenko
Sears (mod. 6305-A)
Jason (mod. 415)
Revue
Astronomer Pallas
Pallas
60 / 800
60 / 710
60 / 900
60 / 700
60 / 910
60 / 710
60 / 710
SYW nel rombo

<Diamond SYW>
YAMAMOTO

[dopo il 1970]
Satellite
Bush
Sky Master
Perl
Palomar
Sport Master
Yosco
Milo
Mayflower
Perfex
Prinz Optics
Sears
Galaxy
108 / 1600
108 / 1600
108 / 1600
108 / 1600
101 / 1600
108 / 1600
76 / 1400
76 / 1400
76 / 1200
60 / 800
60 / 910
76 / 1200
60 / 800
Y rovesciata nel cerchio

<Circle Upside Down Y>
EIKOW

[prima del 1970]
Eikow
Hilkin
Zemex
Polaroscope
Stein Optic
Stein Optik
77 / 1000
77 / 1000
80 / 800
77 / 1200
60 / 400
77 / 910
BOL nel rombo

<Diamond BOL>
BUSHNELL OPTICAL LABORATORY, Inc Sky Chief II 60 / 910
H.O.C. HINO OPTICAL COMPANY Atco
Selsi
Mayflower
Mizar
Mizar
80 / 1000 [incerta]
80 / 910
80 / 1200
60 / 1000
80 / 1000
V nel cerchio

<Circle V>
VIXEN Super Halley SR-1000 100 / 1000
A nel cerchio
ASTRO nel cerchio

<Circle A>
<Circle ASTRO>
ASTRO OPTICAL CO. Ltd Astro T-Type
Astro S5 Typ
50 / 500
60 / 910
G e G rovesciata in una croce nel cerchio

<Circle G, backwards G, in a cross>
ASTRO OPTICAL

[e in seguito]

ASTRO OPTICAL IND. CO. Ltd
[sul marchio Royal / Tokio]
Royal

[nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]


Royal
Scope
60 / 910

60 / 1200

76 / 910
76 / 1200
C.O.C CARTON OPTICAL COMPANY [nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]


Iveco
60 / 910

60 / 1000
APL APOLLO LABS o
APOLLO BUSINESS & INDUSTRY

[acquisita da KOYU, poi VIXEN]
Mayflower
Bushnell
60 / 700
60 / 910
AvA nell'ovale

<Oval AvA>
TAKAHASHI Swift

[nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]
77 / 1000

50 / 700
[assente] KOYU CO. Ltd.
Tokio
Vixen 60 / 910
TJK nel rombo

<Diamond TJK>
TOYO JITSUGYO KOGAKU Bushnell
Galaxy
80 / 1200
60 / 800
SPI nel rombo

<Diamond SPI>
SOUTHERN PRECISION INSTRUMENT CO. [nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]
60 / 1200
Z nel rombo

<Diamond Z>
TANZUTSU Pathéscope
Vision
Sears
Jason
40 / 400
60 / 700
60 / 900
60 / 700

Tabella I – Alcuni modelli di rifrattori giapponesi degli anni Settanta




Appendice II – Fantascienza in tv e al cinema (1970-1984)

È difficile non essere catturati dall'interesse per la Fantascienza quando si è appassionati di Astronomia. Una questione su cui spesso capita di riflettere è se un giorno troveremo nell'Universo forme di vita simili alla nostra. L'affascinante tema della vita extraterrestre e dei viaggi nello spazio diventò un filone letterario popolare e di grande successo cinematografico negli anni della cosiddetta "corsa allo spazio", culminata con la conquista della Luna.

Agli inizi degli anni '70, incominciai ad acquistare in edicola i volumi della serie Classici Fantascienza Urania, una collana di libri nota e ben avviata edita da Mondadori, attratto anche dalle bellissime fotografie e dagli artistici disegni che erano impressi sulla prima pagina di copertina. Difficile dimenticare le ristampe di alcune opere di Arthur C. Clarke come Incontro con Rama, La sentinella e Spedizione di soccorso, oppure Il pianeta proibito di W.J. Stuart, A II 1 ▼ o, tanto per citare qualche opera da cui furono tratte delle trasposizioni cinematografiche, Viaggio allucinante di Isaac Asimov, Cronache marziane di Ray Bradbury e Solaris di Stanislaw Lem. Naturalmente anche i film di fantascienza, con il fascino irresistibile dell'avventura e delle invenzioni tecnologiche, contribuirono ad alimentare in maniera preponderante la mia passione per l'Astronomia.

Le serie televisive Link esterno Thunderbirds, UFO e Spazio 1999 fanno parte ancora oggi dei miei più bei ricordi adolescenziali, nonostante siano trascorsi cinquant'anni dalla messa in onda di quei telefilm. Gli episodi delle tre serie televisive furono ideati e prodotti tra il 1964 ed il 1977 per la televisione britannica dai coniugi Gerry e Sylvia Anderson e trasmessi dalla RAI negli anni Settanta. Più precisamente, i primi episodi di UFO furono mandati in onda dal 1970 alla domenica pomeriggio, nella fascia dedicata alla "Tv dei ragazzi", Thunderbirds fu trasmesso dal 1975 al 1976 in varie fasce orarie, mentre il primo episodio di Spazio 1999 fu trasmesso il 31 gennaio 1976 in seconda serata.

Senza alcun dubbio gli episodi di UFO e Spazio 1999 furono quelli che più mi appassionarono in quegli anni. Come non ricordare la fredda determinazione di Ed Straker, a capo della S.H.A.D.O. (Supreme Headquarters Alien Defence Organization) o le ponderate scelte del comandante Koenig della Base lunare Alpha? A seguito del successo di pubblico che ebbe soprattutto Spazio 1999, ricordo che la casa editrice AMZ pubblicò, a partire dal 1976-77, una serie di libri illustrati con le immagini di alcuni episodi dei telefilm e realizzò due diari scolastici (che ovviamente acquistai), mentre la ditta Clementoni mise in commercio un gioco da tavolo ispirato all'intera serie. Anche le Edizioni Panini resero omaggio alla serie pubblicando due raccolte di figurine. Fortunatamente negli anni avvenire tutti gli episodi delle tre serie televisive furono raccolti e riprodotti in DVD e venduti in eleganti cofanetti di cartone che mi precipitai ad acquistare.


Cofanetti delle serie tv

Figura 1 – I primi cofanetti delle serie televisive Spazio 1999, Thunderbirds e UFO


Credo che molti miei coetanei ricordino queste tre serie tv e le rispettive avvincenti trame, ma per i più giovani e per chi non le conoscesse rimando eventuali approfondimenti al sito Link esterno Moonbase '99, curato dal primo club italiano degli estimatori di Gerry Anderson e della fantascienza anni '60-'70-'80.

L'occasione per rispolverare gli indimenticabili episodi di Spazio 1999, mi capitò moltissimi anni dopo: il 13 settembre 1999 giorno del primo anniversario della data in cui la Base Alpha ed i suoi abitanti, a causa dell'esplosioni di un deposito di scorie nucleari contenute nel sottosuolo lunare, venne immaginata abbandonare l'orbita terrestre. Quell'episodio fu narrato nel primo telefilm della serie intitolato "Separazione" (Breakway). Pertanto, la settimana successiva partecipai a quella prima"convention" rievocativa alla quale confluirono da tutta Italia appassionati di fantascienza, fans della serie televisiva e semplici curiosi. L'evento fu organizzato in maniera impeccabile da Moonbase '99 e si tenne a Monza presso il Palazzo del Comune durante il week-end del 25-26 settembre 1999.


Locandina mostra e convention SPAZIO 1999

Figura 2 – La locandina della Mostra e della Convention della serie televisiva Spazio 1999
(settembre 1999)


La manifestazione si articolò in varie giornate e si svolse in concomitanza all'analoga "convention" americana di Los Angeles. Furono invitati Virginio Marafante (scrittore di libri di fantascienza), Giuseppe Festino (copertinista collana Urania), Johnny Byrne (uno dei più prolifici sceneggiatori della prima serie di Spazio 1999) e Franco Malerba (primo astronauta italiano della storia a bordo dello Space Shuttle Atlantis che fece parte della missione STS-46 lanciata dalla NASA il 31 luglio 1992). Tra un simpatico scambio di opinioni con i partecipanti all'evento su questo o su quell'altro episodio della saga, fu interessante e spettacolare assistere alla proiezione del documentario Vivere e lavorare nello Spazio realizzato dall'astronauta Franco Malerba.

Parallelamente alle brevi conferenze che si svolsero nella Sala consiliare del Palazzo Comunale, fu possibile visitare altre stanze del Comune nelle quali era esposta tutta l'oggettistica legata alla serie Spazio 1999, tra cui ricordo i modellini delle Aquile (le astronavi della Base Alpha), i plastici che ricostruivano sino nei mini particolari la base stessa, la riproduzione delle armi (pistole laser) in dotazione al personale della Base lunare, nonché altri oggetti di merchandising come magliette e poster. Nella quota di partecipazione alla manifestazione fu previsto anche un pranzo, che gli organizzatori tennero presso un ristorante del luogo, a base di un menù spaziale alle cui portate furono dati nomi originali e stravaganti, in onore a luoghi o personaggi incontrati nei vari episodi della serie.


Portate del pranzo spaziale

Figura 3 – Le portate del pranzo spaziale
(26 settembre 1999)


Infine, nel pomeriggio rammento ancora con molto piacere la spasmodica attesa di tutti i partecipanti per il collegamento previsto con la convention di Los Angeles durante la quale sarebbe andato in onda e condiviso un inedito cortometraggio intitolato "Message from Moonbase Alpha" (Messaggio da Base Lunare Alpha) che nell'intenzione di Johnny Byrne, che ne ideò la sceneggiatura, e degli appassionati americani, che lo girarono in un garage con mezzi di fortuna, avrebbe dovuto gettare le basi per il proseguimento della serie televisiva, che sarebbe dovuta discendere dai personaggi originali ormai approdati su un nuovo pianeta abitabile.

Scontato concludere che fu una piacevole ed indimenticabile giornata!

Oltre alla fantasia, al carisma dei protagonisti e alle avvincenti trame, dalle quali talvolta è trapelata qualche inesattezza scientifica (come può accadere quando si esplorano angoli del Cosmo ignoti), il motivo che a mio parere ha reso questi telefilm indimenticabili è nell'aver prefigurato tecnologie che nel corso dei decenni successivi sono diventate reali.

Negli episodi di Thunderbirds fui affascinato dalla facilità con cui i razzi dell'International Rescue atterrassero sulla verticale e nel breve spazio di un atollo del Pacifico: nessuna rampa di lancio, nessun ammaraggio! Al giorno d'oggi, tutto ciò sta per diventare realtà ed il futuro dei vettori spaziali (delle principali compagnie commerciali) sarà il riutilizzo del primo e del secondo stadio attraverso una discesa controllata ed automatizzata dai computer di bordo all'interno del perimetro di uno "spazioporto" o sopra una chiatta ormeggiata in mare.

Il sistema di difesa e monitoraggio dagli oggetti volanti non identificati (UFO) nello spazio tra l'orbita della Terra e Base Luna, nei telefilm della serie UFO, erano affidati ad uno strano congegno dalla voce metallica dotato di antenne e parabole chiamato S.I.D. (Space Intruder Detector), che "allertava" il quartier generale del comandante Straker nel caso di imminenti minacce provenienti dallo spazio. Ebbene, da ormai quarant'anni, una fitta rete di satelliti per scopi militari e civili orbita intorno alla nostra Terra a varie altezze, monitorando incessantemente Terra e Spazio attraverso una tecnologia divenutaci familiare.

Infine, in Spazio 1999, le avventure di una colonia umana permanente ed autosufficiente sul suolo lunare (Base Alpha) implica che gli sceneggiatori abbiano immaginato una serie di innovazioni tecnologiche, come la creazione di una biosfera per la coltivazione di piante e la produzione di ossigeno, la costruzione di schermi di protezione contro le radiazioni solari ed i raggi cosmici, ma anche la trasformazione della regolite lunare in materiale da costruzione, tematiche scientifiche che sono sviluppate nel corso dell'attuale progetto Link esterno ARTEMIS, principalmente portato avanti dalla NASA con la collaborazione di altre agenzie spaziali internazionali come ESA, JAXA, CSA e partner commerciali, che prevederà la costruzione di una stazione lunare orbitante ed una base permanente al Polo Sud lunare in grado di essere autosufficienti e di poter mandare nei prossimi 10 anni il primo uomo sul pianeta Marte.

Nel decennio successivo alla conquista della Luna le due superpotenze di quel tempo, USA ed Unione Sovietica, misero in orbita le prime stazioni spaziali Saljut e Skylab ed il lancio delle sonde automatiche Mars, Pioneer e Viking verso il pianeta Marte, mentre sul finire degli anni '80 le missioni Voyager furono programmate per raggiungere Giove, Saturno e dirigersi ai confini del sistema solare.

L'entusiasmo attorno alla nascente "era spaziale" fece crescere la popolarità della fantascienza: nel 1968 fu prodotto e diretto da Stanley Kubrick il film 2001: Odissea nello Spazio, scritto assieme ad Arthur C. Clarke che nello stesso anno, ma a distanza di qualche mese dall'uscita del film nelle sale cinematografiche, pubblicò l'omonimo romanzo.

Non mi dilungherò sulla ben nota trama del film e sulla grande abilità del regista nel dirigere la macchina da presa, creando suggestive inquadrature e scene mozzafiato come nelle prime sequenze del film dove un branco di scimmie, agli albori della vita sulla Terra, incontra un Monolito, completamente nero e dalla forma di parallelepipedo, dal quale apprende quegli insegnamenti che lo porteranno alla supremazia territoriale, all'uccisione dei suoi simili, ma anche al progresso della civiltà. Il quell'osso lanciato in aria che solcando il cielo si trasforma in un razzo venne simboleggiata l'incredibile storia della conoscenza umana. Quattro milioni di anni più tardi – sempre nel 1999! – un Monolito sarà ritrovato dagli astronauti sul suolo lunare.

Assistetti alla proiezione di quel film nel 1970 al cinema Splendor di Sampierdarena. La complessità della trama e certi passaggi del film mi risultarono subito difficili da capire: ricordo che mi terrorizzò la scena finale in cui David Bowman, al culmine della sua vecchiaia, sdraiato sul letto vide apparire il Monolito e nel tentativo di toccarlo scomparve improvvisamente per poi riapparire trasformato in un feto. Al forte impatto emotivo che mi trasmise quella scena contribuì il lento incedere della cinepresa nell'inquadrare una stanza completamente arredata da un mobilio di colore bianco, mentre ai piedi del letto uno specchio appeso ad una parete rifletteva il volto pieno di rughe di Bowman.

Confesso che per comprendere compiutamente la bellezza della sceneggiatura e la maestria della regia cinematografica di 2001 Odissea nello Spazio dovetti rivederlo più di una volta e parecchi anni dopo mentre mi preparavo alla visione di quello che ne fu considerato il sequel e cioè 2010: l'anno del contatto, che fu proiettato al cinema nel 1984. Quest'ultimo film, tratto anch'esso da un successivo romanzo di Arthur C. Clarke ed ambientato in piena guerra fredda tra le due potenze spaziali, fu ben più modesto rispetto al capolavoro di Kubrick ed infatti deluse le mie aspettative.

In quel decennio apparirono una dozzina di pellicole del genere fantascientifico, ma a mio parere la fantascienza è sinonimo di avventura e tecnologia. In molti film proiettati non riscontrai quei presupposti, ovviamente del tutto personali, ed infatti Guerre Stellari rappresentò l'unico film davvero innovativo, sia per gli innumerevoli effetti speciali creati da una "grafica digitale" che muoveva i primi passi, sia per uno stile narrativo estremamente avventuroso, unitamente alla bravura interpretativa dei protagonisti. Questo film fu il preludio di una fortunata saga, la più longeva in assoluto nella storia della cinematografia mondiale di fantascienza, ma rappresentò anche il capostipite di un genere dove l'incessante azione, l'ancestrale lotta tra il bene ed il male e l'umana fragilità dell'uomo di fronte all'ignoto saranno ripresi come temi di successo da altri "cult movies" degli anni '80.




▲ 1   Si veda Total Solar Eclipse of 1999 August 11 Link esterno NASA Eclipse.

▲ 2   Si veda Link esterno Mario Pelissetto.

▲ 3   Sul versante della collina che guarda verso la foce del torrente Polcevera aveva sede, tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, una delle specole del marchese → Paris Maria Salvago. Si veda anche Belvedere (Genova) Link esterno Wikipedia.

▲ 4   G. Corbò, Fisica per non fisici (Milano : Salani, 2015), pp. 48-49 Link esterno OPAC SBN.

▲ 5   Idem, pp. 49-50.

▲ 6   Gif animata tratta – provvisoriamente! – da Link esterno Our Vast Universe. L'immagine proviene, a sua volta, da Link esterno DeLeoScience (pagina inesistente il 28/11/2020, ma presente il 16/5/2021!).

▲ 7   Alla storia dell'Osservatorio Astronomico di Genova, costruito dall'Università Popolare Sestrese e dal Comune di Genova, è dedicata una pagina specifica di → Urania Ligustica.

▲ 8   Nella prima pagina del Notiziario Culturale del marzo 1972 spicca il modellino della specola, realizzato da Amedeo Morini sulla base di un progetto preliminare. L'Università Popolare Sestrese aveva fatto stampare dalla tipografia Bettini un numero di copie molto più elevato del consueto, per far conoscere l'iniziativa e favorire le adesioni anche negli anni successivi.

▲ 9   L'autore della foto può essere → Silvano Galanti, che ha partecipato alla gita con la famiglia, ma non pare essere nel gruppo fotografato. Nonostante vari contributi (Riccardo Balestrieri, Silvano Di Corato, Tiziana Tortonese), l'identificazione delle quaranta persone non è ancora completa, dato che alle gite sociali, e a questa in particolare, hanno partecipato anche parenti e amici dei soci. Per eventuali segnalazioni ci si può rivolgere direttamente al curatore del sito, il cui indirizzo è in → Urania Ligustica.

▲ 10   D. Alfonso, Il gasometro non deve morire (29/6/2008) Link esterno la Repubblica.

▲ 11   Alcune fotografie sono successive agli anni qui trattati, ma esemplificano quanto si poteva osservare visualmente, turbolenza permettendo, con uno strumento simile a quello descritto.

Data e ora di ripresa: 27-03-2010 21h52m (ora solare). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: SkyWatcher Black Diamond. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 127 mm focale 1500 mm. Rapporto focale: f/11.8. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtri utilizzati: IR-Cut. Camera: Webcam Philips Toucam Pro PCVC740K. Esposizione: filmato da 20 s a 30 fps. Elaborazione digitale: allineamento e somma dei migliori 324/601 frames con Registax 4.0.

▲ 12   C. L. Calia, Un anno passato a guardare le stelle (Milano : Ponte alle Grazie, 2016) Link esterno OPAC SBN.

▲ 13   Data e ora di ripresa: 23-11-2011 22h26m (ora solare). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: SkyWatcher Black Diamond. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 127 mm focale equivalente 3000 mm. Rapporto focale: f/23.6. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: fuoco diretto con lente Barlow 2x. Filtri utilizzati: IR-Cut. Camera: Webcam Philips Toucam Pro PCVC740K. Esposizione: filmato da 30 s a 30 fps. Elaborazione digitale: allineamento e somma dei migliori 842/900 frames con Registax 4.0.

▲ 14   P. Leoncini, "Osservare. I - Variabili Cefeidi", Bollettino SAUPS, 7 (1979), n. 28, maggio-agosto, pp. 8-13. F. Fontanelli, P. Leoncini, "Evoluzione Stellare I", Ibidem, pp. 14-15. L'elenco dei Bollettini è in → Osservatorio Astronomico di Genova.

▲ 15   Data e ora di ripresa: 15-07-2012 11h54m (ora estiva). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: KONUS Simplex. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 90 mm focale equivalente 875 mm. Rapporto focale: f/9.7. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: proiezione dell'oculare (focale 20 mm). Filtri utilizzati: THOUSAND OAKS OPTICAL Class B in vetro. Camera: DSLR Canon 350D @200ISO. Esposizione: 1/125 s. Elaborazione digitale con Astroart 4.0.

▲ 16   Marco Milani ha poi diretto la rivista mensile Astronomia 2000, di cui sono apparsi 10 numeri da ottobre 1983 a luglio 1984.

▲ 17   La produzione del modello Vito B risale al 1954, quando questo apparecchio a corpo rigido fu l'evoluzione dei precedenti modelli a soffietto, fabbricati dalla Voigtlander dal 1939; la produzione delle Vito B continuò sino al 1971, "anno in cui l'azienda entrò in crisi e scomparve dal mercato" Link esterno Fotografia riflessiva.


▲Appendice I 1   Si veda Carl Zeiss - A History Of A Most Respected Name In Optics Link esterno Company Seven.


▲Appendice II 1   Anche le copertine di Karel Thole in: Incontro con Rama Link esterno Catalogo Vegetti, La sentinella Link esterno Idem, Spedizione di soccorso Link esterno Idem, Il pianeta proibito Link esterno Idem.



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