Urania Ligustica

Delizie in villa

Federigo Alizeri

Guida illustrativa del cittadino e del forastiero... (1875) 1

Delizie in villa


Indicatore di completezza


Ma omai ci tarda la vista del monumento in cui si raccolgono per gran parte le religiose memorie di questo Comune; intendo la maggior chiesa, che già illustre da sé per origine antica e per lustro di moderni ornamenti, avanzò in dignità innanzi allo aprirsi del secolo che noi viviamo per gli uffizj parrocchiali qui tramutati (siccome ho detto) da S. Martino.

Usciti che siamo in prospetto del mare, e tenendo a sinistra, non tarderà d'affacciarsi; ed è bello a sapere che l'ampia Strada, diritta secondo il lido che spumeggia dell'onda marina, e lunga quanto allungasi l'abitato, si mostra insigne del nome di Cristoforo Colombo; ben a ragione, perché l'intrepido vincitor dell'Oceano si legga alla luce del cielo che si confonde all'azzurro delle acque e alle curve della lontana riviera.

S. M. DELLA CELLA, a cui per le mutazioni suddette s'è aggiunto altro titolo di S. MARTINO, è tal chiesa da gloriarsene non pure un modesto Comune ma qualsiasi città più cospicua. Entra anch'essa a disputarsi l'onore d'avere accolte le spoglie di S. Agostino nel lor tragitto di Sardegna a Pavia, confortandosi della tradizione che fa Liutprando fondatore d'una chiesa in vicinanza di Genova per la cagione medesima. Lo Schiaffini non si appaga di tanto, e contende che quivi esistesse già prima una chiesuola consecrata a S. Pietro, che ricostrutta dalla pietà del re longobardo assumesse l'appellativo di S. Agostino appresso il deposito delle preziose reliquie.

Io non vò perigliarmi in siffatte tenebre; ma credo volentieri ad una epigrafe riferita dal cronista suddetto, e murata già (per quel ch'egli afferma) nell'angolo d'una prossima casa; per la quale le fondazioni dell'attual chiesa di S. M. della Cella si condurrebbero almanco al duodecimo secolo, ed avrebbero autori un Jacopo di Borgo e una Battistella dei Doria, nobilissima schiatta che per volger di tempi fece sempre sua cura e delizia il decoro di questo tempio.

Ch'esso cedesse in Commenda non può dubitarsene, dacché fra gli altri che ne godettero il beneficio si registra quel Ludovico del Fiesco cardinale di S. Adriano sotto Urbano VI nel 1381. Eugenio IV nel 1436 lo incorporò al monastero di S. Benigno; ma poco durò, ché sei anni appresso per bolla emanata in Firenze lo concedette agli Eremitani di Lombardia ad istanza del P. Giovanni [<657-658>] Rocco pavese primo autore di questa Riforma. Non tacerò che il Penoto, in un tratto di tempo fra il possesso dei Commendatarj e de' monaci di S. Benigno, introduce a governo di S. M. della Cella i Canonici regolari di Crescenziaco, scemati ben tosto di numero, e poscia del tutto estinti dopo l'incendio del monastero lombardo e il disciogliersi di quella Congregazione.

Ma l'Ordine degli Eremitani allegò saldamente in codesta stanza fin presso alla nostra età, o dirò meglio le accrebbe onore e la fece illustre. Basti dire che in questo chiostro vestirono l'abito, nel 1442 il P. Benigno Peri lodatissimo dallo Spotorno fra i dotti del secolo XV, e nel 1450 il P. Battista Poggio fondatore della Congregazione di Genova e della chiesa così celebrata sui primi passi del Bisagno.

Alcuna parte dei cenni storici vuol pur mescolarsi all'esame delle opere ch'io prendo senz'altro a descrivere, avvertendo anzi tutto la fresca giunta che s'è fatta alla chiesa per lo suo lungo, e il novello prospetto ed il nobile ingresso; tuttoché, a passeggiar la contrada, si porga per avventura più pronta una porta di fianco, sulla quale per mano dello Storace è un dipinto che allude all'antico e al nuovo titolo.

Del presente edifizio non ho l'epoca certa; né però mi par dubbio ch'ei si debba agli Agostiniani, ed abbiasi a scrivere nel secolo XVII. Per salde notizie ci è dato asserire che per opera loro voltossi nel 1639 la cupola che s'indossa sì bene all'intiero corpo e gli addoppia magnificenza. Dai Doria ripetasi il coro, e quanto in esso è di bello e di suntuoso. Un Bartolommeo lo rifece del 1453 nell'attuale ampiezza; un Filippo nel 1596 lo dotò d'annue lire 400 di cartularj, e i costoro discendenti in più età l'arricchirono di monumenti marmorei, di pitture, di plastiche e d'oro.

Segnate così le precipue membra del mezzo, dirò gli ornamenti che d'ora in ora vi si operarono. E i passi che noi prendiamo dal fondo mi stringono a notar primo quel che per epoca vorrebbe esser ultimo; cioè la medaglia con s. Martino iniziato da fanciulletto alla Fede, eseguita da Nicolò Barabino poiché la chiesa fu tratta a un tal più di lunghezza. Preesistevano le tre compagne, non più addietro per altro che a nostra memoria. Giuseppe Passano colorì la seconda colla visione del Santo: Giovanni Fontana la terza col prodigio del vino, e l'estrema un Luigi Morasso pittore oscuro e vissuto gran tempo lontano dalla nativa Sampierdarena, ove è espresso Valentiniano sbigottito dalle fiamme miracolose.

Gli anzidetti Fontana e Passano si partirono socialmente (e crederei [<658-659>] ad un tempo con quel lavoro) i pennacchi della cupola. Riconosci lo stile del primo nelle figure della Giustizia e della Prudenza, dell'altro in quelle della Fortezza e della Temperanza. Una tela in figura di mezzo circolo che copre il fianco ove l'arco è rinchiuso, si scorge ad acuta vista per opera assai dilicata d'Orazio Deferrari. V'ha s. Agostino che lava i piedi a Cristo in figura di pellegrino: argomento che il detto pittore trattò in altra tela per la chiesa che già possedevano su queste alture gli Agostiniani, intitolata dalla Crocetta.

Ma in questa primeggiano per copia e splendidezza di lavori il presbiterio e la tribuna e il Capitolo. Seguendo l'andar degli anni additerò primamente i marmorei sepolcri innalzati quivi intorno dai Doria entro il girar d'un trentennio, aggiungendo quel tanto che mi porgono gli atti sul conto de' loro autori.

Va innanzi ad ogni altro quello di Ceva Doria, ordinato nel 1574 dai costui fedecommessarj per prezzo di 500 scudi. Tre artisti s'accordarono d'accomunare tra sé il lavoro e i guadagni: Bernardino di Novo, Gio. Giacomo da Valsoldo e Taddeo Carlone rappresentato da Giovanni suo padre che morì l'anno appresso. Qual dei tre concepisse l'opera o l'eseguisse per maggior parte non è facile a dirsi, ma prevale la maniera dell'ultimo a visibili segni.

Seguì il monumento di Giambattista un biennio dopo, locato di contro al suddetto sui fianchi all'altar maggiore. Quest'altro commisero a Taddeo Nicolò ed Ottaviano Doria; e in qual pregio tenessero l'artefice è palese dalla mercede che a lui proposero in 1600 lire, con altre cento di soprammercato a giudizio di Mons. Cipriano Pallavicino arcivescovo. Né fa mestieri di troppa acutezza a conoscere che in linea di diligenza, se pur non vogliamo di virtù e dottrina, queste due sepolture prevalgono alle tre altre che fregiano il coro e sui lati e di fronte.

Si maturarono queste nel corto spazio d'un anno, a tener memoria d'Ottaviano, di Nicolò e di Filippo, ch'è quanto a dire di quei medesimi che avean procurato i due primi depositi. Portan tutti la data del 1604; ed è pronto il conoscere che usciron tutti dalla officina del Carlone predetto che ancor durava, quantunque già vecchio, fra i vivi. Più di lui stesso dovettero avervi mano gli ajuti o i discepoli; né pur di lui s'ha a tacere come usasse negli anni maturi appagarsi del poco e ingegnarsi a menomar le fatiche. Delle statue che sormontano queste urne, la Vergine è libera imitazione dal Sansovino, e il S. Giovanni non libera copia dal Francavilla. [<659-660>]

Ciò nondimeno di quanta maestà s'avvantaggi per questi marmi il santuario, non è mestieri che si ripeta. Ma s'io dovessi recar giudizio di que' dipinti che in varj tondi e lunetti e fra speciose cornici rivestono il vòlto, vorrei lodar sovrattutto la cura, la pulitezza, l'amore col quale si mostrano imaginati e condotti. Non credo che Domenico Fiasella ci debba riuscire sull'arricciato più coscienzioso ed accorto pittore di quel ch'ei faccia in queste dieci medaglie, ove i misteri di N. D. gli dieder agio a significare i più teneri affetti e a sfoggiare di bei partiti. Né alcuna leggenda o poema varrebbe a raccontare con più d'eloquenza o ad onorare con affetto più pio le virtù, i patimenti e le glorie della Madre Divina.

L'altare a sua volta ha decoro di marmi, e si onora d'un gruppo scolpito nel secolo scorso da Pasquale Bocciardo, rappresentante la Vergine assunta alla gloria celeste. Delle quali cose tutte m'è uopo spedirmi con brevità, dacché le due navi laterali danno pur esse copiosa materia ad allungare la nostra visita.

Riguardevol dipinto è un'ancona con s. Francesco stimmatizzato sul primo altare a man dritta, comechè ne sia ignoto l'autore. Non così la data, ch'è il 1540, segnata al sommo della cornice d'intaglio ricchissima e messa d'oro sul gusto dell'accennato secolo. Congetturando allo stile, potrebbe recarsi al Bombelli o ad altro di quella scuola, non però ad artefice qualsiasi fiammingo come venne in fantasia di taluno.

Si venera nella seconda Cappella e si festeggia con principale solennità un'imagine del Salvatore, esistente già in certa edicola non lungi dalla Lanterna. Ad accoglierla più degnamente su questo altare, furon dati a dipingere a Giuseppe Passano quel coro d'angeli sul vòlto, e que' Profeti nei peducci, e quelle Sibille sui fianchi; lavori non trascurati come spesso gli usciron di mano.

La terza non ha cosa notabile, ma n'è compenso nell'altra appresso; non già per l'affresco ch'è pur del Passano e figura la gloria di s. Bernardo, sì per la tela rarissima ch'è sull'altare, col Santo estatico nella contemplazione del Crocifisso. Di questa onoravasi un tempo la chiesa di S. Martino, e con tutta ragione; ch'ella è delle bellissime e delle più spiritose che mai lavorasse il Grechetto. E degno consiglio fu il traslocarla nella nuova parrochiale, e degno sarà il custodirla con quella cura che ben si merita.

Direi fattura del Bertolotto il s. Pietro con altri Beati nella Cappella che fa prospetto; e d'assai migliore, e in miglior condizione [<660-661>] è quell'altra tela che in fronte della nave sinistra presenta il mistero della Natività di Maria. Robusta e varia alle tinte, spedita e fiera all'esecuzione, briosa e lieta nel suo complesso, rivela (s'io ben m'appongo) il magistrale pennello d'Andrea Ansaldo.

Né vuol fraudarsi di lunga attenzione quel vasto quadro che pende sull'uscio della sacristia, e in numerosa composizione di figure dimostra s. Francesco Borgia che strettosi al Crocifisso rifiuta le vanità del secolo. É opera elaborata di G. B. Carlone, e deriva per avventura dalla chiesa ch'ebbero un giorno i Gesuiti non lungi a gran tratto, intitolata a S. Pietro in Vincoli. Direi gran pregio di questo tempio, se ristorata della lunga incuria, e locata in istabil sede, ritornasse in quel lustro che le compete.

Corriam difilati all'altare che vien secondo a chi volge in addietro. Non vedeste forse, né forse sarete mai per vedere di Luca Cambiaso più caro giojello di questa tavolina che vi porge a mirare Maria col Bambino e con angeli, e 'l Precursore in atto di adorazione. Lascio stare la squisitezza singolarissima della pittura; ma i vezzi che tutta la informano, la novità della scena, il poetico degli episodj, e una cotal riposata serenità che tutta riveste l'azione, non so che trovino esempio fra quante son tavole di questo insigne. – In cospetto di tante bellezze, regge l'animo a pena per accennare a quegli angeli che il Passano ideò sulla vòlta.

Per altri fregi si discerne fra le altre la terza Cappella edificata nel 1606 pel patrizio Castellino Pinello, anche in nome di Battina sua moglie e figliuola di Nicolò Piccamiglio. Il committente non la vide ultimata; e troviamo nei rogiti il figlio Paride a sciogliere il debito per le pitture. Di queste ebbe lode Bernardo Castello; e chi guarda alle piccole istorie di N. D. composte nel volticciuolo, non tarderà a noverarle fra i suoi lavori più diligenti. Consta altresì dagli atti che la Cappella avea titolo da Maria Lauretana, e che una tavola di tal soggetto avea fatta Bernardo per questo altare. Ora è sacrata al Rosario, e il dipinto ha ceduto il luogo ad una statua di scarso valore.

Sporge all'infuor della nave un grazioso santuario, avanzo (io mi penso) del vecchio edifizio, e raccomodato nel nuovo a Battezzatorio; elegante d'una gentil cupolina, tutta messa a rilievi di lacunari e rosoni, e incrostata per forma di zoccolo di quadri invetriati a colori; ornamenti d'altissimo pregio che paion compendio del cinquecento. Più tardi restauri lo deturpano in parte e una [<661-662>] tela che v'è del Battesimo (del Bertolotto o del Raggi che sia) mal risponde allo stile delle opere; ma dura e durerà il bel complesso, finché viva in cotesta chiesa l'antica e lodevole usanza del conservare.2

Della quale appaiono indizj per ogni dove; sì che dal rintracciarne qualcuno non dee ritenerci un istante l'estrema Cappella con la sua tela dell'Annunziata, meschino lavoro degl'infimi Semini. Affrettiamoci alla Sacristia, nella quale ci sarà più gradevole un altarino, o se vuoi tabernacolo, murato in un angolo; prezioso intaglio del quattrocento con bel cimiero all'un capo e ricca mensola al fondo, e con nel mezzo Gesù che s'erge dal sepolcro fra teste di serafini e altri fregi di varia ragione.

Di simil gusto e soggetto, ma in più grandi misure, è un'altra lapide fermata nel muro d'un chiostro attiguo, spettabile anch'esso per gli ordini ond'è costrutto, sebbene sformato di murature e d'intonachi. Crederei che il presente intaglio provenga da stranio luogo, e fu onesto il serbarlo che fecero, ed anzi l'ornarlo in più età posteriori, come attesta il basamento, dilicata fattura del secolo XVI, e le barocche volute composte più in qua sui due lati.

Sotto due forme d'uomini vestiti di cappa e atteggiati a preghiera, si legge in caratteri gotici: Raphael de Coronato Lichinus de Canali ministrarii: MCCCCLXIII. Tal leggenda fa cenno a spedale; e per noi non s'ignora come in capo a Sampierdarena esistesse in antico sotto il titolo di S. Giovanni un Ospizio fondato da un Borbonoso, di cui s'ha memoria dal 1196, e alcun cenno del 1212 fra i lasciti di Simon Doria.

Aggiungi che con titolo di ministri o di ministrarj si trovan notati i preposti agli Ospizj, e che del 1228 un prete Bernardo ministro di questo si rendea tributario d'una cotal misura di vino all'Abbazia di S. Siro. Ma lo Spedale di S. Giovanni dovette sopravvivere ben poco al lavoro di questa lapide, dacché nel 1471 per bolla di Sisto IV fu incorporato al Pammatone di Genova, insieme a quegli altri di Rivarolo e di Morigallo.




1 F. Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova, e sue adiacenze (Genova, L. Sambolino, 1875; anastatica: Bologna, Forni, 1972), pp. 661-662 Link esterno Google libri (per University of California Southern Regional Library Facility); scheda bibliografica Link esterno OPAC SBN.

È stata qui trascritta l'intera descrizione della chiesa di Santa Maria della Cella, a Genova Sampierdarena Link esterno Wikipedia.

2 La cappella Salvago (Pinelli dal 1745), era stata quindi già modificata in battistero ante 1875. Si rimanda, in proposito, a quanto annotato in calce a Ratti (1780) e Magnani (2007).



HTML 4.01 Transitional valido!    Day & Night... Night & Day!    CSS valido!
© Riccardo Balestrieri 2015-2016  –  Revisione 2 XII 2016  –  P. M. Salvago  –  Delizie in villa  –  Indice generale  –  Urania Ligustica