Urania Ligustica

Delizie in villa

Federigo Alizeri

Guida artistica per la città di Genova (1847) 1

Delizie in villa


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Frontespizio


Pieni la mente ed il cuore di tante grandezze ripigliamo il cammino su pel colle di Carbonara sul destro lato dell'Albergo, a cui volgeremo un ultimo sguardo tostochè dominiamo la valle. E un desiderio sentiremo destarcisi nell'animo a quella vista; che dalla pubblica beneficenza si raccolga una somma che basti a demolire il fianco della montagna che da ponente s'indossa, per cosi dire, all'edifìzio, e coll'umido della terra, e delle piogge turba la salubrità dell'interno, e nuoce alla fabbrica.

Prima che la pietà de' fedeli coronasse queste alture di tempii devoti, i luoghi che per noi si passeggiano non erano che un chiuso di ville seminate di case campestri, che davano un aspetto di coltura alle falde della scoscesa montagna di Carbonara. Innanzi al secolo diciassettesimo il solo romitaggio di S. Barnaba, che ne tiene il sommo, prestava gli uffizi del culto agli [<1126-1127>] abitanti di questa pendice. Nel 1592 i PP. Cappuccini, recenti possessori di quella chiesuola solitaria, fecero pensiero di ridursi al basso in convento meno angusto e più vicino alla città, e a' 23 di marzo supplicarono i serenissimi Collegii per la cessione di due poderi con casa e villa, che pareano acconci a tal uopo, situati a un dipresso ove sorge attualmente la chiesa che prendiamo a descrivere. Ma vedemmo come nel corso dell'anno suddetto si ponesse mano a quella della Immacolata Concezione che i cittadini destinarono fin da principio ad asilo di questi frati, ond'essi desistettero dall'impresa tuttochè il Senato annuisse benignamente alla supplica.

Profittarono del caso altri religiosi, cioè gli Agostiniani scalzi, riforma degli Eremitani portata nel 1593 di Spagna a Genova dal P. Andrea Diaz, i quali da un lustro circa stanziavano in santa Margherita della Rocchetta alle radici di Carignano. Chiesero a lor posta i fondi suddetti, e n'ebbero la cessione sotto il giorno 6 maggio del 1566 il P. Gio. Paolo da Genova, ed Agostino M. da Savona lor vicario generale. Laonde misero tosto in assetto una picciola chiesa, o com'altri vuole, occuparono una cappella già quivi esistente col titolo di S. Gerolamo, cambiatole il nome in quello di S. Nicola.

Tra i proprietarii delle ville circonvicine si [<1127-1128>] contavano i fratelli Giovanni, Benedetto e Paolo Moneglia, per nobiltà di sangue, ma più di costume ragguardevoli tra i cittadini. Essi presero a favorire l'Ordine che volea stabilirsi nel sobborgo di Carbonara, e in particolare il Giovanni che noi troviamo nell'antecedente supplica dei Cappuccini come loro intercessore presso il Senato. né gli Agostiniani scalzi trovarono in lui minore appoggio; n'ebbero anzi tanti benefizi quanta fu l'ingratitudine con cui nel ricambiarono in diverse epoche i frati successori. Egli non istette pago a spogliarsi della proprietà di una villa per innalzarvi una chiesa più nobile e degna ad uso degli Agostiniani, ma si obbligò di far questa a sue spese, di fabbricare un convento attiguo, e di mantenervi dodici Padri, null'altro salvando per sè che il giuspatronato, e il diritto alle insegne gentilizie, ed alle lapidi in memoria della fondazione 1. Rifece del proprio [<1128-1129>] la via pubblica per agevolare I'accesso a' devoti, aggiunse comodi al monastero, ornamenti alla chiesa; in una parola non cessò, finchè visse, di beneficarli per ogni guisa, e se nel testamento da lui consegnato nel 1609 al notaio G. B. Valdettaro rinnovò severa memoria degli obblighi a loro imposti, ciò venne per avventura dal desiderio che i superstiti imitassero il suo esempio, o perché la sconoscenza de' beneficati cominciasse a trapelare da molti indizi.

1 Le quistioni insorte in varii tempi intorno a questi fatti per la continua pervicacia de' PP. vogliono che si accerti fin d'ora la verità con un brano del testamento di Giovanni Moneglia, rogato il 2 settembre del 1609. – Item quia ipse testator fabbricavit ecclesiam cum dormitorio et tota fabbrica quae est ad commodum dictae ecclesiae, et etiam accommodare fecit viam publicam pro commodo dictae ecclesiae sub titulo S. Nicolai de Tolentino in villa Carbonariae extra muros Januae expensis omnibus ipsius testatoris......... e più sotto: vult et ordinat......... ut in omnibus locis dictae ecclesiae [<1128-1129>] et totius ejus fabricae, compraehenso etiam dormitorio ac in refetorio, lavatorio et cameris reponi debeant etiam in pictura insignia ipsius Joannis cum verbis ipsis: Joannes Monelia filius Jacobi suo aere totam fabricam ipsam fecit et fieri fecit, ut semper sit et stet sub ejus nomine etc. etc. – L'atto in cui si contengono le convenzioni co' PP. è del 1596 in atti del notaro Agostino Romairone. Ivi sono indicati i confini della villa sovra la quale pose i fondamenti della nuova chiesa di S. Nicola: ......... possessionem cum domo posita in villa Carbonariae, cui cohaeret superius via vicinalis, ab occidente via publica, ab oriente fossatus, inferius partim via publica, et partim Baptistae Morinelli.

La chiesa fu principiata nel 1597: monsignor Matteo Rivarola arcivescovo di Genova vi pose la prima pietra. né gli Agostiniani scalzi ricusarono di aderire ai patti conclusi col pio benefattore; locarono sulle designate pareti lo stemma de' Moneglia, e vi affissero le lapidi indicanti con precisione e chiarezza i favori di Giovanni. [<1129-1130>]

Riporto le più brevi: Joanni Moneliae Iacobi filio ecclesiae et monasterii aedificatori preces. Si leggeva questa sotto il busto del fondatore nella vecchia sacristia; ma con maggior diffusione testimoniava i fatti una seconda incastrata sovra la porta all'esterno: Summo Deo et Divo Nicolao de Tolentino sacrum. – Templum, sacrarium claustrum, aream et viam, ornamenta et instrumenta Ioannes Monelia lacobi filius suo aere a fundamentis coepit, extruxit, dedicavit pietatis et posteritatis ergo. – Anno a Christo nato MDXCVII. Arroge, che il loro cronista fra Gio. Bartolommeo da Milano conferma questi avvenimenti, e non lascia d'accennare, che i Padri appena ultimata la fabbrica del convento nel 1602, vollero occuparlo ad insaputa de' signori Moneglia, e se non erano i buoni uffizi de' loro amici, ne sarebbero stati espulsi per sempre dal fondatore giustamente irritato di sì mostruosa ingratitudine.

Non mi regge la pazienza a narrare in quante guise e in quant'epoche studiassero essi a cancellare le tracce de' benefizi ricevuti da Giovanni Moneglia, poich'egli passò di vita. Non v'ha generazione succedutagli nel patronato a cui non toccasse por freno e colla ragione e colla forza a siffatti agguati, né forse havvene alcuna che placandosi a preghiere e promesse non colmasse i padri di novelli favori. Tra questi [<1130-1131>] discendenti non posso tacere la signora Eugenia Balbi Moneglia, che mossa da' giuramenti che gli Agostiniani rinnovarono per atto pubblico, e dalle penitenze addossatesi persino nelle ore del refettorio, ad istanza del lor priore fra Valeriano da sant'Agostino adornò la chiesa di ricche suppellettili, e ristorò con molta spesa il convento nel 1680 o poco appresso. Come si mantenessero le proteste il dichiarano i fatti d'Agostino Salvago succeduto ai Moneglia nel diritto di patrono; venuto in cognizione che gli obblighi impostisi da' frati eran caduti da molto tempo in assoluta negligenza, ottenne a' 25 ottobre 1728 mandato dell'arcivescovo Nicolò De Franchi di espellere gli Agostiniani, e introdurre altri religiosi nel chiostro di S. Nicola, facoltà riservatasi dal testatore. I frati se ne appellarono alla curia romana, la quale provvide con buoni temperamenti; ma la Repubblica, vedendone leso il privilegio concessole da varii Papi, che cioè niun cittadino possa astringersi a stare in giudizio presso corti straniere, addocchiò tra i Padri gli autori della mena, e quattro ne cacciò prima dal convento, poscia dallo stato. Simili brighe toccarono a' figliuoli del Salvago nel 1742 quando i suddetti religiosi sotto il priorato di P. Arcangelo dell'Epifania, tolsero dalle pareti ogni stemma, e bisognò l'autorità del Senato per [<1131-1132>] rimetterle al primo luogo. Questi fatti, siccome sovrabbondanti alla narrazione, e forse d'incresciosa memoria all'Ordine che uffizia anch'oggi esemplarmente la chiesa di S. Nicola, avrei taciuti, se di mezzo a tante controversie non potesse riuscir dubbiosa a' meno cauti la generosa opera di Giovanni Moneglia. Oltrechè l'appurare una verità non è sempre fatica gittata, e a questo ho mirato eziandio coi presenti cenni, giovandomi de' documenti stampati in Genova nel 1828 [1728?] all'epoca de' litigi col marchese Salvago.

Coll'aiuto di tali scritture comincio del pari l'esame artistico della chiesa e del convento. Quel ch'io trovo degli architetti ch'ebber mano nella fabbrica non è tanto prezioso alla descrizione ch'io imprendo, quanto alla storia delle nostre arti. Poche notizie e confuse s'han nel Soprani di Bartolommeo Bianco lombardo, e a legger quel poco si crederebbe chiamato a Genova per opere pubbliche, cioè all'epoca delle nuove mura, e trattenutovi poi da privati. Ma io veggo non solo Bartolommeo adoperato fra noi fin dal 1614, ma scuopro come il padre di lui fin dal 1599 esercitava in Genova l'arte medesima, e aggiungo un grado a questa famiglia d'artisti, che abitaron quivi finchè non la spense il memorando flagello della peste. A' 22 ottobre dell'anno suddetto per atto rogato da Giulio Romairone [<1132-1133>] nella casa di Gio. Moneglia situata sulla piazza de' mercanti Cipriano Bianco si obbligava verso quel patrizio a costrurre nel termine d'un anno il convento degli Agostiniani scalzi, e un Battista Bianco interveniva alla stipulazione come fideiussore per lui. Bartolommeo Bianco che si qualifica filius D. Cipriani comparisce in una scrittura del 1614, nella quale conviene col priore fra Bartolommeo da santa Maria Maddalena e con tutta la congregazione de' frati d'aggiungere un braccio al convento dal lato orientale mediante lo sborso di lire 13,000. Potrebbe supporsi che co' disegni di Cipriano, o d'un maestro Andrea Ceresola che nel nominato contratto gli è aggiunto come soprintendente alle opere, venisse alzata la chiesa; ma né per l'uno né per l'altro si trovano sicuri indizi. Di quel ch'è certo, dico del convento, non è mestieri il dir altro; basti l'aver conosciuto che la famiglia Bianchi onde uscirono parecchi valentuomini erasi stabilita in Genova fin dal secolo XVI.

L'interno d'ambedue queste fabbriche non deve lasciarsi con un nudo catalogo d'opere, non poche essendo le mutazioni fattevi, parecchie le aggiunte, né dispregevoli le cose fin qui dimenticate. Per la chiesa eseguì una tavola Bartolommeo Guidobono, ed è quella sul primo altare a sinistra con sant'Agostino che riceve da Maria [<1133-1134>] la cintura, ma non è da tacere, che nel sopprimersi il convento della Visitazione già posseduto da questi Padri, ne accolse un'altra del medesimo autore, la quale rappresenta N. D. confortata dagli angeli ne' suoi dolori, ed è collocata nella cappella di fronte. E il tacerla sarebbe fallo più grave se consideriamo quanto la seconda prevalga in sì vicino confronto, non dirò per arditezza e velocità di pennello che son pregi d'ogni suo lavoro, ma per certo sentimento e sapore di grazia che mai non s'attende in pittore manierista. Eguale temperamento ai difetti non so trovare in Gio. Andrea Carlone di cui si notano due vasti quadri nella prossima cappella di S. Nicola, e lascio al Ratti l'uffizio di lodarle ampiamente siccome ei fa, posponendo ogni dote di verità e di ragione a' vezzi d'una pratica cieca e temeraria. I soggetti ch'egli vi figurò sono, la peste cessata al recarsi processione l'imagine del santo, e questo stesso che giacendo infermo ricusa di cibarsi d'un pollo. Senza che li direi viziosi anche in quelle parti che vi cerca il suddetto scrittore a titolo di lode, dico nella composizione che mi riesce affatto disordinata e capricciosa, e ne' modi d'esprimere meno suggeriti dalla meditazione che da una fantasia che disdegna ogni freno. Se lodiamo in costoro un far vivace e libero non è oltraggio al lor nome; poich'essi [<1134-1135>] medesimi non voller altro. Potrebbonsi attribuire alla scuola di lui gli affreschi che fingono nella vòlta la gloria del santo, e forse a lui stesso, quando si tengano per ristorati da mano altrui. Comunque sia, li lascio senza rimorso all'antico obblio; né so rammaricarmi del non sapere da fonte sicura chi scolpisse il gruppo in legno dell'altare. Ch'esso derivi da' successori del Maragliano non mi par dubbio, e s'io dovessi cercargli un nome m'atterrei al Navone; benché il distinguere un imitatore fra molti imitatori sia fatica d'esito incerto, e di leggier frutto. Nella seconda cappella a mancina non si scrissero se non due piccioli quadretti di G. B. Paggi che esprimono il convito di Cana, e i profanatori del tempio, deboli cose per tale artista, danneggiate dal tempo, degne appena di nota. Io non posso lasciare al silenzio la statua in marmo di N. D. della Misericordia ch'è dentro alla nicchia, poiché, se non mi fallano i documenti, uscì dallo studio di Taddeo Carlone 1. Lo stile però viene in conferma di quel che asserisco, [<1135-1136>] e poco mi grava la mediocrità dell'opera, che fatta intorno al 1609 ci mostra quel lombardo già decrepito e bisognoso d'aiuti.

1 Lo raccolgo da una particella del testamento di Giovanni Moneglia rogato, come dicemmo nel 1609........... vultque etiam et mandat ipse testator quod sui haeredes teneantur et debeant fabricari facere in dicta ecclesia capellam sub titulo B. M. V., et in dicta capella reponere statuam marmoream dictae B. M. V. fabricatam per magistrum Thadeum Carlonum, et quae est in apotheca ejusdem magistri Thadei, quem magistrum Thadeum solvit sua mercede ipse testator.

Alcuni affreschi di poco momento si accennino colla dovuta brevità. Sente del Tavarone quel quadrilungo sopra l'ingresso, con sant'Agostino che porge ai frati la regola, e de' minori Semini quell'ovale ch'è nel vòlto colla figura del titolare. Gli angeli e le Virtù sull'alto del presbiterio debbonsi a Giuseppe Passano, e gli ornati a Giac. Picco; lavori modernamente eseguiti, cioè nell'epoca in cui si pose sull'altar principale una statua in legno di Maria venerata prima nella chiesa della Visitazione, toltone un sant'Agostino dipinto dal Boni che fu appeso in un andito del chiostro.

La sacristia ci mette innanzi un pittore, ignoto in tutt'altri luoghi o privati o pubblici di Genova. È Tommaso Lodovico Languasco nativo di S. Remo, che nel 1690 prese in questa chiesa l'abito degli Agostiniani e mutò nome in quello di Tereso Maria. Studiò al secolo sotto G. B. Carlone; ma quanto profittasse degli esempi di lui è facile a conoscersi quivi da ben dodici tavole che dipinse per ornamento delle pareti. Dieci di queste han martirii od altre glorie dell'ordine, quella dell'altare l'imagine di S. Nicola, l'ultima che sovrasta alla porta le dispute [<1136-1137>] di sant'Agostino ne' concilii. Questa mi par buon documento a conchiudere, che il Languasco, abbastanza felice in iscarse composizioni, fosse mal atto o per natura o per istudio alle copiose. Nelle altre appena si scorgono indizi del maestro; ma della franchezza e dell'energia che gli manca si studia a rifarsi con altre doti, come sono una certa diligenza e una soavità di colori assai grate allo sguardo.

La rappresentazione de' martirii sostenuti dagli Agostiniani per la fede, continua in varii quadri entro la nobile biblioteca de' PP. Non meno di sei mi parvero frutto dello stesso Languasco de' quali non dirò i soggetti, piacendomi distinguer gli autori che v'hanno il minor numero. È degno di speciale memoria, benché non si colleghi alle istorie, un quadro ivi locato di Gio. Andrea Defferrari col transito di S. Giuseppe. Quando ho chiesto per gentilezza di visitar quel locale, io non ignorava che Gioachino Assereto lasciò nel convento di S. Nicola alcun saggio del suo spiritoso pennello; ma una sola tela io vi trovo che non mi lasci dubbioso dello stile di lui, ed è quella del B. Bonifazio crocifisso ed arso da' saraceni; sì bella però, e piena di tanta evidenza, da compensarmi la pochezza del numero. Un'altra co' supplizi del B. Ernando mi rammenta lo stile di G. B. Carlone, e le credo [<1137-1138>] più volentieri dacch'egli trovò commissioni presso questi religiosi, come già ci ha persuaso il succoso affresco, che quivi nel vòlto della biblioteca rappresenta sant'Agostino vittorioso delle eresie. V'è sottoscritta la data del 1643, epoca della virilità di lui; di che verrebbe un bel suffragio all'opera, ove non si sapesse che questo insigne dalla gioventù agli anni decrepiti fu sempre eguale a se stesso. Un Tommaso Ferro discepolo di lui figurò nelle lunette alcune scienze ed arti; unico saggio che ce ne resti, incapace a dargli nome, e che in vicinanza del maestro non può conciliargli se non dispregio.

Null'altro mi resta ad aggiungere intorno a questa chiesa; benché molto rimanga agli onori degli Agostiniani scalzi. Proseguendo noi per un'ardua salita che ritenta l'altura sul fianco sinistro, non tarderemo a scoprire un'altra chiesa da lor posseduta col titolo di Santa Maria Assunta, o volgarmente della Madonnetta. Ne attestano il culto molti indizi di pietà, e singolarmente una cappella che occorre per via, nella quale pare che si gareggiasse a radunare ornamenti, poiché vi si trovano spoglie di più antico altare, com'è il paliotto con bassorilievi di Cristo e d'apostoli, improntati dello stile montorsolesco. Ma tronco ogn'indugio e vengo a dir della chiesa. [<1138-1139>]

Un giovine padre di quest'ordine e di questa casa di S. Nicola, Marino Sanguineti, nato in Genova nel 1658, poi nominato nella religione Carlo Giacinto di santa Maria, passeggiando un bel dì lungo la villa annessa al convento in compagnia d'altri padri, accennava loro quella eminenza che si leva a tergo della chiesa or descritta, e diceva che un giorno si vedrebbe sorgere colà non oscuro tempio in onore di Maria. Nutriva egli da gran pezza cosiffatto pensiero, ardentissimo com'era d'affetto per la gran Donna, né sapea, meditando all'opera, staccar l'occhio da questo sito in allora selvaggio, dove ancora si lasciavan discernere gli avanzi d'un'umile chiesetta disfatta dal tempo e da lunga incuria 1. Né potè distornelo il contrario giudizio di molti, che dicevano già soverchio il numero de' santuarii intitolati a Maria su questi monti che fan cerchio alla città; oltreché i padri vorrebbero recarsi con debita frequenza ad uffiziare in questo nuovo, mentre il disagio del salire, [<1139-1140>] e la distanza avevano procacciato alla suddetta chiesa l'abbandono e la rovina? Altri allegavano l'incomodo che verrebbe a' divoti quando pure s'invaghissero di trascinarsi fin colassù; gran sudare e trafelare sotto il sole d'estate, d'inverno sarebbe un intirizzire tormentoso a voler poggiare su questa altura, ove sbuffa un impetuoso rovaio che si versa dall'imminente Castellaccio, e di primo urto la ferisce.

1 Era questa anticamente dedicata a santa Margherita. Nel 1590 gli Agostiniani scalzi ne fecero sua prima dimora, e ristoratala alla meglio, ne cambiarono il titolo in quello di S. Giacomo apostolo. Si ardì mettere in istampa ch'essa esistesse fin dal 384, e che in tal'anno fosse visitata da santa Monica in un suo tragitto per Genova; pietose invenzioni da lasciarsi ai più creduli.

Ma umano consiglio nol ritrasse dal primo divisamento, anzi avvenne cosa che più e più lo invogliò di compirlo. Un Giambattista Cantone savonese che attendeva alla mercatura in Trapani risolvette di tornarsene l'anno 1686 alla vòlta di Genova, e come il viaggio non era breve né immune di pericoli, e dovea commettere al mare la sua diletta famiglia, portò seco una statuina di N. D. col putto, comperata da uno scultore di quella città, tenendosi abbastanza sicuro contro le insidie dell'elemento ove sol si vedesse l'imagine di sì benigna patrona. Diffatto afferrò sano e salvo le nostre spiagge, tuttoché più d'una fortuna lo avesse còlto durante il cammino, e a quanti l'interrogavano del viaggio venia narrando delle ricevute grazie, e del picciolo simulacro. Giunte tai nuove all'orecchio della nobil donna Eugenia Moneglia, venne in gran desiderio di avere il prezioso [<1140-1141>] pegno, e avutolo dopo molte e fervide istanze, lo fe' riporre nel suo palazzo in decorosa nicchia, recitandovi ogni dì, non ch'ella, ma tutti i suoi domestici a coro rosarii e giaculatorie. Venuta a morte questa pia dama, e rimasta erede delle sue facoltà la figlia, Isabella Moneglia Salvago, il P. Carlo Giacinto che da qualche tempo struggeasi di possedere la divota imagine, non durò gran fatto ad ottenerla in dono da quest'ultima, e la destinò in suo cuore a regina del tempio che intendea di costrurre.

Privo qual'era d'ogni mezzo, e contraddetto da molti si commise del tutto a Dio per l'esecuzione del suo pensiero; ed ecco tra non molto gli è data ogni facoltà dal priore dell'ordine, e da un dabbene signore tanto denaro che bastasse a mettere in piedi un'umile cappella, di cui si gittarono i fondamenti nel 1689 entro il recinto della cadente chiesuola di S. Giacomo. Il volgo le diede il nome di cappelletta, e veramente era così angusta che i soli sacerdoti poteano starvi al coperto per celebrare i divini uffizi; il popolo era forza che si stesse a' cancelli o alla grata di ferro che chiudeva l'ingresso. E nondimeno il concorso de' fedeli fu prodigioso infin da' principii; e parve bell'augurio a' futuri destini del santuario quell'affollarvisi che faceano i cittadini nel più fitto della vernata a venti e [<1141-1142>] piogge, e'l restar quivi più ore alle intemperie, quasi godendo, che il merito tornasse loro maggiore da' disagi che spontaneamente affrontavano.

Furon questi gli esordj della chiesa presente, la quale non tardò molto a vantaggiare sia nella mole, sia nel culto per le sollecitudini del fondatore. Nell'anno 1692 e nel seguente egli fece solenne incoronazione della statua la vigilia dell'Assunta onde le rimase questo titolo; e già prima d'allora avea cresciuta la cappelletta di uno stanzino per uso di sacristia. Ma a ciò non era pago lo zelo di Carlo Giacinto, che divisava di consecrare a Maria un tempio di non ignobili forme, e di sufficiente contegno, e deve attribuirsi ad effetto di sì religioso trasporto ciò che fino da que' principii disse un giorno all'architetto Anton Maria Ricca: Siate certo, che non volgeranno cinque anni, che in quest'area sorgerà una chiesa più vasta del nostro S. Nicola, e voi ne darete il disegno.

E i fatti avverarono il pronostico, poiché spianate ad un tratto le difficoltà che di bel nuovo insorsero, poté locarsi a' 4 di maggio del 1695 la prima pietra dell'edifizio, che nel febbraio dell'anno seguente fu in tale assetto da traslocarvisi l'imagine, e si vide compiuta nel successivo agosto; onde il 15 di tal mese, giorno della [<1142-1143>] Titolare se ne fece solenne apertura, e vi si celebrò la prima festa. Il che parve prodigioso per uomo privo d'ogni aiuto, dal suo zelo in fuori, e per sovraggiunta scorato, anzi combattuto d'ogni parte. – A me non tocca il tener dietro a questi particolari; essi s'hanno per disteso nella vita del fondatore, scritta da un padre Giacinto dello stesso ordine, dalla quale io ricavo quanto fa al mio bisogno.

Il nome dell'architetto, già riferito di sopra, mi fa entrar di volo nella descrizione. Questo Anton M. Ricca sconosciuto del tutto ai biografi, non vuol confondersi con quell'altro del medesimo nome che a proposito d'alcuna fabbrica ci occorse di nominare nel contesto dell'opera. Ci vieta di pur sospettarlo l'epoca di costui, che fioriva ancora sulla metà del secolo appresso, e torrebbe ogni dubbio la diversa fine dell'uno e dell'altro, poiché l'Anton Maria giuniore morì al secolo tormentato dalle sciagure e dai debiti; il vecchio, terminata appena questa chiesa, domandò l'abito monastico, e si rese frate in questo convento di S. Nicola. A giudicare dal disegno ch'ei die' della chiesa, si direbbe istrutto nell'arte da maestri lombardi, o sui loro esempi; certo è che egli, aggiunto che fosse alla storia, crescerebbe onore alla natale Liguria e alla propria famiglia. Fu padre per avventura del [<1143-1144>] Giacomo Ricca ed avolo dell'Anton Maria che in Genova gli succedettero nell'esercizio architettonico; mel fa credere l'ordine degli anni, ed il costume d'allora che facea le bell'arti quasi ereditarie ne' parentadi.

Non son molti nell'interno gli oggetti d'arte, e pochissimi tra questi son tali da meritar lungo esame; ma se cerchiamo diligentemente nella chiesa e ne' luoghi annessi, non ci dorrà della visita. Parecchi di questi furono procurati al santuario dal fondatore medesimo; altri da chi lo seguitò nell'amministrazione e nello zelo. È dei primi quell'ovale dell'Eccehomo posto ad un altarino incavato nel muro sull'un fianco di chi entra, nel quale intraveggo così tra la luce ed il buio lo stile di Giuseppe Palmieri, e fors'anche l'altro rimpetto dell'Addolorata, quantunque nol dicano le memorie del P. Carlo Giacinto. Di bellissima imagine avea decorato il primo altare a destra, ch'or ne mostra una men che mediocre; e quella passò, non so quando, alla sacristia che per ciò solo ci tratterrà lunga pezza. Forse fu allora, che a Sebastiano Galeotti si commise una tela del medesimo soggetto, ch'è l'annunciazione di Maria, collocata sul terzo altare da questo lato; tavola a cui non mancheranno osservatori per quel bagliore che a prima giunta rapisce. È facile il vedere, come sia anteriore [<1144-1145>] alla fondazione quell'altro quadro ch'è sull'altare di mezzo ed esprime la madre de' Zebedei nell'atto di presentare a Cristo i due figli, perché opera di Giambattista Paggi, e ragionevole il supporre, che nell'epoca della costrutta chiesa si comperasse, come acconcio alla nicchia, da più antichi possessori. Se non è de' migliori che uscissero da quel nobilissimo pennello, chi'l direbbe però de' suoi mediocri? Né tutte vi si veggono le originarie bellezze; ché siccome a molti de' suoi dipinti nocque l'umido e l'oscurità del sito, così nocque al presente la troppa luce assorbendone e disseccandone le tinte più leggere. Cosa strana, ma vera; e n'è prova il continuo scolorire d'una bella scultura in legno figurante N. D. col putto che pose quivi sui gradini il vivente Stefano Valle. Alle origini del tempio può riferirsi senza tema d'errore la tela del Crocifisso di Raffaello Badaracco, unica che meriti d'esser notata sulla parte sinistra.

Era disegno del venerabile Carlo Giacinto di formare una cripta sotto il pavimento a metà della chiesa, e quivi riporre un'imagine di Maria Addolorata con in grembo l'estinto Redentore; ma sopraggiunto da morte non poté mandarlo ad effetto. Né il lavoro avea per anco avuta esecuzione l'anno 1728 quando si stampò la vita di lui, ove è scritto a proposito di tal'opera, [<1145-1146>] che dovrà essere pensiero de' Padri il compirla. Ora vi si veggono e la cripta e le statue, che allo stile debbono giudicarsi d'Anton M. Maragliano; ond'è a supporre che i successori non tardassero gran fatto ad appagare i voti del fondatore.

Del resto sappiamo di lui, che bastògli la vita non solo ad innalzare e porre in ordine la chiesa, ma ben anco a decorarla secondo il suo zelo, e a fornirla degli arredi che esige la dignità del culto. Sua cura speciale fu d'abbellire lo scurolo o cappella sotterranea ch'è in capo, e tien l'area inferiore dell'altar principale, ove disegnò di porre e pose infatti la miracolosa imagine di Maria di cui s'è fatto cenno più sopra. Bei marmi di vario colore la incrostano all'esterno e al di dentro insino al vólto, il quale fu dato a dipingere al prete Guidobono savonese. Egli vi figurò l'incoronazione di N. D. simboleggiando le virtù di lei con molti putti all'intorno che ne tengono gli allusivi; lavoro copioso quanto il comporta la strettezza del luogo, e corretto quanto permettea il secolo e il gusto dell'artefice. Il venerabile P. Carlo Giacinto, cessato ai vivi nel 1721 fu sepolto innanzi a questo divoto altarino, oggetto delle sue più calde sollecitudini, colla seguente iscrizione: Jacet hic intus humilis Pater Carolus Hyacinthus: Obiit anno 1721 die [<1146-1147>] 23 aprilis. Troppo modesta memoria, e troppo inferiore al merito, se non parlassero efficacemente in lode di quest'uomo le opere presenti. Alle quali aggiungo, ch'egli nel 1700, la notte del Santo Natale incoronò la statua con corona d'oro e di gemme, e procurò che lo scurolo medesimo fosse consecrato da monsig. Borelli vescovo di Noli a' 19 giugno del 1707, cioè un anno dopo la consecrazione della chiesa solennizzata dal vescovo di Sagone Mons. G. B. Costa, come certifica un'epigrafe al destro lato della porta.

Altre testimonianze ed altri frutti della sua pietà ci porgeranno l'altar maggiore ed il coro; benché non v'ha pietra costì che non ci ragioni di lui. Il primo è ricco e celebrato per un gran numero di reliquie ch'egli stesso vi depositò, recategli in dono, la maggior parte, da persone divote. Dal 1727 in poi se ne solennizza l'uffizio la quarta domenica dopo Pasqua per indulto speciale del Pontefice Benedetto XIII. In prospetto del coro son due imagini della Vergine (tante ei fu vago di esporne alla comune adorazione) dì merito diverse. La prima, che ne dà poco più del viso è in un picciolo ovale dipinto da quel Carlo Dolci fiorentino, il cui pennello parve solo animato dalla religione e dal cuore. A chi non uscì di Genova, o non frequentò [<1147-1148>] le private gallerie può solo farne pruova questa preziosa Madonna tutta spirante candore e modestia, e d'un affetto così spontaneo e celeste, che ripetuta in mille copie, non si direbbe abbastanza intesa da alcuno. È l'altra una statua in legno che la rappresenta col divin figlio in collo, opera del veneziano Domenico Bissoni, ma di quelle molte che fan torto alla sua fama. Tenea da principio il bel mezzo della parete; ma il P. Carlo Giacinto la trasportò in una nicchia ovata sul cornicione, e il luogo stesso sembra occultarla allo spettatore. Prima che in questa chiesa stette ad un'altare de' padri Serviti, ove egli da giovinetto solea recarsi ad ossequiarla; onde ci si racconta d'un suo motto proferito (allorché fu portata quivi) colla tranquilla ilarità dell'uomo religioso: Mentre io era fanciullo, o Signora, io venni a visitar voi; ora che sono cagionevole ed infermo vi compiacete di visitar me.

S'io non mi resi ingrato a chi legge, alternando alla descrizione di questa chiesa le memorie di chi la innalzava, farò bella conclusione all'articolo colla maggior sacristia formata sulla manca del coro, ove ogni oggetto ci parla di lui, e de' suoi fatti. Non pongo in questo numero una vasta tela col presepio, affissa ad una delle pareti, dipinta, a quel che pare, fa' fratelli del [<1148-1149>] Guidobono; ma niuno vorrà guardarla se non quanto vi s'imbatton gli occhi, né la vedrà senza gridarla vero aborto di pittura, vero ingombro del luogo. Se non che v'ha pure tal quadro da rifarcene ampiamente, ed è un'Annunziata colorita in tavola, e posta al disopra degli scaffali. Uscì senza dubbio da maestro fiammingo sui principii del secolo XVI o poco innanzi, ed è cosa di tempra sì gentile, di tale e tanta espressione, di magistero sì diligente, che di questa sola potrebbe la chiesa vantarsi a ragione. Non mi meraviglio che d'una imagine cotanto ripiena di celeste candore andasse perduto il P. Giacinto, egli che vedeva sì addentro nelle cose celesti. L'ottenne in dono dalle monache di S. Sebastiano che ab antiquo la possedevano; ove la ponesse allora, e quando sia da supporre che essa si traslocasse alla sacristia, s'è detto di sopra, né giova il ripeterlo. Quivi sul destro angolo è la povera celletta ove il buon padre traea la vita fra le orazioni e le penitenze, e sovra l'uscio della medesima l'effigie di lui pennelleggiata dal Waymer, e riprodotta col bulino del Rossi in fronte alla sua vita. Gli fanno corteggio intorno alle pareti altri ritratti d'uomini chiari nell'Ordine degli Agostiniani scalzi, e parecchi di questi improntati del medesimo stile; fra i quali discerno agli arnesi dell'arte, il Ricca architetto, [<1149-1150>] che vestì l'abito, siccome dicemmo, terminata ch'ebbe la fabbrica. Qual'altra chiesa ha tante memorie, e sì eloquenti del fondatore?

Né qui finirebbero le cose degne d'osservazione se il tempo ci premesse meno, tra le quali non potrei a meno d'arrestarmi ad un affresco rappresentante la cena in Emaus che il Guidobono dipinse nel refettorio, e ad un grazioso modellino di Nicolò Traverso figurante l'Immacolata che si vede entro piccola nicchia nella sacrista inferiore. Un alto rilievo in marmo della Pietà, scolpito da Domenico Parodi per la piazza ch'è d'innanzi alla chiesa, opera non dispregevole, e certo ingegnosa se guardi alle angustie del luogo per cui fu eseguita, può vedersi sull'uscire, se già non fu considerata da chi m'è compagno, sul primo giungere.

Passando la valle che s'approfonda sulla mancina, e risalendo il prossimo colle, scopriamo da lungi l'antico romitaggio di S. Barnaba [...]




1 F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, vol. 2, parte 2ª (Genova, G. Grondona, 1847), pp. 1126-1151 Link esterno Google libri (per Princeton University).

Sebbene Paris Maria Salvago non sia citato, i cenni a suo figlio Agostino e ai nipoti sembrano inequivocabili: anche il Santuario della Madonnetta è stato beneficiato dalla famiglia, ma il suo luogo di sepoltura deve essere stato S. Nicola da Tolentino.



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