Urania Ligustica

Delizie in villa

Massimiliano Spinola

Dissertazione intorno alle negoziazioni diplomatiche... (1877) 1

Delizie in villa


Indicatore di completezza


XIV.

     In Genova non s'ignoravano le incomportabili pretensioni del Re Luigi XIV; tuttavia quando si conobbero i duri ed umilianti patti conchiusi a Versaglia coll'interposizione diretta del Nunzio pontificio, l'universalità dei cittadini si commosse e ne ricevette la più dolorosa sensazione.

     Il Doge convocò subito i due Collegi, per deliberare [<126-127>] se doveasi o no ratificare il suddetto trattato. Nella interessante discussione che in questa seduta ebbe luogo, e della quale il Casoni reca un largo riassunto, prevalse il parere più prudente e più saggio, cioè quello di ratificarlo. Il Minor Consiglio nominò poi i quattro senatori, che dovevano accompagnare il Doge, e furono Gioannettino Garibaldi, Marcello Durazzo (1), Agostino Lomellini e Paris Maria Salvago (2); inoltre stabilì ciò che doveasi fare dai deputati in ossequio al Re, e quali dovessero essere le onorificenze da conferirsi al Doge nella sua qualità di capo della Repubblica.

     Caldi e patriottici sentimenti furono espressi tanto dai membri della maggioranza, quanto da quelli della minoranza; i quali ultimi piuttosto di ratificare condizioni così umilianti, preferivano proseguire a difendersi fino all'estremo, e soffrire con coraggio i mali derivati [<127-128>] da una onorevole sconfitta. Considerando però i primi l'abbandono in cui Genova era lasciata dalla Spagna, dall'Imperatore e dal Papa, reputavano minor male soggiacere alla prepotenza del Monarca francese, serbando la propria libertà ed indipendenza, di quello che con una inutile resistenza esporsi al pericolo di essere riposti sotto il dominio della Francia, ovvero da essa in tutto od in parte dati in potestà del Duca di Savoia suo alleato. Il Papa specialmente avea dichiarato che ove la Repubblica non ratificasse il trattato di Versaglia, ei non intendeva di assumere in favore dei genovesi alcun maggiore impegno. Dalle discussioni del Minor Consiglio riferite dal Casoni, si deduce pertanto ad evidenza l'erroneità dell'affermazione di vari scrittori francesi, che narrano come il Governo sia stato costretto a ratificare il trattato dal popolo insorto.


XV.

     Il Doge Francesco Maria Lercaro (3) giunto in Parigi, dopo un breve ritardo, a fine di procurarsi quanto occorrevagli alla pubblica udienza di Versaglia, s'affrettò a domandare d'essere ricevuto il più presto possibile dal Re Luigi. Dietro tal richiesta l'introduttore degli ambasciatori, Signor Bonoglio (de Bonneuil), notificò all'Inviato della Repubblica che nel giorno [<128-129>] fissato per l'udienza del Doge sarebbesi mandato il Maresciallo D'Humieres con le reali carrozze a levare Sua Serenità ed i quattro Ecc.mi Senatori per condurli a Versaglia, aggiungendo l'ordine che il Doge salendo in carroza dovesse dar la mano al suddetto Maresciallo, e finita l'udienza accompagnato dai quattro senatori dovesse recarsi a far visita ai Principi Reali, allo stesso Maresciallo D'Humieres ed al Ministro per gli affari esteriori il Signor di Croissy.

     Cotesto cerimoniale umiliante era suggerito dai ministri francesi De Croissy, Seignelai e De Louvois, ed approvato dal Re, coll'intento d'avvilire, nella persona del Doge, maggiormente la Repubblica di Genova; per questo i regii consiglieri si giovarono dello aver monsignore Ranucci trascurato (benchè nella sua relazione al Cardinale Cibo si vantasse d'averlo fatto) di convenire sul ricevimento dovuto al Capo d'uno Stato libero e indipendente.

     Il Doge udito l'ordine riferito dal Bonoglio, col quale non solo s'abbassava la sua dignità, ma recavasi grave sfregio alla Repubblica, convocò a consiglio i quattro sentori per deliberare sul da farsi. Esaminata attentamente la cosa, risolsero d'inviare il de Marini al Signor di Croissy, con l'incarico d'esporgli essere la missione del Doge diretta unicamente ad ossequiare Sua Maestà, e che quindi nella sua qualità di primo magistrato della Repubblica non avrebbe potuto consentire a far visita pel primo ai Principi reali, e tnto meno dar la mano al Maresciallo D'Humieres e visitare i [<129-130>] personaggi menzionati dall'Introduttore. Il Croissy udendo la giusta replica, con alterigia e sommo calore disse: « Sembrargli molto strano che il Doge ricusasse di porgere la mano al Maresciallo col pretesto che fosse di grado a lui minore, perchè la carica di Maresciallo era vitalizia, mentre la dignità dogale non durava più di due anni, ed anzi il Lercaro era prossimo a terminare il suo biennio ». Dipoi con maggior pacatezza osservò all'Inviato in riguardo alle visite da rendersi ai Principi, che se bene questa condizione non fosse specificata nel trattato v'era però sottintesa in forza delle consuetudini, e conchiuse dichiarando che se il Doge si rifiutava ad eseguire quanto gli si era notificato dal Bonoglio, non si sarebbero mandate le carrozze per condurlo alla reale udienza. Il Doge udita la risposta, tenne una nuova consulta coi quattro senatori; nella quale fu deliberato di cedere rispetto alle visite ai Principi, nella considerazione che i medesimi, ad eccezione d'uno o due, dimoravano nel palazzo di Versaglia; e si soggiunse che il Doge consentirebbe a dar la mano al Maresciallo, qualora il Re persistesse in questa volontà, dichiarando che lo si sarebbe fatto solo per compiacerlo; ma quanto alle visite officiali al Maresciallo ed agli altri si proseguirebbe nel rifiuto. Questa deliberazione fu partecipata dal De Marini al Croissy, e da quest'ultimo al Re; il quale soddisfatto della sommisione mostrata dal Doge, in caricò il Croissy di far conoscere all'Inviato genovese: « che ogni cosa per tal guisa restava accomodata, ed anzi egli, per far cosa grata al Doge, [<130-131>] non avrebbe mandato il Maresciallo ». Così aggiustate le differenze del cerimoniale, venne fissato il giorno del ricevimento.


XVI.

     È noto lo splendido e fastoso accoglimento fatto dal Re Luigi XIV al Doge della Repubblica, come pure è noto il discorso pieno di riverenza e nello stesso tempo dignitoso recitato da quest'ultimo, non che il suo nobile contegno in quella stessa sommissione, lodato perfino dagli apologisti del potente Monarca (4).

     Intorno al detto ricevimento conviene però indicare un'altra particolarità, cioè il buon effetto prodotto sull'animo di Luigi XIV dal discorso pronunciato e dall'attitudine decorosa del Doge durante l'udienza.

     Sappiamo dal De Marini che nel giorno stesso del ricevimento Luigi XIV, mentre pranzava, disse a voce alta essere il Doge di genova di molto spirito e di molto merito; ma quello che più aveva apprezzato in lui era l'avere nell'atto stesso del fare la sommisione conservato il carattere di Principe, tenendo un contegno nè troppo ardito nè troppo timido. Lodando poi il discorso, notò che in mezzo quarto d'ora aveva esposto quanto altri avrebbero detto in una lunga [<131-132>] orazione; il che confermando madama la Delfina, avvertì che sebbene la lingua italina fosse abbondante, sarebbe stato difficile restringerlo in meno parole; evidente contrassegno dello spirito e della dottrina de' quali il Doge era fornito. Aggiunge anche il de Marini, che gli elogi fatti al Doge dal Re e dalla Delfina dispiacquero ai signori di Saint Olon, Giacomo Raggi ed abate Meloni, che presenziavano il pranzo; anzi il Saint Olon affermò ad altri cortigiani, che tutto ciò che si credeva un merito nel Lercaro era una falsa apparenza, adducendo in prova diverse asserzioni calunniose ed erronee. Se non che, ciò udendo il marchese di Termes e la Delfina, non poterono contenersi dal redarguirnelo.

     Alla buona impressione fatta sull'animo di Re Luigi XIV devonsi poi attribuire le cortesie usate dal re e dalla Corte al Doge ed ai senatori in tutte le occasioni, non che la speciale festa da ballo apprestata in Corte ad onoranza dell'ambasciata straordinaria genovese (5). [<132-133>]

     Finalmente nel giorno 26 maggio 1685 il Doge accompagnato da tre senatori, perchè il Salvago era malato, ebbe dal Re l'udienza di congedo. In questa occasione pronunciò eziandio un breve discorso, in cui mostrossi (forse per prudena) non solo ossequioso, ma alquanto piaggiatore. Luigi in tono benevolo rispose: « Che da ora innanzi bisognava dimenticare ciò che era avvenuto. Essere suo desiderio conservare buone relazioni colla Repubblica, e poter assicurare Sua serenità ch'egli lo diceva sinceramente e l'avrebbe provato in tutte le occasioni che si fossero presentate ». A queste officiose espressioni altre ne aggiunse di stima verso la Repubblica e la persona del Doge (6).


     (1) Marcello Durazzo, era il capo del partito francese in Genova. Egli fu uno dei quattro che nel Minor Consiglio votarono contro la proposizione di Gio. Francesco Brignole, che respingeva le condizioni dettate dal Seignelai dopo il primo attacco contro Genova [p. 127].

     (2) Paris Maria Salvago, lodato già dal mio amico avv. Desimoni come cultore delle discipline astronomiche, è quello stesso che vedesi indicato in una lettera scritta da un nobile all'Inviato di Genova in Parigi, la quale trovasi unita al carteggio manoscritto del Ranucci col Cardinale Cibo. Ivi si racconta che Paris essendo uno dei deputati al Signor di Seignalai, ed avendo inteso da costui che non lascerebbe pietra su pietra se i genovesi non dessero le soddisfazioni richieste dal re, proruppe in queste parole: « Basta a noi che ci resti tanto terreno da potervi scolpir sopra LIBERTÀ, ed ivi morir liberi » [p. 127].

     (3) Le particolarità intorno al soggiorno del Doge in Parigi, son quasi tutte estratte dal carteggio di Paolo De Marini coi Collegi [p. 128].

     (4) Questo ricevimento venne narrato presso che identicamente dagli scrittori francesi e genovesi, il che dimostra che tanto in Francia quanto in Genova le relazioni officiali erano conformi [p. 131].

     (5) Doc. II. - Io son d'avviso che appunto in occasione di questa festa il Doge Lercari, alla domanda del Seignelai: Che cosa avesse trovato di più ragguardevole in Versaglia, rispondesse: « Quella di vedermivi ». Però nè il De Marini nel suo carteggio, nè alcuno scrittore coetaneo genovese fa menzione di questo motto arguto, che riscosse le lodi di Luigi XIV e dei suoi cortigiani, ed in conseguenza del popolo francese come di tutti gli scrittori di quella nazione. Il Leti racconta questo fatto nel suo Teatro Gallico (vol. II, pag. 405), affermando che la risposta fosse indirizzata alla Delfina dalla quale il Doge era stato interrogato. Nè il silenzio del De Marini e degli scrittori genovesi toglie già che sia vero quel motto, come l'altro parimente menzionato dal Voltaire: « Il Re ci toglie la libertà con guadagnare i nostri cuori, i suoi ministri ce la rendono ». Il Voltaire non cita mai alcuna autorità; ma sappiamo dalla sua corrispondenza, ch'egli scrisse dietro notizie intese conversando con persone già appartenenti alla Corte di quel Re, di cui compilava più il panegirico che la storia. Il Grimm, nella corrispondenza letteraria, rendendo conto del Secolo di Luigi XIV scritto dal Voltaire, osserva che se il Seignelai avesse proseguita la sua domanda, chiedendo al Doge qual cosa trovasse di più biasimevole, questi avrebbe potuto rispondere mostrando Luigi XIV: « Costui (c'est lui) che non mantiene i trattati, che è prepotente coi deboli, che toglie la libertà civile e religiosa ai suoi sudditi » [pp. 132-133].

     (6) Nel giorno 20 giugno 1685 dal Doge e dai quattro senatori fu data al Minor Consiglio in voce una succinta relazione della loro andata in Francia, dimora e ritorno in Genova; e vennero esibiti i doni avuti dal Re [p. 133].




1 M. Spinola, "Dissertazione intorno alle negoziazioni diplomatiche tra la Repubblica di Genova ed il re Luigi XIV negli anni 1684 e 1685", in Storia del bombardamento di Genova nell'anno MDCLXXXIV. Libro inedito degli annali di Filippo Casoni, a cura di A. Neri (Genova, Tipografia del R. Istituto Sordo-Muti, 1877), pp. 126-133 Link esterno Internet Archive; scheda bibliografica Link esterno OPAC SBN.

Le note, riportate a pie' di pagina, sono qui rinumerate e collocate alla fine.



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