Urania Ligustica

Astronomia versus Astrofisica

La Stampa

Il caso Porro (1911) 1

Astronomia vs Astrofisica


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Titoli


Il caso dell'astronomo italiano all'Università di La Plata
Dichiarazioni di Portela sulle conseguenze della vertenza italo-argentina
(Per telefono alla STAMPA)


Roma, 7 [agosto 1911], notte.

    Mentre ancora pendono le trattative per la soluzione dell'incidente italo-argentino, è venuto a Roma il prof. Porro, già insegnante nell'università di Genova, che fu protagonista del caso Porro, ampiamente illustrato dal vostro Bevione in una delle sue corrispondenze,2 e nella trattazione del quale si scorsero i primi segni del malanimo dei governanti argentini verso le cose italiane. Di questi giorni il ministro degli esteri Bosch, al quale la stampa italiana aveva rimproverato il modo di agire del Governo argentino nel caso Porro, aveva detto che nell'affare Porro il Governo argentino aveva violato la legge di contabilità per far cosa grata all'Italia.

    Il prof. Porro, che è venuto a Roma in questi giorni, è stato interrogato dal «Giornale d'Italia», al quale egli ha detto:

Porro narra...

    «Non intendo uscire dal riserbo che mi sono imposto per non aver l'aria, sopra tutto in questo momento, di voler preoccupare col mio caso personale una grande questione di interesse nazionale. Del resto non ho nessuna ragione di nascondere che sono venuto a Roma precisamente a cagione delle dichiarazioni del dottor Bosch, riferite nel dispaccio di questi al ministro Portela. Mi trovavo in campagna, quando lessi per caso il testo di quel dispaccio. Subito sono partito per chiedere alla Consulta come avrei potuto ottenere spiegazioni su quella parte delle dichiarazioni del dottor Bosch e che mi riguarda.

    – E Bosch – gli è stato osservato – sembra aver voluto dire che l'approvazione della gestione amministrativa di lei avvenne sotto la pressione del Governo italiano.

    – Infatti questo è il solo senso che si possa logicamente ricavare da quelle parole. Ma sarebbe un'altra asserzione arbitraria, da aggiungersi a tutte le sue. A parte la forma straordinariamente disinvolta di tale dichiarazione, il contenuto di questa è distrutto da tutti i dati di fatto inoppugnabili che il Governo argentino conosce. Esso sa benissimo che la mia gestione fu, se pur così tardivamente ed a malincuore, approvata perché non poteva non essere approvata.

    – Il nostro Governo resterà ora sotto il peso di questa nuova grave affermazione secondo la quale esso avrebbe indotto la Repubblica Argentina a sanzionare in via di favore un'irregolarità commessa da un cittadino italiano?

    – L'on. Di Scalea mi promise che la Consulta non trascurerà i mezzi atti ad appurare la portata delle parole del dottor Bosch, che ho motivo di ritenere abbiano destato non poca sorpresa nelle sfere dirigenti della nostra politica estera. Io mi trattengo qui in attesa che sia chiarito questo incidente nell'incidente; ma indipendentemente da ciò io non considero affatto risolta la mia questione, non avendo ottenuta nessuna delle soddisfazioni materiali e morali a cui so di aver diritto. Nutro bensì piena fiducia nell'opera presente del Governo italiano che, sorretto come è dal consenso della opinione pubblica, risoluto che abbia nel modo meglio conforme agli interessi nazionali il conflitto relativo all'emigrazione, saprà certo ottenermi quella giustizia che mi è stata così lungamente e malamente negata e spero che alla mia modesta causa, dopo tante indicibili amarezze, non sia per mancare l'appoggio di tutti gli onesti.

"Si cerca un astronomo"

    Fin qui le dichiarazioni del prof. Porro, il cui caso è veramente strano. Nell'ottobre del 1905 il Governo argentino domandava al Governo italiano, a mezzo del nostro ministro in Buenos Aires, un astronomo da proporre alla direzione del nuovo osservatorio della Plata. Si voleva una autorità scientifica di primissimo ordine; il Governo italiano sottoponeva al senatore Schiaparelli i nomi degli astronomi disposti ad assumere l'incarico affinché egli designasse quello che potesse meglio rappresentare oltre oceano la scienza della patria, e Schiaparelli sceglieva il prof. Francesco Porro dell'università di Genova. La scelta immediatamente telegrafata a Buenos Aires era telegraficamente accettata dal Governo della Repubblica. Nel gennaio 1906 il Porro arrivava a Buenos Aires. Le condizioni contrattuali insistentemente chieste dal prof. Porro a sua garanzia erano state sostituite, per un accordo intervenuto fra il minstro d'Italia, Bottaro Costa ed il Governo argentino, da una disposizione di regolamento che assicurava al Porro l'inamovibilità. Tale assicurazione era ripetuta nel decreto in data 24 gennaio 1906 con cui il presidente della Repubblica nominava il Porro direttore dell'osservatorio e professore nella nuova università della Plata. Il prof. Porro assunse l'ufficio ed assumendolo trovò che gli si era imposto come vice direttore dell'osservatorio, con poteri amministrativi amplissimi, un funzionario inetto e già bollato da due precedenti inchieste. Non per catonismo inopportuno in casa d'altri ma per necessità di difesa da responsabilità amministrative e scientifiche, che gravavano su di lui, il Porro dovè segnalare al Governo argentino il disordine riscontrato e l'impossibilità di impiantare una gestione regolare. Il ministro dell'istruzione, dottor Pinedo mandò una ispezione incaricando un contabile dell'amministrazione della Repubblica ed un ispettore centrale. La relazione pubblicata nel marzo 1906 è pienamente conforme alla denunzia Porro. Essa propone a carico del vice direttore dell'osservatorio un provvedimento disciplinare che la presidenza dell'università di La Plata non ha nessuna fretta ad applicare; ma c'è di più e ciò risulta da nuovi documenti e da nuovi fatti venuti alla luce in questi ultimissimi giorni.

Un tiro dell'Università di La Plata

    L'Università, saputo che il prof. Porro partiva in missione governativa per l'Europa come rappresentante del Governo della Repubblica alla conferenza geodetica internazionale di Budapest, volle avocare a sé la questione dell'osservatorio in nome del principio dell'autonomia universitaria e nominò una commissione di inchiesta dando incarico di estendere le sue indagini ai primi atti amministrativi del Porro. La Commissione eseguì interrogando come perito sul carattere scientifico degli ordini dati dal Porro per la riparazione e l'acquisto di strumenti, un operaio che il Porro aveva chiamato dall'Italia per l'officina meccanica dell'osservatorio e riferisce, alla vigilia del ritorno del Porro, scagionando solo in parte il vice direttore ma biasimando il Porro stesso per aver rivolto a questi accuse temerarie senza tenere, beninteso, il minimo conto della precedente relazione dell'ispettore superiore. Intanto per la sua missione in Europa il Porro aveva ricevuto ordine di valersi, per le sue spese, dei fondi governativi che erano stati messi a sua disposizione anteriormente alla organizzazione dell'università di La Plata; senonché, al suo ritorno in Argentina, il Porro trovò un nuovo regolamento che gli vietò di trattare col Governo federale altrimenti che per mezzo della presidenza dell'Università. Ossequente a tale disposizione, benché la sua qualità di delegato ufficiale della Repubblica alla conferenza di Budapest gli permettesse di comunicare direttamente, il Porro mandò alla presidenza dell'Università la relazione del suo viaggio pubblicata poi in volume ed in lettera a parte, la distinta delle spese sostenute domandando il rimborso all'amministrazione federale. La presidenza dell'università intercettò la lettera e parecchi mesi dopo propose al prof. Porro di caricare le spese accennate sul fondo dell'Osservatorio. Il Porro prima rifiutò, ma poi per la insistenza dell'università, ordinò al segretario contabile, dal quale si fece accompagnare nel viaggio per garanzia della sua missione, di concretare, d'accordo con la presidenza dell'università, la formula di liquidazione della partita. A questo punto cessa apparentemente ogni pratica relativa alla gestione del prof. Porro, perché al tentativo palese di denigrazione succede la congiura occulta e tortuosa. La presidenza dell'università denunziò segretamente alla ragioneria centrale della repubblica (una specie di Corte dei conti) le irregolarità che essa presidenza aveva consigliato attribuendole al prof. Porro, provocando così un rilievo contabile che dà modo di insinuare la malversazione. Ma l'insidia pazientemente preparata non è ancora matura. Bisogna aspettare altri tre anni, mentre il Porro all'oscuro di tutto adempie lealmente ed ingenuamente il suo dovere di scienziato insegnando senza neppure sospettare quale trama sia stata ordita contro di lui. Nell'aprile 1909 egli si trovò per la seconda volta lontano in regolare licenza per motivi di salute.

L'accusa subdola

    La presidenza dell'università ne approfitta per convocare il consiglio superiore, che noi chiameremmo accademico, del quale naturalmente, lo stesso Porro faceva parte e lui assente ed ignaro, formula l'accusa che resta nascosta al Porro sino al febbraio 1910. Nel frattempo tornato al Plata e sempre tutto ignorando, egli partecipa assiduamente alle riunioni del consiglio, presiede la facoltà scientifica, tiene i suoi corsi, lavora nell'Osservatorio e riceve dalla presidenza dell'università e dai colleghi le più esplicite e continue attestazioni esteriori di stima e simpatia.

    Nel febbraio 1910 scoppia la bomba. Pochi giorni dopo aver avuto a pranzo a casa propria il presidente dell'Università, il professore Porro riceve comunicazione scritta della deliberazione presa a sua insaputa 10 mesi addietro, con l'invito di rimborsare le spese arbitrariamente prelevate. Colpito così nel suo decoro e nel suo buon diritto il prof. Porro invoca la testimonianza dell'ex ministro Pinedo, e inizia pratiche per chiarire quello che, a suo parere, non era che un malinteso. Ma il 30 marzo gli si comunica che il Consiglio superiore dell'Università, riunitosi, a sua insaputa, ha preso a carico di lui una serie di deliberazioni che vanno dalla immediata sospensione dall'impiego allo sfratto immediato e alla istituzione di un giudizio in base a nuove accuse non specificate di dipendenti del prof. Porro. Cominicarono allora lunghe trattative, alle quali non fu estranea la diplomazia nostra, ma a nulla valsero. L'Università della Plata fece domandare al Governo la destituzione da una assemblea di professori. Sottoposta la domanda di destituzione al presidente della Repubblica, dottor Figueroa Alcorta,? questi fece invitare al suo privato domicilio il Porro, e compì personalmente una specie di inchiesta, in seguito alla quale si rifiutò esplicitamente di firmare il decreto destitutivo. Un secondo tentativo fu compito con esito negativo presso il vice-presidente della Repubblica, durante una assenza del presidente Figueroa.

La destituzione

    Allora la presidenza dell'Università della Plata pensò bene di aspettare tempi più propizi, cioè l'insediamento del nuovo presidente della Repubblica, Saens Peña, il grande amico degli italiani, quello che a Roma aveva ottenuto onori più che sovrani, e fu proprio il primo decreto concernente italiani firmato da Saens Peña quello, in data 17 novembre 1910, che destituiva senza motivazione il prof. Francesco Porro. D'accordo col conte Cellere, allora nostro ministro a Buenos Aires, il Porro abbandonò definitivamente l'Argentina per sottoporre la cosa al Governo italiano, ed ecco che, mentre la Consulta stava esaminando l'ampio memoriale presentatole dal Porro e i rapporti conforrmi del regio ministro, il Governo argentino, con l'evidente speranza di prevenire l'azione del Governo italiano in favore del Porro stesso, emana un altro decreto in data 24 febbraio 1911, col quale, udite le favorevoli spiegazioni dell'ex-ministro Pinedo e nell'intendimento che alla nazione amica non appaiano eccessive le misure prese a carico del Porro stesso, si approva la gestione amministrativa di questi e si ordina il pagamento degli stipendi arretrati. Il decreto stesso venne pubblicato sul giornale ufficiale, ma non è comunicato né al ministro d'Italia né al procuratore del professore Porro e rimase a tutto oggi lettera morta. Questa fin qui, nei suoi minuti particolari, la storia poco edificante di questo incidente di un nostro connazionale col Governo della Repubblica argentina. L'incidente non ha naturalmente nessun punto di riferimento con quello in via di soluzione, ma serve a lumeggiare quali siano, in parecchi casi, le vere direttive della politica argentina nei nostri riguardi.

Intervista col ministro argentino

    Dell'attuale incidente non vi è in vista alcuna soluzione. Lo ha lasciato capire il ministro dell'Argentina dott. Portela, il quale, in una nuova intervista da lui concessa alla Tribuna, ha detto fra l'altro:

    – Io posso considerarmi fuori di causa. Sono i due Governi che trattano direttamente e anche a me conviene aspettare che si giunga alla soluzione desiderata da tutti, italiani e argentini. Si tratta sopratutto di una questione morale tanto da parte dell'Argentina quanto da parte dell'Italia e le questioni morali hanno il vantaggio, per la loro natura, di non prestarsi alla possibilità di piccoli contrattacchi e di piccole rappresaglie.

    – La soluzione – ha domandato il giornalista, – è lontana?

    – Non so che dire a questo proposito. Di ufficiale non mi consta assolutamente nulla e tutto si riduce alla mia personale opinione che non so quanto possa valere. Non è già una questione materiale che si possa risolvere con un ben combinato piano di do ut des ma è peggio di una questione materiale, perché vi si è ficcato di mezzo il cavillo.

    – E da parte di chi?

Provvederanno gli inglesi

    – Anche da parte dell'Italia. L'Italia si è piccata, forse un po' più del necessario e forse senza tener conto che molti dei suoi interessi ne soffriranno, del provvedimento del governo argentino, perché è vero che l'Argentina soffrirà immensi danni dalla sospensione dell'emigrazione itliana laboriosa e attiva, ma non è meno vero che l'Italia ha impugnato un coltello a doppio taglio. Se si potessero fare i conti in base a dati positivi sinceramente vagliati e ammessi da ambo le parti, io non giurerei che la bilancia traboccherebbe dal lato dell'Argentina. I giornali hanno detto in questi giorni che uno dei maggiori danni che sarebbe per derivare all'Argentina dalla mancanza della emigrazione italiana sarebbe stato integrato dalla sospensione delle costruzioni ferroviarie. Ebbene, non si è tenuto conto di una cosa essenziale e cioè che le nostre ferrovie tuttora in costruzione sono affidate a imprese inglesi, i cui rappresentanti, subito dopo il catenaccio dell'Italia alla sua emigrazione, hanno telegrafato a Londra esponendo lo stato delle cose e chiedendo parere e siccome, alla stretta dei conti, sarebbero proprio gli inglesi a rimetterci perché le ferrovie debbono essere consegnate in un dato tempo, non le pare che gli inglesi penseranno a provvedere in un modo qualunque? A voler giudicare con prudenza, ecco che per questo lato, la emigrazione italiana in Argentina non è indispensabile. Si è parlato dell'agricoltura e più specialmente dell'imminente raccolto del grano e degli inconvenienti che saranno provocati dalla mancanza di mano d'opera. E sta bene. Ma in Italia non si sa che molti dei più forti produttori di grano della Repubblica Argentina sono appunto italiani. L'Italia così verrà a fare il danno di parecchi suoi connazionali rispettabilissimi. Insomma il danno è di tutte e due le parti e ciò porta alla urgenza di una soluzione pronta ed efficace. Italia e Argentina sono legate da troppi interessi comuni, che sono frutto di lunga e costante amicizia e i colpi che l'una tentasse di dare all'altra sarebbero in pari tempo risentiti dal ferito e dal feritore.

Un giornalista italiano

    Chi anche prende le cose dal punto di vista del dott. Portela è il comm. Basilio Cittadini, direttore della Patria degli Italiani di Buenos Aires. Egli è stato interrogato [<1-2>] a Genova sui danni cui vanno incontro Italia e Argentina.

    – Il divieto dell'emigrazione italiana in Argentina – ha detto – per ora non produce nessun effetto nocivo ad essa. Il danno sarebbe grande qualora tale divieto si prolungasse fino alla metà del mese di settembre, epoca che determina in grandissima parte la cosidetta emigrazione temporanea. È fuori dubbio che in questo caso l'Argentina ne avrebbe un danno incalcolabile, tanto più che il raccolto di quest'anno si annunzia copiosissimo. Mancando le braccia, la parte buona del raccolto non potrebbe essere mietuta, e ciò sarebbe disastroso.

    – Ma ella non crede che l'emigrazione da altri paesi di Europa possa crearci una concorrenza?

    – No, le braccia italiane non si possono surrogare.

    – In che misura crede che ne risentirebbero i nostri connazionali possidenti?

    – Ecco un punto gravissimo della questione. Purtroppo in massima parte gli effetti ricadrebbero sui nostri coloni laggiù stabiliti, perché essi rappresentano circa i sette decimi della produzione agricola. Qui in Liguria abbiamo circa 15.000 italiani reduci dall'Argentina che possiedono qualche miliardo di fortuna conseguita specialmente con imprese agricole. Ma certo questo non deve influire sulla deliberazione del Governo italiano, se esso crede che vi sia di mezzo una questione di dignità nazionale.

    – È esatto quanto si dice a proposito del pessimo servizio sanitario dell'Argentina?

    – In verità il servizio quarantenario per quanto riguarda i passeggeri di terza classe è da parecchi anni deficientissimo. Sotto questo punto di vista, il paese non è punto progredito.

Nessun fatto nuovo

    In sostanza nessun fatto nuovo verso una soluzione dell'incidente. Il Governo dell'Argentina non ha trasmesso che un solo comunicato al suo rappresentante a Roma, dicendo che nulla aveva deciso. Questa determinazione è successiva alla deliberazione presa dal Consiglio dei ministri di Buenos Aires, ed è quindi da ritenere che il Governo argentino non abbia stimato opportuno affrettarsi a prendere una deliberazione conciliativa. Sembrerebbe, a ogni modo, che il punto di vista del Governo argentino per la soluzione conciliativa dell'incidente sia questa:

    – Noi – afferma qualche ministro argentino – continuiamo a considerare la misura presa dal Governo argentino di carattere tecnico e priva di significato politico. Il Governo italiano ha preso la determinazione assai grave del decreto di sospensione dell'emigrazione. Essa è stata eccessiva e tocca quindi al Governo italiano di fare i primi passi sulla via della conciliazione.

    Per quanto sia noto che questo punto di vista non ha alcun sapore ufficiale, esso dimostra – dice il Giornale d'Italia – come il Governo argentino, nonostante le spiegazioni del nostro sottosegretario, Di Scialea, non si sia reso conto di tutta l'opportunità incresciosa, ma inevitabile dell'atto del Governo italiano.




1 "Il caso dell'astronomo italiano all'Università di La Plata", La Stampa (8/8/1911), pp. 1-2; accessibile in Link esterno Archivio storico La Stampa.

Si sottolinea che si tratta di un articolo su quattro colonne in prima pagina.

2 .

? José Figueroa Alcorta (1860-1931), presidente dal 1906 al 1910 Link esterno Wikipedia.

? Roque Sáenz Peña (1851-1914), presidente dal 1910 al 1914 Link esterno Wikipedia.



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