Astrofilia I

L'astrofilia ligure nel Novecento

RICORDI DI UN ASTROFILO

Luca Maccarini


*UL home


Indice
 
1. Le origini di una passione
2. I miei primi strumenti
3. Esperienze di fotografia astronomica
4. Arrivano le comete
5. Osservazione di stelle variabili
6. Astrometria cometaria
7. Conclusione
App. I – L'invasione dei telescopi giapponesi
App. II – Fantascienza in tv e al cinema
App. III – Cara vecchia pellicola


Alla storia della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese
e dell'Osservatorio Astronomico di Genova è dedicata una pagina specifica.


1. Le origini di una passione

Spesso mi è capitato di leggere, o di sentir dire, che lo spettacolo offerto da un'eclisse od il passaggio di una cometa luminosa in cielo contribuiscano a farci riscoprire la bellezza del cosmo ed a far nascere in noi un interesse per l'astronomia.

Sono nato a Genova nel 1963, qualche anno dopo quell'indimenticabile mattina del 15 febbraio 1961, quando l'ombra della Luna percorse uno stretto lembo di terra della nostra penisola, regalando ai miei genitori ed a molti italiani uno dei più suggestivi spettacoli che la Natura possa offrire: un'eclisse totale di Sole. L'11 agosto 1999 ebbi anch'io l'occasione di osservare dalla Turchia, nel meraviglioso scenario naturale dell'altopiano anatolico, a Dogantepe nella regione di Amasya, l'ultima eclisse totale di Sole del secolo scorso e, come tanti anni prima accadde ai miei genitori, di rimanerne affascinato. 1 ▼

Il ricordo di quell'esperienza è ancora oggi impresso indelebilmente nella mia memoria, ma la passione per le scienze naturali, la fisica e l'astronomia ebbero origini ben più lontane nel tempo quando, all'età di dodici anni, conobbi Mario Pelissetto: un ragazzo poco più "grande" di me e studente del primo anno al Liceo Scientifico. 2 ▼

Mario rappresentò un tassello importante nel cammino della mia formazione e maturazione personale. Dotato di una grande dose di curiosità, fantasia e inventiva, divenne in breve un mio costante punto di riferimento, una persona dalla quale c'era sempre da imparare moltissimo, una fonte di dialogo e di confronto e talvolta di ispirazione. I suoi interessi, quando iniziai a frequentarlo, erano molteplici: la paleontologia, la geologia, la cosmologia, l'elettronica, l'informatica, la lettura di romanzi di fantascienza, la musica.

Ricordo con un pizzico di nostalgia le moltissime giornate trascorse in sua compagnia, durante le quali ricreavamo insieme divertenti esperimenti di laboratorio di fisica, come la scomposizione dello spettro luminoso attraverso un piccolo prisma di vetro, o l'oscillazione dell'ago magnetico di una bussola perturbato da una debole corrente elettrica, oppure la costruzione con il legno compensato di ripidi piani inclinati con l'intento di riprodurre l'esperienza di Galileo Galilei sulla caduta dei gravi.

Nel 1977 iniziai a frequentare l'istituto tecnico commerciale per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere, che mi consentì poi di intraprendere la carriera professionale. Nonostante un indirizzo di studi non orientato alle materie scientifiche, nel corso del biennio era in programma un discreto numero di lezioni di fisica e chimica e nel triennio successivo venne inaugurato il primo corso per "ragionieri programmatori", a cui mi iscrissi con entusiasmo.

Con gli anni l'amicizia con Mario si consolidò sempre più e durante le fresche domeniche primaverili ed autunnali prendemmo l'abitudine di chiacchierare insieme di Cosmologia: l'universo è finito od infinito, lo spazio ed il tempo hanno avuto un inizio ed avranno una fine? Queste erano le domande che ci ponevamo alle quali ancora oggi la scienza sta cercando di dare una risposta, mentre con passo lento salivamo lungo via Luigi Andrea Martinetti verso la collina di Belvedere, attraverso una "creuza" fatta in mattoni e ciottoli ed in parte asfaltata, costeggiata da olivi, fichi e magnolie.

Una delle nostre mete preferite era raggiungere il piazzale antistante il Santuario di Nostra Signora di Belvedere (una chiesa in stile barocco ristrutturata nel 1665 ma risalente al XIII secolo), situato sulla sommità del quartiere, oppure dirigerci verso il campo sportivo M. Morgavi (realizzato sui resti delle fondamenta del Forte Belvedere), da cui godere di un'ampia veduta per le nostre osservazioni astronomiche. 3 ▼

Da lassù, la vista del cielo stellato e di qualche pianeta, nonostante l'inquinamento luminoso del vicino porto di Genova e del sottostante viadotto autostradale (ormai tristemente famoso come "ex ponte Morandi"), era ancora apprezzabile per la scarsa illuminazione pubblica e per le poche auto che vi transitavano.


Fotografia originale Copyright

Figura 1 – Veduta da salita superiore Salvator Rosa verso il mare
(Genova Sampierdarena, agosto 2021)


Dal campo sportivo o in cima alla "creuza", guardando il mare e traguardando lo sguardo oltre la diga foranea, capitava di scorgere qualche nave in rada accendere, all'imbrunire, le luci a prua ed a poppa mentre il cielo diveniva più scuro ed i contorni delle costellazioni dello zodiaco apparivano sempre più definiti. Entrambi eravamo equipaggiati dei soli nostri occhi, e consultavamo una piccola mappa del cielo che la rivista Il giornale dei Misteri pubblicava ogni mese nella rubrica dedicata all'astronomia ed all'osservazione del cielo. A metà degli anni '70, non era ancora in edicola l'Astronomia, il mensile di divulgazione astronomica curato dal Prof. Corrado Lamberti e diretto dalla Prof.ssa Margherita Hack, che negli anni '80 diventò un eccellente punto di riferimento per molti astrofili.

Successivamente costruimmo un astrolabio, che consultavamo alla debole luce rossastra di una torcia elettrica, uno strumento tramite il quale ci fu possibile calcolare e prevedere nel corso della notte la posizione dei corpi celesti come la Luna, i pianeti e le stelle. Fu così che, stagione dopo stagione, imparammo insieme a riconoscere in cielo le principali stelle delle costellazioni dello zodiaco ed i pianeti più luminosi.

Ricordo che fummo particolarmente interessati a capire la ragione del cambiamento, con il passare del tempo, della posizione apparente sulla volta celeste di uno dei pianeti più luminosi in cielo come, ad esempio, Giove rispetto alle stelle che vi stavano intorno. Un movimento che provammo a seguire settimana dopo settimana, mese dopo mese, prendendo come punto di riferimento le stelle e disegnando su un taccuino la posizione del pianeta rispetto ad esse. Talvolta potemmo osservare Giove spostarsi progressivamente a sinistra di una certa stella, ma con il passare del tempo lo ritrovavamo spostato a destra facendoci sembrare il movimento privo di alcuna regolarità. Sapevamo, però, che il pianeta Giove era molto più lontano dal Sole di quanto non lo fosse la Terra e quindi il suo moto di rivoluzione era molto più lento rispetto a quello terrestre: provammo a schematizzare questo comportamento ed intuimmo che, osservando Giove dalla Terra, il suo spostamento apparente proiettato sulla volta celeste si muoveva progressivamente verso l'alto e pertanto dalla nostra posizione sulla Terra potevamo apprezzare questo spostamento come un altrettanto progressivo procedere verso Ovest. 4 ▼

Analogamente pensammo, la situazione doveva mutare quando, a distanza di qualche mese, la Terra, essendosi trovata in una differente posizione orbitale, avrebbe proiettato verso il basso il moto apparente di Giove e dalla nostra posizione dalla Terra avremmo potuto percepire un progressivo allontanamento verso Est. 5 ▼


Animazione da sito esterno

Figura 2 – Moto apparente diretto e retrogrado di un pianeta superiore 6 ▼


Probabilmente, in una di quelle tante sere trascorse su quella collina con il naso rivolto all'insù verso il cielo a domandarmi del perché delle cose si accese in me il "sacro fuoco della passione" per l'Astronomia.

Sono immensamente grato a Mario (diventato poi un ingegnere elettronico ed informatico presso un'affermata azienda genovese) per avermi insegnato a pormi delle domande a cui cercare di dare delle risposte con la volontà di perseguire un desiderio di approfondimento e di conoscenza ulteriore.

Poco tempo dopo, da un articolo pubblicato sulla stampa locale, appresi la notizia che la Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese (SAUPS) aveva in progetto la costruzione di un Osservatorio Astronomico in località "Righetti" sulle alture (monte Gazzo) di Sestri Ponente.

Un sabato pomeriggio mi recai presso la sede della SAUPS per chiedere informazioni. Ricordo ancora la paterna figura del Dr. Silvano Motti che mi accolse con grande entusiasmo dandomi tutte le informazioni del caso, mostrandomi il bellissimo modellino in scala dell'Osservatorio, qualche foto del luogo in cui si intravedevano le fondamenta e parte della soletta in cemento armato scattate da alcuni soci della Sezione ed una copia del Notiziario Culturale dell'Università Popolare Sestrese, nel quale era indicata la planimetria dell'edificio e le caratteristiche ottiche del telescopio (Marcialis) in configurazione Newton da 40 cm di diametro, che avrebbe alloggiato in cupola. 7 ▼


Fotografia originale

Figura 3 – Il numero speciale del Notiziario Culturale UPS
(marzo 1972) 8 ▼


Rimasi eccitato da tutto ciò: ritornato a casa chiesi insistentemente il consenso dei miei genitori a frequentare le riunioni della Sezione Astrofili, che si svolgevano al giovedì ed al sabato sera dopo le ore 21, mentre nel contempo incominciai a risparmiare sulla "paghetta" settimanale necessaria per potermi iscrivere all'associazione.

Fui socio della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese dal 1977 sino al 1992, assistendo alla realizzazione del progetto e alla costruzione dell'Osservatorio Astronomico di Genova ed a molte altre iniziative nell'ambito della didattica e della ricerca. Questo lungo periodo di sodalizio mi diede l'opportunità di conoscere e stringere amicizia con molte persone ed imparare da ognuno doti fondamentali come l'umiltà, la dedizione ed il metodo scientifico. Il raggiungimento di un risultato, in qualunque ambito esso sia, e maggiormente nella ricerca scientifica, è imprescindibile da questi princìpi.

Sono convinto che il mio personale percorso di maturazione intellettuale sia in parte merito di una passione come l'Astronomia che non ho più abbandonato da oltre 45 anni.


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Porre il cursore del mouse sulla persona da identificare
Figura 4 – Gita sociale della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese
ai giardini botanici di Lord e Lady Hanbury

(Località La Mortola – Ventimiglia, 13 maggio 1979) 9 ▼


L'autore è indicato dalla freccia in alto a destra

2. I miei primi strumenti

Ad occhio nudo le stelle mi apparivano puntiformi e simili a qualsiasi astro in cielo. In qualche enciclopedia lessi che il colore e la luminosità erano elementi distintivi per conoscerne età e distanza, ma la curiosità di avvicinare l'occhio all'oculare di un cannocchiale, per cogliere qualche dettaglio in più da quelle deboli luci, che brillavano in cielo sopra la collina di Belvedere, incominciò a divenire una fantasia sempre più ricorrente.

Decisi, pertanto, nonostante le mie scarse attitudini manuali, di cimentarmi ugualmente nella costruzione di un "cannocchiale galileano". Pensai che, con un po' di fortuna, avrei potuto trovare le lenti per il mio progetto nel laboratorio di un ottico, approfittando di qualche scarto di lavorazione, e ricavare il rimanente materiale tra gli oggetti che solitamente si ripongono in soffitta od in cantina: insomma, incominciai ad accarezzare l'idea di progettare e costruire il mio primo strumento per osservare gli astri, con poca spesa e soprattutto con tanta inventiva e fantasia. Fu così che un giorno mi recai nella bottega dell'Ottica Boveri, nel quartiere di Sampierdarena e, grazie alla generosità del titolare, che mi conosceva da molti anni come abituale cliente, recuperai per la modica cifra di 1.000 Lire una lente da 50 mm di diametro con una lunghezza focale di circa un metro, che avrei utilizzato come obiettivo, ed una piccola lente da circa 10 mm di diametro che, fornendo una focale di 25 mm, mi sarebbe servita come oculare.

Giunto a casa, incominciai a pensare alla costruzione del tubo ottico alle cui estremità avrei dovuto collocare le lenti. Decisi di fabbricarlo con alcuni fogli di cartoncino di colore nero, che acquistai in cartoleria, uniti e poi arrotolati insieme, rivestiti da uno spesso strato di nastro isolante. Sulla parte frontale del tubo di cartone incollai una guarnizione di gomma per creare la cella che, in seguito, avrebbe tenuto fermo l'obiettivo. La lente dell'oculare, invece, riuscii a fissarla all'estremità di un corto tubo di plastica, che fortunatamente trovai dello stesso diametro. Con un paio di rigidi rotoli di cartone a sezione decrescente, inseriti l'uno dentro all'altro, ottenni lo scopo di far scorrere in avanti ed indietro la lente dell'oculare; questo movimento mi avrebbe consentito di raggiungere una grossolana messa a fuoco del cannocchiale.

Ma l'operazione più difficile si rivelò quella del fissaggio della lente alla guarnizione, che fungeva da cella dell'obiettivo. Per raggiungere lo scopo, feci molti tentativi, ma durante uno di questi l'obiettivo mi cadde dalle mani e si ruppe! Fortunatamente, la lente non si spezzò a metà, ma solamente una piccola porzione di vetro si staccò da un bordo. Disperato, il giorno successivo dopo la scuola, corsi dall'ottico mostrandogli la lente danneggiata: questi, dopo averla esaminata nel retrobottega, mi consigliò di rimediare al guaio diaframmando l'apertura frontale del tubo ottico con un disco di cartoncino nero di sezione interna pari a 40 mm: così facendo avrei perso un po' di luminosità ed avrei diminuito la risoluzione del mio cannocchiale, ma avrei salvato il progetto.

Finalmente qualche giorno dopo, superate altre piccole difficoltà progettuali ed ultimata la costruzione del cannocchiale, feci le prime osservazioni dalla finestra della mia camera per provare il corretto punto di messa a fuoco all'infinito. A quel tempo, si potevano scorgere in linea d'aria, a circa 800 metri di distanza, due gasometri (abbattuti, poi, tra il 2007 ed il 2009) del complesso siderurgico Italsider, situati nel quartiere di Cornigliano: due cilindri in acciaio alti sino a 80 metri di colore azzurro e con il cappello "rosso e bianco", segni di una convivenza faticosa tra fabbrica e città. 10 ▼ Lo stupore che provai, puntando la sommità di quelle due lontane strutture, che mi apparvero nel cannocchiale vicine come se fossero ad un palmo del mio naso, fu immenso.


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Figura 5 – I gasometri dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale Italsider di Genova Cornigliano
(1979)


Sebbene di giorno la resa qualitativa del mio piccolo "telescopio" si potesse definire approssimativamente soddisfacente, alla notte, rivolgendo l'obiettivo verso la Luna, l'immagine che ottenni del nostro satellite fu di scarsa qualità: assai poco luminosa e circondata ai bordi da diversi aloni colorati. Tuttavia, il grado di autostima raggiunto per aver portato a compimento il progetto ottico mi portò a credere, che nel volgere di poco tempo avrei posseduto un cannocchiale di migliore qualità.

Il giorno di Natale del 1976 dai miei genitori mi fu regalato il primo vero telescopio: un momento difficile da dimenticare, tanta fu la sorpresa e l'immensa gioia che provai allo stesso tempo!

Ricordo che rimasi quasi paralizzato alla vista di quella grande scatola di cartone di colore azzurro sulla quale era stampata la scritta Astronomical Telescope. L'immagine di un cannocchiale con l'obiettivo puntato verso una grande Luna Piena mi diede l'impressione che la scatola contenesse uno strumento molto potente. Aprendola, trovai alloggiati il tubo ottico, il treppiede in legno e vari accessori ordinatamente riposti negli spazi sagomati nell'imbottitura di polistirolo espanso. All'estremità del tubo ottico, sopra il fuocheggiatore, una targhetta riportava il marchio commerciale del cannocchiale: Stein Optik.

Sul libretto di istruzioni per il montaggio lessi le seguenti caratteristiche tecniche.
Obiettivo: doppietto acromatico Ø=60 mm; lunghezza focale 700 mm; rapporto focale f/12.
Dotazioni standard: copriottica in plastica per lente frontale; treppiede in legno con tre ancoraggi per vassoio porta oculari; movimento micrometrico in altezza; cercatore 5x24 con crocicchio e relativo supporto.
Accessori in dotazione: raddrizzatore di immagini e lente di Barlow integrata (Erector lens 1,5x); oculari H – Huygens – con lunghezze focali 6 mm e 20 mm, in barilotti da 24,5 mm; filtro lunare; supporto e schermo bianco per proiezione solare.

A distanza di molti anni, non ricordo più il nome del produttore delle ottiche di questo modello, che successivamente donai a metà degli anni '90 ad un ex collega di lavoro. Dall'analisi in Appendice I ▼, potrebbero essere state fabbricate dall'azienda TOWA, ma non posso affermarlo con certezza.


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Figura 6 – Il rifrattore altazimutale sul balcone del mio appartamento
(Genova Sampierdarena, 1979)


Ovviamente, la "prima luce" che attraversò l'obiettivo di quel mio primo rifrattore fu quella della Luna.

Sebbene qualche residuo di aberrazione cromatica fosse presente ai bordi dell'immagine, la visione dei crateri e dei mari lunari non avevano confronto con il piccolo rifrattore da 40 millimetri auto costruito un paio di anni prima. Ricordo ancora le osservazioni del nostro satellite che amavo compiere già fin dai primi giorni di Luna crescente: il sorgere del Mare Crisium dal bordo orientale della Luna (con il Nord rivolto verso il basso) svelava a poco a poco le pareti rocciose dei promontori che illuminati da Sole affioravano dal terminatore. Dopo qualche sera, ecco che appariva il grande bacino del Mare Tranquillitatis dove atterrò il modulo lunare Eagle della missione Apollo XI. Trascorso ancora qualche giorno del ciclo lunare, il Mare Imbrium mi dava l'opportunità di osservare il vicino cratere Plato, una struttura lunare che amavo particolarmente perché, da appassionato di fantascienza (Appendice II ▼), sapevo che nella serie televisiva Spazio 1999 gli sceneggiatori immaginarono di costruirvi Base Alpha: un'installazione scientifica permanente con il compito di approntare una spedizione umana esplorativa sul pianeta Meta.

Plato era di una rara bellezza soprattutto quando la diversa inclinazione dei raggi solari provocavano all'interno del cratere ombreggiature, talvolta esaltandone i bordi, talvolta rimarcandone il fondo, anche se con il diametro del mio telescopio questi dettagli erano appena percepibili. Anche la vicina Vallis Alpes, scoperta nel 1727 da Francesco Bianchini, una frattura assai ampia che interrompe i Montes Alpes e prosegue verso il Mare Frigoris, costituì un interessante obiettivo di osservazione per la sua morfologia fatta di pendici più regolari da un lato e maggiormente frastagliate dall'altro.


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Figura 7 – Il cratere Tycho al 12° giorno del ciclo lunare
(27 marzo 2010) 11 ▼


Man mano che osservavo incominciai a prendere confidenza con lo strumento scoprendone i lati positivi, ma anche gli immancabili punti di debolezza.

Il mio telescopio era dotato di una montatura altazimutale, che aveva i movimenti di aggiustamento fine nella solo direzione dell'altezza, e pertanto, in determinare circostanze, inseguire la Luna non era agevole, con il risultato di perdere il satellite dal campo dell'oculare. Per ovviare a questa mancanza qualche anno dopo mio papà, abile meccanico, lavorò al tornio un pezzo di ottone, costruendo una sorta di attuale accessorio chiamato "mezza colonna" sulla quale era applicata una ruota senza fine che potevo azionare con una manopola di plastica posta lateralmente al telescopio ottenendo così un graduale e più fluido movimento in azimut.

Un altro problema era rappresentato dalla serie di oculari in dotazione, costruiti con schema ottico Huygens, cioè quanto vi era di più economico sul mercato. Nonostante negli anni '70 non esistesse un'ampia scelta di schemi ottici come è al giorno d'oggi, si potevano comunque acquistare dei buoni oculari, come gli ortoscopici Abbe e i Kellner. Gli oculari che disponevo, soprattutto quello da 6 mm di focale, risultarono assai scomodi perché avendo un'estrazione pupillare limitata mi costringevano ad accostare l'occhio troppo vicino alla lente e per un soggetto come me, che portava gli occhiali da vista, quella posizione era quanto di meno indicato per ottenere una visione rilassante ed appagante. Inoltre l'immagine era buona sola al centro del campo inquadrato, perché ai bordi l'aberrazioni sferica, un residuo di aberrazione cromatica e l'astigmatismo ne deterioravano il rendimento. Ma le associazioni di astrofili servono anche a risolvere i problemi attraverso un confronto e mediante consigli e suggerimenti. Il socio Giorgio Montaldo, esperto astrofotografo, mi fornì una soluzione economica per le mie povere tasche di studente, ma al contempo ottimale per resa qualitativa: un oculare a schema ottico Kellner da 12,5 mm di focale, dotato di una buona estrazione pupillare e non eccessivamente costoso, ed inoltre mi suggerì anche dove acquistarlo!

La sera portavo il telescopio sul balcone ed osservavo il cielo, finché i miei genitori non mi ordinavano di rientrare in casa. Di rado avveniva prima delle undici e nel fine settimana rimanevo alzato anche più tardi soprattutto al sabato, quando dopo la riunione della Sezione Astrofili rincasavo a mezzanotte.

"Non vi è pace pari a quella di una sera stellata": così scriveva Charles Laird Calia, un astronomo dilettante, iniziando il primo capitolo del suo appassionato diario astronomico attraverso le stagioni del cielo. 12 ▼ La sensazione di pace interiore che portava con sé la tranquillità della notte, spezzando il frenetico ritmo della giornata, ed appoggiare l'occhio all'oculare del mio telescopio per guardare un pianeta od un ammasso stellare mi rilassava tantissimo anche durante quelle fredde serate d'inverno nelle quali un gelido vento di tramontana mi sferzava il volto ed intorpidiva piedi e mani.

Osservare i principali pianeti ed in particolare Giove, soprattutto dopo l'acquisto del nuovo oculare Kellner, contribuì a darmi ancora maggiori soddisfazioni e stimoli: un contrasto più marcato delle immagini ed un ingrandimento più corretto, in rapporto al potere risolutivo del mio strumento, mi fecero apprezzare particolari delle bande equatoriali del pianeta gassoso prima difficilmente rilevabili.


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Figura 8 – Giove, con diametro apparente 48", ed il satellite Io
[nel riquadro in basso a sinistra, come vedevo il pianeta con il mio primo telescopio]
(23 novembre 2011)
13 ▼


Sembrerà strano, ma l'aspetto che mi affascinava di più nell'osservazione di Giove non era la famosa "grande macchia rossa", che comunque apprezzavo tantissimo per la bellezza dei suoi colori e della sua forma, bensì il movimento dei satelliti medicei intorno al pianeta gassoso, che mutavano la loro posizione una sera dopo l'altra. A volte ne vedevo due a volte tre, raramente quattro, talvolta più distanti dal loro pianeta talvolta più vicini. Non ricordo però di aver mai visto un transito sul disco di Giove: lo osservai molti anni dopo con uno strumento di maggiore apertura. Durante le osservazioni trascrivevo su un quaderno ciò che vedevo all'oculare con schizzi e disegni a matita ed annotando l'ora ed il giorno di osservazione.

In quegli anni le pubblicazioni in italiano che riportavano le effemeridi dei transiti dei satelliti medicei erano l'Almanacco della rivista Astronomia, edita dall'Unione Astrofili Italiani (a cui non ero ancora iscritto), e quello della rivista Coelum, a cui ero abbonato dopo aver effettuato un vaglia postale intestato al prestigioso Istituto di Astronomia dell'Università di Bologna. É da quella pubblicazione che riuscivo ad apprendere della mutua rivoluzione dei satelliti di Giove e ad appassionarmi al loro "andirivieni", allo stesso modo di come fui incuriosito dai movimenti dei pianeti sulla volta celeste, all'epoca delle mie osservazioni ad occhio nudo dalla collina di Belvedere.


Fotografia originale

Figura 9 – Almanacco Astronomico della rivista Coelum per l'anno 1978
(fine 1977)


Da subito, l'osservazione dei movimenti degli astri e dei corpi minori del sistema solare suscitò in me una curiosità maggiore rispetto alla contemplazione di un corpo celeste dal punto di vista estetico: questo elemento di distinzione diventerà sempre più marcato negli anni a venire.

Più tardi, sul finire degli anni '70 in seguito alla mia iscrizione alla Sezione Astrofili, fui attratto dai resoconti osservativi, che descrivevano la variazione luminosa di alcune particolari stelle nel corso del tempo. Gli articoli pubblicati sul Bollettino SAUPS 14 ▼ erano firmati da un socio della Sezione, Paolo Leoncini, un giovane studente dell'età più o meno del mio amico Mario Pelissetto, simpatico ed estroverso a cui chiesi subito – durante le riunione del giovedì sera nella sede UPS – informazioni e consigli per l'osservazione pratica di questi corpi celesti. Quegli astri che variano la loro luminosità sono stelle che hanno raggiunto un periodo della loro evoluzione in cui l'equilibrio termodinamico, tra la pressione esercitata dalla fusione dell'idrogeno al centro della stella e la forza attrattiva della gravità, è diventato instabile. Terminate le reazioni nucleari del bruciamento dell'idrogeno all'interno del nucleo della stella, l'astro incomincia a contrarsi a causa della sua stessa forza di gravità. La contrazione produce un aumento di temperatura del nucleo, che è in grado di accendere le reazioni nucleari in un guscio che lo circonda. A causa delle temperature più elevate, il tasso delle reazioni nucleari è maggiore, determinando così un'espansione degli strati più esterni della stella con il conseguente aumento di luminosità nel corso del tempo, al termine del quale vi sarà un'ulteriore contrazione per effetto dell'attrazione gravitazionale. Tutto questo, ai fini pratici, si traduce in un aumento e diminuzione della luminosità della stella in un lasso temporale più o meno lungo a seconda della massa dell'astro. Questa, a grandi linee, è la dinamica delle stelle variabili denominate intrinseche che osservava Paolo, la cui luminosità è variabile a causa di "reali" cambiamenti nelle dimensioni dell'astro. Ma ci sono anche altri tipi di variabili come quelle estrinseche il cui apparente cambiamento di luminosità è dovuto al diverso quantitativo di radiazione che raggiunge la Terra, per esempio a causa di una compagna che orbita intorno alla stella e che talvolta lo eclissa.

Come descriverò in un prossimo capitolo, all'osservazione delle stelle variabili dedicai molto tempo anche negli anni a venire, ma curiosamente nel periodo in cui scrutavo il cielo con il rifrattore Stein Optik non fui un assiduo osservatore della stella a noi più vicina: il Sole. Ripensando ora alle motivazioni di quella scelta, una delle principali cause fu la scomodità nel puntare la nostra stella, oltremodo unita ad una pericolosità nello svolgere questa operazione. A quel tempo non esistevano i "telescopi solari", ossia quegli strumenti progettati per lo studio del Sole sia in luce bianca che nella banda dell'idrogeno H-alpha, che avevano in dotazione un "foro stenopeico" per puntare in tutta sicurezza il Sole. Con il piccolo rifrattore da 60 mm l'operazione era più complessa perché dovevo intercettare, agendo sui movimenti in altezza e in azimut del telescopio, il fascio luminoso dei raggi solari che, entrando frontalmente dall'obiettivo, si focalizzavano su un foglio di carta, all'altra estremità del tubo ottico, sotto forma di un piccolo e caldo disco luminoso. Poi dopo aver puntato il Sole e messo l'oculare, l'osservazione avveniva per proiezione su uno schermo posto a debita distanza dall'oculare. Talvolta, durante le giornate estive, le parti ottiche del telescopio erano soggette ad un intenso calore e, per timore che il doppietto acromatico si danneggiasse, costruii un riduttore di apertura (sempre con il solito cartoncino nero) da porre prima dell'obiettivo; ciò però aveva lo svantaggio di ridurre anche il contrasto delle macchie solari proiettate sullo schermo. Al giorno d'oggi la tecnica della proiezione non si usa più e filtri a tutta apertura prodotti con un materiale chiamato Mylar o in vetro sono disponibili a prezzi convenenti e utilizzabili in tutta sicurezza.


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Figura 10 – Il Sole con il gruppo di regioni attive 1520-1521-1519
[nel riquadro in basso a sinistra, come vedevo le macchie con il mio primo telescopio]
(15 luglio 2012)
15 ▼


Ritornando all'osservazione del cielo, anche le prime esperienze di osservazione delle stelle variabili condotte con il rifrattore Stein Optik non furono incoraggianti. Per rintracciare un campo stellare di una decina di primi d'arco con una montatura altazimutale dovevo ricorrere alla tecnica dello star-hopping, ossia il salto a partire da stelle luminose e visibili per arrivare a trovare oggetti invisibili all'occhio nudo. Ovviamente un atlante stellare era all'epoca l'unica guida disponibile e per tanti anni l'Atlante Celeste di G.B. Lacchini è stato il mio compagno di tante avventure astronomiche, ma rintracciare nel campo dell'oculare, anche con pochi ingrandimenti, l'astro da osservare attraverso un telescopio lungo quasi un metro sistemato su di un balcone che era largo mezzo metro mi costringeva ad inusuali torsioni del busto: una volta rimasi incastrato tra il muro ed il telescopio, talvolta mi ritrovai con la testa sporgente dalla ringhiera del balcone. Insomma, anche in questo caso la tecnologia mi sarebbe venuta in aiuto parecchie decine di anni dopo con l'introduzione sul mercato di accessori come il Telrad o il QuickFinder, tipologie di cercatori senza ingrandimento che proiettano su un vetrino tre cerchi rossi da 4, 2 e ½ grado: attraverso queste indicazioni, usando un'opportuna mappa sovrapposta in trasparenza, si identifica e inquadra con una buona approssimazione il campo stellare cercato.

Dopo poco, scoraggiato, decisi di sostituire il tanto sognato rifrattore... con un binocolo! Pensai che questo strumento fosse più indicato per la ricerca dei campi stellari, quando volevo dedicarmi all'osservazione ed alla stima di luminosità delle stelle variabili, poiché meno ingombrante e più leggero. L'unico binocolo che trovai a casa, riposto in un cassetto, fu un vecchio modello ESA 6x30 di tipo prismatico a regolazione indipendente con trattamento antiriflesso, prodotto nel 1951 dalla fabbrica genovese → San Giorgio. Il campo di vista abbracciato di 5° era molto ampio ed incominciai ad utilizzarlo comodamente seduto su di un sedia a sdraio.


Fotografia originale Copyright

Figura 11 – Binocolo San Giorgio ESA 6x30
(ottobre 2021)

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In conclusione, utilizzai il rifrattore nell'osservazione degli oggetti del catalogo Messier, almeno quelli più luminosi e noti che si potevano vedere (o intravedere) da un cielo cittadino, i pianeti come Venere, Giove e Saturno ed ovviamente la Luna, mentre con il binocolo avrei dedicato tempo all'osservazione delle stelle variabili ed agli ammassi stellari e, perché no, anche a qualche cometa luminosa che avrebbe potuto avvicinarsi alla Terra.


3. Esperienze di fotografia astronomica

Nel 1981 Mario Pelissetto ed io stavamo passeggiando sotto i portici di via Cantore a Sampierdarena, come ogni domenica mattina, quando la nostra attenzione fu catturata dalla monografia Astronomia in pratica, curata da Marco Milani, 16 ▼ ben esposta in una delle tante edicole lungo il nostro abituale percorso. Ci fermammo entrambi e dopo aver sfogliato alcune pagine per saggiarne i contenuti, con un rapido cenno di intesa decidemmo di acquistarla. Quel volumetto di 80 pagine, come suggeriva il titolo, affrontava varie tematiche care ad ogni astrofilo: come avvicinarsi all'osservazione dei corpi celesti, come scegliere o costruire da sé un telescopio per osservare visualmente i pianeti, le stelle e le galassie e, ultimo argomento ma non per questo meno importante, come ottenere le migliori fotografie in ambito astronomico con un apparecchio reflex analogico e le emulsioni chimiche (di quel tempo).


Fotografia originale

Figura 12 – Astronomia in pratica
(supplemento a Elettronica 2000, n. 29/1981)


L'argomento della fotografia astronomica fu quello che ci interessò maggiormente. Mario, appassionato di elettronica, vide lo schema elettrico di un variatore di velocità per il motorino d'inseguimento di un telescopio (a pag. 65) e cominciò a studiarlo per migliorarne le prestazioni. Poiché il mio rifrattore da 60 mm non era dotato di montatura equatoriale da allineare al polo celeste, pensai di realizzare un "inseguitore motorizzato della volta celeste", a cui applicare il variatore di velocità proposto dalla rivista, per fotografare senza "alcun mosso" le stelle delle principali costellazioni e qualche brillante nebulosa del catalogo di Messier.

Per il progetto e la costruzione impiegammo sei o sette mesi: mentre Mario si occupava dell'elettronica del variatore di velocità, io mi interessai alla meccanica dell'inseguitore.

Per prima cosa, acquistai un motorino a corrente alternata 115-230 V 50-60 Hertz, prodotto dalla ditta Crouzet di Milano, che mi fu consigliato da → Virginio Monticelli, un esperto autocostruttore di telescopi della Sezione Astrofili UPS. Per raggiungere la velocità siderale di circa un giro ogni 24 ore, pensai di applicare all'albero motore una serie di ruote dentate per ridurne convenientemente la rotazione. La lavorazione di ogni parte meccanica dell'inseguitore fu eseguita da mio papà che, dotato di un tornio, poté costruire tre ruote ingrananti da applicare al piccolo albero del motore Crouzet, che fu poi fissato alla sommità di una basetta di ferro tagliata ed inclinata esattamente con un angolo di 44°30', corrispondente alla latitudine di Genova.


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Figura 13 – L'inseguitore motorizzato della volta celeste
(1981)


Nel contempo Mario sostituì parte delle resistenze impiegate nello schema elettrico originale e riprogettò interamente l'elettronica della pulsantiera, mentre io disegnai e tagliai il legno compensato per costruire il contenitore, che avrebbe protetto l'apparecchiatura elettrica dall'umidità della notte durante le riprese fotografiche.

A lavoro ultimato, l'intera opera ci apparve anche esteticamente piacevole.


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Figura 14 – Inseguitore su cavalletto, batteria d'auto 12V CC e variatore di velocità
(1981)

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Figura 15 – Pulsantiera e parte posteriore del variatore di velocità
(1981)


Non rimaneva che la "prova sul campo". Ma ben presto il nostro entusiasmo si scontrò contro la dura realtà di due studenti che, a quel tempo, non si potevano permettere l'acquisto di un apparecchio fotografico! I genitori di Mario possedevano una Polaroid Model 1000: marchio di successo nel campo della fotografia istantanea, ma inadatta agli scopi di ripresa astronomici. Da parte mia, una Kodak Instamatic Camera con ottica fissa non era altrettanto all'altezza della situazione. Mi ricordai però di aver visto in un cassetto, ancora nella propria custodia in pelle, una macchina fotografica con obiettivo da 50 mm, messa fuoco a telemetro e soprattutto dotata di un otturatore che poteva rimanere aperto per effettuare lunghe pose. Insomma... era la fotocamera che mi avrebbe permesso di provare l'inseguitore ed il variatore di velocità, facendo le esposizioni necessarie per impressionare maggiormente l'emulsione.

La Voigtlander Vito B, 17 ▼ questo era il marchio dell'apparecchio fotografico, era stata acquistata dai miei genitori negli anni '60. Le dimensioni compatte e la sua solidità (non aveva nessuna parte in plastica) la rendevano un oggetto molto maneggevole e adatto per essere sempre a portata di mano e fotografare un bel panorama o immortalare qualche gioioso quadretto di vita familiare, durante le gite domenicali "fuori porta" o in vacanza al mare.

Queste le principali caratteristiche:

Incominciai subito a scattare qualche foto durante le ore diurne, per impratichirmi sul suo utilizzo ma, dopo aver fatto sviluppare la pellicola, notai con sconforto che le foto erano tutte irrimediabilmente sfocate. Il laboratorio fotografico imputò il difetto ad una grossolana stima della distanza tra l'obiettivo ed il soggetto da fotografare: ovviamente era sufficiente valutare male la distanza e non tenere conto della profondità di campo per creare un accenno di sfocatura, ma il difetto, dopo ripetute prove, era persistente a tutte le distanze. Ero piuttosto deluso... Parlando di questo problema con alcuni soci della Sezione Astrofili, mi fu consigliato di rivolgermi ad un esperto manutentore di apparecchi fotografici, iscritto alla Sezione Fotocine della stessa Università Popolare Sestrese: Bruno Giarola. Nel breve volgere di una settimana, il signor Giarola mi riconsegnò l'apparecchio fotografico, dicendomi che era diventato come nuovo. In pratica, la sfocatura era dovuta ad una opacizzazione delle ottiche causata, molto probabilmente, dalla salsedine marina! Lo smontaggio, l'accurata pulizia dell'obiettivo e il meticoloso rimontaggio avevano restituito l'ottica ai fasti originali.


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Figura 16 – La fotocamera Voigtländer Vito B
(ottobre 2021)

Cliccando sulla figura
si accede ad una animazione

Ebbi l'occasione per testare la macchina fotografica e il variatore di velocità l'estate successiva in montagna a 1010 metri s.l.m., a Limone Piemonte (CN), luogo che dal 1970, ero solito raggiungere con i miei genitori per trascorrere il periodo delle vacanze scolastiche estive. La frazione montana di Limone, rinomata anche come località turistica invernale per le numerose piste ed impianti sciistici, si trova a circa 180 km da Genova sulle Alpi Marittime, al confine con la Francia. Dal centro del paese, percorrendo una strada statale asfaltata (SS20) per circa 5-6 km, si può raggiungere il traforo stradale del Colle di Tenda a 1321 metri s.l.m.: una galleria lunga 3182 metri, che mette in comunicazione l'Italia con la prima città d'oltralpe (Viève o Vievola), a quota 1280 metri s.l.m. Oltrepassata la galleria e scendendo lungo i numerosi tornanti della Valle Roja, si può raggiungere Ventimiglia in circa 3 ore.

Poco prima di arrivare al passo, una segnaletica turistica invita a visitare alcune delle vicine cime (situate alla quota di 1400-1500 metri), dalle quali si possono vedere i resti di fortificazioni militari a difesa del Regno di Sardegna, risalenti alla fine dell'Ottocento, e bunker e postazioni antiaree, erette durante la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista naturalistico, il colle fa parte della riserva del Parco Naturale delle Alpi Marittime; durante alcune escursioni diurne con i miei genitori, talvolta, mi capitò di scorgere ed osservare con il binocolo camosci, stambecchi, marmotte e diverse specie di uccelli rapaci come aquile, falchi e poiane, mentre sorvolavano i numerosi laghetti racchiusi tra le vette ancora parzialmente innevate a 2200 metri di quota.

Purtroppo da quelle incantevoli cime non potevo soffermarmi durante la notte. Programmavo le osservazioni della volta stellata poco distante dal paese di Limone P., nella frazione di Sant'Anna (1100 m s.l.m.): percorrendo uno stretto sentiero dietro casa, potevo raggiungere una radura in una zona abbastanza lontana dalle luci delle prime case e dalla strada. Da quel punto potevo osservare una buona zona di cielo, soprattutto a sud in cui stazionavano gli oggetti più interessanti del cielo estivo, ed ammirare la Via Lattea, che in piena notte era lungamente riconoscibile ad occhio nudo. Ma quello non era l'unico luogo di osservazione.

Ad agosto, nelle notti in cui erano visibili le "lacrime di San Lorenzo", ad esempio, con l'immancabile plaid e calzati scarponi giacca a vento e berretto di lana, sgattaiolavo via dal caseggiato, per il timore di essere visto agghindato come un perfetto inuit nonostante fossimo in estate, per raggiungere un altro luogo un po' più distante, ma questa volta orientato a nord-nord-est, dal quale potevo scorgere il radiante da cui provenivano le Perseidi. L'attrezzatura era quasi sempre la stessa: binocolo San Giorgio 6x30, atlante celeste di G.B. Lacchini con la copertina rivestita da un foglio di plastica affinché non si bagnasse con l'umidità della notte, torcia elettrica con il vetro schermato dalla cartina color amaranto che ricopriva le dolci e gustose caramelle Rossana, astrolabio auto-costruito anni prima insieme al mio amico Mario ed infine matita e taccuino per trascrivere qualche impressione sulla serata osservativa. Ricordo degli anni particolarmente fortunati (senza Luna) in cui riuscii ad osservare sino a 60-70 meteore all'ora e anche alcuni bolidi. Notti indimenticabili! Alcune di quelle meteore furono talmente luminose che osservai distintamente, durante il loro percorso in cielo, la variazione del colore della scia luminosa dal bianco al blu ed al viola, mentre nell'assoluto silenzio della notte mi fu possibile percepire, in alcune circostanze, il leggero sibilo provocato dalla loro caduta e deflagrazione nell'atmosfera.

Le notti dedicate, invece, alla fotografia erano più impegnative, perché l'attrezzatura non era facilmente trasportabile da una sola persona. Così capitava che durante le serate osservative coinvolgevo anche un amico, per aiutarmi nel trasporto del variatore di velocità con annessa pulsantiera, cavi e batteria per auto, cavalletto fotografico e relativa macchina fotografica, atlante celeste, taccuino per gli appunti, torcia elettrica, plaid e thermos con bevanda calda. Sembrava la spedizione di due esploratori verso il polo nord!

Gli oggetti del cielo che fotografai con la Voigtlander Vito B furono essenzialmente le principali costellazioni, la rotazione delle stelle intorno al polo celeste e ammassi stellari aperti. Le prime emulsioni fotografiche che utilizzai furono le pellicole negative in bianco e nero con una sensibilità di 400 ASA (Ilford FP4, Kodak Tri X) poi, consigliato da qualche socio astrofotografo della SAUPS, incominciai ad acquistare le pellicole invertibili – o diapositive – a colori (Kodak Ektachrome) che potevo far sviluppare dai laboratori fotografici commerciali.


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Figura 17 – Rotazione delle stelle intorno al Polo Nord celeste
(Limone Piemonte – Cuneo, agosto 1978) 18 ▼

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Figura 18 – Le principali stelle dell'ammasso aperto Messier 45 (Pleiadi)
(Limone Piemonte – Cuneo, agosto 1979) 19 ▼


A quel tempo, gli astrofili "evoluti" avevano già da tempo appreso e messo in pratica la difficile arte della tecnica di sviluppo della pellicola negativa. Una volta impressionato il rullino con le preziose immagine del cielo, lo sviluppavano immediatamente nella camera oscura che solitamente allestivano nel bagno di casa. Questo permetteva loro di utilizzare appositi rivelatori chimici e tempi di sviluppo/fissaggio non standardizzati, come quelli che invece erano impiegati dai generici laboratori professionali per lo sviluppo e la stampa di immagini non astronomiche. Con questa tecnica chiamata "tiraggio", per la quale serviva molta esperienza in camera oscura, era possibile incrementare la curva caratteristica della pellicola affinché le immagini astronomiche beneficiassero di un maggior contrasto, a discapito di una maggiore "grana" in fase di stampa del negativo.

Ma la tecnica di sviluppo fotografico non faceva al caso mio... e poi l'acquisto di un ingranditore fotografico e di tutto l'occorrente per lo sviluppo e la stampa fai-da-te non era una spesa, che potevo sostenere a quel tempo in cui ero ancora studente e dipendevo economicamente dai miei. Così decisi di affidare lo sviluppo e la stampa dei miei negativi ai laboratori professionali, ma ciò si rivelò un'esperienza fallimentare che, unitamente agli scarsi risultati estetici ottenuti dalla stampa di immagini astronomiche di oggetti diffusi e poco luminosi, mi indusse a tornare a considerare la sola osservazione visuale, limitando la fotografia astronomica a particolari eventi quali eclissi di Sole 20 ▼ e di Luna 21 ▼.

Purtroppo, gli agenti atmosferici ed il tempo hanno rovinato irrimediabilmente quasi tutti i negativi impressi in quegli anni, ad eccezione delle diapositive che fortunatamente si sono conservate meglio. I risultati che ottenni da quelle mie prime esperienze furono però mediocri, soprattutto se raffrontati a quelli che avrei ottenuto negli anni 2000 con la fotografia digitale.


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Figura 19 – Ammassi aperti NGC 436 e NGC 457 nella costellazione di Cassiopea
(Desio – Monza e Brianza, 3 settembre 2013, 22:40 ora estiva) 22 ▼


L'occasione per scattare la prima immagine di un eclisse di Sole mi si presentò nel 1984. Il 30 maggio, in Italia, l'eclisse fu visibile come parziale, ma per una stretta fascia larga appena 7,2 km che iniziò sull'Oceano Pacifico ed attraversò alcuni stati dell'America (dal Messico alla Virginia), per poi raggiungere il continente europeo (Algeria e parte del Marocco), fu di tipo anulare e durante la fase di centralità durò appena 11 secondi. Dalla nostra penisola, il Sole fu oscurato per circa il 55% e la visibilità del fenomeno avvenne per un breve intervallo di tempo dalle 19:20 alle 20:20 (ora estiva), con la nostra stella bassa sull'orizzonte. Non fu possibile osservare le ultimi fasi dell'eclisse: il Sole tramontò ancora parzialmente eclissato.

Quel giorno decisi di riprendere l'evento dal balcone del mio appartamento di Sampierdarena: purtroppo il meteo non collaborò e le nuvole dominarono la scena sino all'ultimo istante, ma ciò non precluse la buona riuscita degli scatti che effettuai dalle 19:40 sino alle 20:10, pochi istanti prima che il Sole si nascondesse dietro alla ringhiera della casa di fronte. Per l'occasione non utilizzai la Voigtlander, bensì una modernissima Canon AE1 Program ed un teleobiettivo Tamron da 200 mm di focale, che mio fratello Paolo (di ritorno dal Giappone per motivi di lavoro) aveva appena acquistato. Era un modello di macchina fotografica reflex a priorità di tempi ed automatica prodotta in Giappone dal 1981. Un vero gioiello tecnologico per quel periodo, soprattutto se messa a confronto con l'ormai obsoleta Voigtlander.

Fissai la reflex all'inseguitore equatoriale, dopo averlo stazionato con la bussola approssimativamente verso il nord. Feci alcuni scatti con l'obiettivo da 50 mm di focale schermato da un filtro solare (recuperato da una vecchia maschera da saldatore e fissato con degli elastici al corpo della reflex), usando i tempi di scatto che la macchina fotografica mi proponeva in modalità "Program". Successivamente montai la reflex su di un cavalletto ed applicai il teleobiettivo, al quale fissai nuovamente il filtro da saldatore. Le fotografie furono riprese con una pellicola negativa in b/n Ilford FP4 nel formato 35mm con una sensibilità di 125 ASA. L'esposizione fu da 1/125s o 1/250s, ma non la ricordo esattamente: probabilmente annotai sull'immancabile taccuino i tempi di scatto e gli orari, ma a distanza di molti anni quegli appunti sono ormai introvabili.


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Figura 20 – Eclisse parziale di Sole
(Genova Sampierdarena, 30 maggio 1984, 19:40 ora estiva) 23 ▼

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Figura 21 – Eclisse parziale di Sole
(Genova Sampierdarena, 30 maggio 1984, 20:10 ora estiva) 24 ▼


Anche alla Luna, negli anni '80, dedicai qualche scatto durante le eclissi totali e parziali. Purtroppo i pochi appunti ritrovati tra i telaietti delle diapositive, non mi hanno permesso di individuare il luogo ed i tempi di esposizione. La collocazione temporale dell'animazione che segue probabilmente si riferisce all'eclisse totale di Luna del 17 ottobre 1986: ero in località Righetti presso l'Osservatorio Astronomico di Genova, in compagnia di alcuni soci della SAUPS.


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Figura 22 – Fase in uscita di una eclisse totale di Luna
(Genova Sestri Ponente, 17 ottobre 1986, 19:15-19:30 ora estiva) 25 ▼


In conclusione, le prime esperienze di fotografia astronomica rappresentarono più ombre che luci.

Come detto, gli scarsi risultati ottenuti dallo sviluppo delle pellicole negative e la modesta strumentazione in mio possesso, non mi trasmisero l'entusiasmo necessario per continuare la strada dell'astrofotografia, ma qualche anno più tardi l'interesse si risvegliò allorquando il socio Roberto Alfano iniziò a studiare un programma di osservazione e di ripresa fotografica di alcune comete con l'intento di determinarne la posizione astrometrica utilizzando la strumentazione ottica e fotografica dell'Osservatorio Astronomico di Genova, inaugurato nel 1984. Ma di questa storia avrò modo di parlarne in seguito.


4. Arrivano le comete

Ritengo che gli oggetti astronomici più imprevedibili siano rappresentati dalle Comete. É usanza popolare assimilare il comportamento di questi bellissimi e talvolta evanescenti astri ai gatti, animali un po' anticonformisti, sornioni e dotati di "sette vite".

Purtroppo non ebbi l'occasione di osservare il passaggio di alcune delle più belle comete del XX secolo, come la Arend-Roland (C/1956 R1), la Mrkos (C/1957 P1), la Ikeya-Seki (C/1965 S1), la Bennett (C/1969 Y1) e la West (C/1975 V1). Tuttavia nel maggio del 1983 mi si presentò un'occasione davvero inaspettata!

Il 25 aprile 1983 un oggetto asteroidale in rapido movimento fu segnalato da John Davies, un ricercatore dell'Università di Leicester (Inghilterra); l'astronomo stava controllando i dati astrometrici delle osservazioni compiute dal satellite IRAS, un telescopio in orbita per l'osservazione degli oggetti astronomici in banda infrarossa, nell'ambito di un programma di ricerca di asteroidi. Quello che accadde nei giorni seguenti, durante i quali furono compiute osservazioni di conferma da altri osservatori astronomici a terra (tra cui la stazione Kvistaberg dell'Osservatorio di Uppsala in Svezia e l'Osservatorio di Monte Palomar in California), ha del rocambolesco per il susseguirsi concitato degli eventi che nel breve volgere di una settimana portarono il Minor Planet Center, ospitato dall'Università di Harvard e organismo dell'Unione Astronomica Internazionale deputato alla designazione ufficiale dei corpi minori del sistema solare, a riconoscere l'oggetto come una cometa e nell'attribuirne la paternità della scoperta a ben tre osservatori indipendenti: al satellite IRAS, ed agli astrofili Genichi Araki (Yuzawa Niigata, Giappone) e George Eric Deacon Alcock (Peterborough, Inghilterra). 26 ▼ L'oggetto divenne così la cometa IRAS-Araki-Alcock (1983d).

Ma la cosa sorprendente fu che dall'analisi dell'orbita emerse che l'11 maggio dello stesso anno la cometa sarebbe passata a solo 0,0313 Unità Astronomiche dalla Terra (cioè a 4,68 milioni di chilometri), registrando uno degli avvicinamenti più prossimi al nostro pianeta. Sarebbe stato il terzo per ordine di distanza di tutti i tempi, paragonabile al passaggio della cometa 1P/Halley del 10 aprile 837, ed il secondo avvicinamento negli ultimi 200 anni (dopo quello della cometa Lexell nel 1770)! 27 ▼ Inoltre la cometa sarebbe stata circumpolare, ossia ben posizionata in cielo per l'intera notte, transitando dalla costellazione del Dragone a quella dell'Orsa Minore: lo spettacolo non sarebbe dovuto mancare... meteo permettendo.

Appresi della scoperta della cometa 1983d, come altri soci della Sezione Astrofili, probabilmente da Riccardo Balestrieri, che era abbonato alle Comunicazioni rapide dell'Unione Astrofili Italiani, allora curate da Marco Fulle; si trattava di un'allerta per posta cartacea (a quel tempo non era ancora nato il world wide web!) su quegli eventi improvvisi o rari e di interesse scientifico che potevano accadere nell'universo, come una nova, una supernova o una cometa. 28 ▼

Se non ricordo male, il meteo agli inizi del mese di maggio non fu favorevole, ma la notte del 9 decisi di recarmi, insieme ad altri soci della SAUPS, sulle alture di Sestri Ponente (Monte Gazzo) per osservare la cometa con il binocolo, mentre altri astrofili si recarono al Passo del Turchino per fotografarla. Quello che mi impressionò maggiormente, dopo averla puntata con il binocolo 7x50, fu la grande chioma delle dimensioni apparenti di 10 o 15 primi d'arco, ma con una forma dispiegata a ventaglio ed un falso nucleo quasi puntiforme. La luminosità apparente che potei stimare approssimativamente fu intorno alla 4a magnitudine, ma alcuni giorni dopo (11-12 maggio) altri osservatori italiani testimoniarono di averla vista raggiungere la massima luminosità intorno alla 2a magnitudine. Parecchi anni dopo ebbi modo di leggere nel libro Comet of the Century, 29 ▼ che esperti osservatori americani (da cieli invidiabili) come John Bortle e Fred Schaaf stimarono le dimensioni della chioma da 1,5 a 2 gradi ed una luminosità apparente da +1,7 a +2,1 magnitudini ed annoverarono questo oggetto tra le 100 comete di tutti i tempi morfologicamente più interessanti dal punto di vista scientifico.

Dopo il 12 maggio la cometa IRAS-Araki-Alcock (la cui denominazione definitiva è C/1983 H1) diventò inosservabile dall'emisfero boreale e come era apparsa così velocemente nei nostri cieli, in altrettanta maniera fuggì verso i freddi spazi siderali, ma l'avvistamento di quell'astro è ancora uno dei ricordi astronomici, che amo raccontare volentieri con un pizzico di nostalgia!

Tuttavia se si chiedesse di pensare ad una cometa all'uomo della strada, a questi verrebbe in mente, con molta probabilità, la Cometa di Halley. Quest'oggetto celeste fu un astro davvero indimenticabile per le generazioni passate, tanto che i libri di storia ne evidenziano l'importanza. È stato suggerito che uno dei suoi passaggi vicino all'orbita della Terra, nel 1301, riuscì ad influenzare la creatività di Giotto nell'affresco con l'Adorazione dei Magi nella Cappella degli Scrovegni, a Padova.

Il passaggio del 1910 fu spettacolare anche agli occhi di persone che, pur non essendo appassionate di astronomia, poterono ammirare la cometa ad occhio nudo in un cielo ancora non penalizzato dall'inquinamento luminoso. Per chi la poté osservare dai paesi rurali, fu addirittura un'esperienza quasi traumatica poiché nella credenza popolare la visione di una cometa così luminosa veniva associata al presagio di eventi sfortunati, che da lì a poco sarebbero dovuti accadere. Ma anche dalle grandi città, come Milano, nelle quali le luci artificiali non erano ancora così invadenti come oggi, ho letto resoconti in cui la Cometa di Halley è descritta con "una testa bianchissima e compatta, grande come la Luna piena ed una coda gialla lunga 50 metri"! 30 ▼

Nel maggio del 1986, a 76 anni esatti dall'apparizione precedente, anch'io come molti altri soci della SAUPS ci apprestavamo con impazienza ad assistere al suo ritorno al perielio: il trentesimo a partire dalla prima osservazione certa nel 240 a.C. Già alcuni anni prima, il 16 febbraio 1982, gli astronomi di Monte Palomar in California scorsero la cometa di Halley come un debolissimo astro di magnitudine 24, che si trovava oltre l'orbita di Saturno. Negli anni seguenti vari professionisti e qualche astrofilo, dotato di strumentazione adeguata e cieli tersi, incominciarono ad osservare la cometa con tecniche fotografiche. Il 17 febbraio 1985 l'individuazione di un particolare composto chimico nel nucleo cometario decretò l'inizio del suo "risveglio".

A mano a mano che il tempo passava, riviste come Sky & Telescope, l'Astronomia e Orione iniziarono a pubblicare le previsioni di visibilità della cometa, anche sulla base dell'attività chimica che stava incominciando a sviluppare il nucleo per il crescente irraggiamento solare, benché la Halley si trovasse ancora lontana, tra le orbite di Saturno e Giove (febbraio-marzo 1985) e ad un anno dal perielio del 9 febbraio 1986. Sfortunatamente la comunità astronomica concordò che questo passaggio sarebbe stato il meno "appariscente" dal punto di vista osservativo, ma non per questo privo di interesse scientifico. A riprova di ciò, le maggiori agenzie spaziali prepararono ben sei sonde per approcciare e studiare la cometa, tra cui ricordo la Giotto dell'European Space Agency, che avvicinò la Halley il 13 marzo 1986 a soli 600 km dal nucleo e le cui spettacolari immagini furono trasmesse in una diretta televisiva RAI, curata dal giornalista scientifico Piero Angela, che ovviamente seguii con estremo interesse.

Nonostante le non ottimali previsioni, la Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese diede alcuni consigli sull'osservazione visuale 31 ▼ e organizzò due spedizioni a Genova sul Monte Fasce (834 metri s.l.m.) per osservare e fotografare la cometa alle quali anch'io presi parte e che successivamente furono descritte in due articoli apparsi sul Bollettino SAUPS. 32 ▼

Avevo così la possibilità di ammirare per la seconda volta un "astro chiomato" e questo motivo valse ampiamente la levataccia alle 3 del mattino di quel 23 marzo per raggiungere piazza Barabino, a Sampierdarena, dove trovai i partecipanti alla spedizione e un passaggio in auto per raggiungere il luogo di osservazione. La mia attrezzatura consisteva di un binocolo 7x50 Skymaster, un treppiede, una torcia a luce rossa e l'immancabile atlante celeste di G.B. Lacchini. Una giacca a vento ed un berretto di lana completavano l'equipaggiamento che avevo riposto in una sacca.

Poco prima delle 4 del mattino giungemmo sul posto di osservazione; incominciai ad estrarre dalla sacca treppiedi e binocolo, mentre i miei occhi cercavano di abituarsi completamente all'oscurità della notte, provai a volgere lo sguardo a Sud-Sud-Est, dove secondo le previsioni doveva trovarsi la cometa. Ma a quell'ora l'astro era ancora troppo basso per essere avvistato, anche a causa di un po' di foschia e di qualche nuvola in cielo. La situazione incominciò ad essere più favorevole un'ora dopo il nostro arrivo: la cometa avrebbe dovuto trovarsi tra le stelle più meridionali di Sagittario e Scorpione, non molto distante dall'ammasso aperto M7: a una quindicina di gradi più a Sud rispetto al pianeta Marte, che in quel periodo stazionava nella costellazione del Sagittario. Le mappe stellari indicavano la Halley, a quell'ora, a 6-7 gradi sopra l'orizzonte.

Mi ricordo che con il binocolo incominciai ad osservare con attenzione una larga fetta di cielo tra Marte e la stella Epsilon Sagittarii, spingendomi fin dove la leggera velatura del cielo mi permetteva di osservare le stelle quando, un po' più defilato ad Ovest, vidi comparire nel campo del mio binocolo (con la "coda dell'occhio") un oggetto dall'aspetto evanescente e lattiginoso: ero certo che fosse la Cometa di Halley! Altri soci poco dopo la videro con i loro strumenti e diedero conferma dell'avvistamento tra urla e schiamazzi.

Debbo però ammettere che la prima sensazione che provai fu quella di profonda delusione! Ripensando a quel momento a distanza di anni, ricordo di aver percepito gioia e soddisfazione solo per l'averla rintracciata sulla volta celeste, pensando che anch'io avrei potuto raccontare ai miei futuri nipoti di averla "vista". È probabile che, inconsciamente e a non ragion veduta, mi sarei aspettato di scorgere una coda, ma quello che vidi fu un oggetto con una chioma leggermente allungata ed un falso nucleo: la condensazione centrale era piuttosto marcata, ma non molto luminosa, probabilmente di quarta magnitudine. Lessi più tardi che altri osservatori, nello stesso periodo, riuscirono a percepire anche un accenno di coda, probabilmente osservando con strumenti di maggior diametro e da cieli meno inquinati.

Ovviamente la bassa altezza sull'orizzonte ed il modesto strumento utilizzato con pochi ingrandimenti non si rivelò una scelta ottimale per osservare al meglio quell'evento. Ed inoltre, coinvolto nell'affannosa ricerca con il binocolo, dimenticai di fotografarla... lasciando inutilizzati nella sacca il treppiedi e la macchina fotografica!

Se dovessi fare un paragone con la cometa 1983d sopramenzionata, la Halley non fu certo un astro appariscente, forse lo divenne per i più fortunati astrofili dell'emisfero boreale, ma dalle latitudini della nostra penisola la maggior parte delle osservazioni si concentrarono tra la metà di marzo e la prima settimana di aprile. Successivamente sarebbe diventata osservabile alla sera dopo il tramonto del Sole.

Ho ritrovato i miei appunti del 3 maggio 1986, quando ho tentato di fotografarla in prima serata con un obiettivo da 50 mm in direzione S-SW: transitava tra le costellazioni dell'Idra (Hydra) e della Coppa (Crater), poco a Nord della stella Nu Hydrae. Ho rintracciato, in effetti, una serie di sei negativi annotati "Halley (?)", con tempi di scatto ed esposizione, ripresi dal balcone di casa a Sampierdarena. Purtroppo, dopo 34 anni, gli agenti atmosferici hanno deteriorato i negativi, ma ho fatto una scansione digitale per identificare il campo stellare, nella speranza di trovare la cometa. Nei dintorni della 1P/Halley le stelle hanno magnitudine limite 6,5: quel giorno, però, la magnitudine totale della cometa era intorno alla 7,0 (come da effemeridi calcolate via web): 33 ▼ così bassa sull'orizzonte (declinazione -16°) non potevo proprio fotografarla in un cielo cittadino! Vari anni dopo mi consolai un po' con la fotografia, non priva di difetti, di una cometa assai più luminosa: la Hale-Bopp.


Cometa Hale-Bopp Copyright

Figura 23 – C/1995 O1 (Hale-Bopp)
(Passo del Faiallo – Alessandria, 30 marzo 1997, approssimativamente tra le 20:30 e 22:30 ora estiva) 34 ▼


5. Osservazione di stelle variabili

La trasmissione del calore, le proprietà dei gas, la luce, l'elettromagnetismo e la composizione della materia sono argomenti di Fisica, che appresi durante il biennio del mio corso di studi presso l'Istituto Tecnico Commerciale. Proprio in quel periodo (era maggio del 1979), presso la sede dell'Università Popolare, il socio Riccardo Sacchi tenne una conferenza pubblica dal titolo "Queste compagne luminose: le stelle", alla quale decisi di assistere per approfondire le nozioni di base imparate sui banchi di scuola.

Trascrivo un passaggio che mi colpì particolarmente.

La maggior parte delle informazioni che ci perviene dal Cosmo raggiunge i nostri occhi sotto forma di radiazione elettromagnetica: è la luce delle stelle che popolano la nostra Galassia. Alcuni di questi astri sono in equilibrio termodinamico, come il nostro Sole, mentre altri, con differenti caratteristiche fisiche, a seguito del bruciamento del combustibile nucleare all'interno del proprio nucleo, iniziano ad intraprendere un cammino evolutivo più turbolento caratterizzato dall'espansione e contrazione degli strati gassosi più esterni che producono nel tempo un aumento e un diminuire ciclici della propria luminosità. A questa tipologia di astri appartiene una classe di stelle variabili, dette intrinseche o fisiche.

Rapito dalle spiccate doti oratorie del conferenziere, talvolta impreziosite da una pacata gestualità per far comprendere all'auditorio alcune fasi della caotica vita evolutiva delle stelle, rimasi affascinato dall'argomento e mi ripromisi di approfondirlo attraverso altre letture.

Dopo quella provvidenziale conferenza, mi appassionarono tantissimo un interessante articolo di Flavio Fontanelli sul Bollettino SAUPS 35 ▼ e la lettura del libro Introduzione alle stelle : Elementi di astrofisica, 36 ▼ contenente le nozioni basilari sulle caratteristiche fisiche delle stelle, sul loro bizzarro percorso evolutivo e sulla formazione degli elementi chimici.

Il giovane socio Paolo Leoncini si era già applicato all'osservazione e allo studio della periodicità della curva di luce di alcune stelle variabili denominate "Cefeidi", pubblicando alcuni interessanti lavori sul Bollettino SAUPS 37 ▼ e tenendo qualche anno prima alcune conferenze al riguardo. Decisi quindi di chiedergli qualche consiglio e Paolo si dimostrò molto disponibile nel fotocopiarmi le dispense ciclostilate della Sezione Stelle Variabili dell'Unione Astrofili Italiani. In quella documentazione era descritto il metodo di Argelander, 38 ▼, un procedimento qualitativo per stimare visualmente un incremento o una diminuzione di luminosità della stella variabile, rispetto ad altre stelle di confronto poste nelle immediate vicinanze e di magnitudine nota, nonché alcune tecniche di riduzione statistica dei dati, per rappresentare con un grafico tale variazione di luminosità in funzione del tempo.

Iniziai ad osservare le stelle variabili dal balcone della casa di Sampierdarena ogni notte serena e con estrema regolarità, dapprima utilizzando il binocolo San Giorgio ESA 6x30 e successivamente con un SkyMaster 7x50.


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Figura 24 – Il binocolo usato per osservare le stelle variabili dal 1980 al 1996
(2022)


Mi dedicai principalmente all'osservazioni visuale delle variabili Cefeidi e di tipo Omicron Ceti (Mira), per poi estendere il mio campo di interesse anche alle RR Lyrae ed alle variabili Semiregolari. Imparai a conoscere queste classi di stelle variabili e le cause fisiche che ne determinano la pulsazione attraverso il testo del prof. Leonida Rosino intitolato Le Stelle Variabili, 39 ▼, un'autorevole monografia molto apprezzata a quel tempo, ma anche grazie alla lettura di alcuni paragrafi (non sempre di facile apprendimento) dedicati all'evoluzione stellare nelle dispense del Corso di Astrofisica, che il prof. Bruno Cester teneva negli anni '70 presso la Facoltà di Astronomia dell'Università di Padova. 40 ▼


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Figura 25 – L'atlante stellare edito da The American Association of Variable Star Observers
ed alcuni "testi sacri" consultati all'epoca
(2022)


Perché decisi di intraprendere, da un cielo cittadino non esente da inquinamento luminoso, l'osservazione di quei lontani "puntini dalla luminosità variabile"?

Innanzitutto la soddisfazione nel cercare una stella che, tra la moltitudine di astri visibili sulla volta celeste, avrei potuto caratterizzare attraverso l'osservazione della sua luminosità nel corso del tempo. Poi, la scelta personale di poter osservare ogni notte serena (con un binocolo) dal balcone del mio appartamento, comodamente seduto su di una sedia a sdraio, piuttosto che attendere le condizioni meteo favorevoli durante il fine settimana per spostarmi in un luogo più buio, fu un'altra importante motivazione. Infine, questa attività di ricerca era fattibile anche da un cielo cittadino, perché molte stelle variabili fino all'ottava magnitudine erano ancora osservabili in visuale, escludendo il periodo di plenilunio.

Gli anni più prolifici per questo tipo di attività furono tra il 1980 ed il 1993.

L'entusiasmo e l'impegno osservativo personalmente profuso divenne costante e crescente con il tempo e tra gli appunti scritti sui taccuini, dove ero solito annotare le stime di luminosità, riportai ad esempio che:

Pertanto, con buona approssimazione, la media annuale del numero delle notti serene dedicate all'osservazione fu intorno a 100-110: in pratica 1 notte su 3 il cielo sopra Sampierdarena risultò essere prevalentemente sgombro dalle nuvole.

5.1 Le collaborazioni

Sull'onda dell'entusiasmo, nei primi mesi del 1980, mandai la mia richiesta di adesione alla Sezione Stelle Variabili dell'Unione Astrofili Italiani (UAI), contattando così il responsabile Ennio Poretti che, a quell'epoca, era uno studente universitario iscritto alla facoltà di Fisica. 41 ▼ Con l'iscrizione all'UAI avrei potuto richiedere ulteriori e più dettagliate carte stellari per rintracciare in cielo le stelle variabili, partecipare a "campagne osservative" per contribuire allo studio della variabilità stellare di stelle poco note ed avere l'opportunità di pubblicare sulla rivista Astronomia della UAI. Ero al settimo cielo!

Il 26 gennaio 1982 Poretti mi scrisse una lettera con la quale mi suggeriva di inviare le mie stime visuali anche al Gruppo Europeo di Osservazione Stellare (GEOS), un'associazione nata nel 1973 formata (a quell'epoca) da circa un centinaio di amatori (per la maggioranza francesi, spagnoli, italiani e belgi) dediti all'osservazione di varie tipologie di stelle variabili attraverso tecniche visuali, fotografiche e fotometriche, con frequenti legami con il mondo astronomico professionale. 42 ▼

Fu così che, all'inizio del 1982, incominciai questa nuova avventura dedicandomi con entusiasmo ai diversi programmi osservativi che l'associazione proponeva e partecipando all'annuale congresso del gruppo, che a quel tempo si svolgeva nel mese di maggio a Marly Le Roi, un sobborgo residenziale vicino a Parigi, presso l'Institut National de la Jeunesse et de l'Éducation Populaire.


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Figura 26 – Congresso del Gruppo Europeo di Osservazione Stellare   (Marly Le Roi – Parigi, 1982)
Da sinistra: [???], Giuseppe Bianco, Carlo Pampaloni, Luca Maccarini, Francesco Acerbi, Andrea Manna.


Nell'estate del 1983 condivisi, insieme ad altri osservatori italiani ed al socio SAUPS Gianluca Nigro, l'esperienza della mia prima "campagna osservativa di stelle variabili" denominata "9° Campo Estivo del GEOS a siti multipli". 43 ▼ Dal 30 luglio sino al 17 agosto, gli organizzatori prepararono una lista prioritaria di stelle variabili da osservare congiuntamente dai vari campi osservativi ubicati anche in Francia, in Spagna ed in Belgio.

Per l'Italia Logarghena fu la località prescelta, situata a circa 42 km da Massa Carrara ed a 1000 m di altitudine sul livello del mare, in un sito osservativo privo di illuminazione distante 8 km dalle prime abitazioni. Dal 7 al 15 agosto, insieme a Nigro, a Baruffetti proveniente da Massa ed organizzatore logistico del campo, ed a Carlo Barani giunto da Milano ebbi l'opportunità di condividere una settimana completamente immerso nella natura e sotto un cielo stellato di una qualità e trasparenza paragonabile a quello ammirato qualche anno prima da Limone Piemonte.

In 7 notti utili potemmo osservare molte stelle variabili e collezionare complessivamente 2950 stime visuali di luce. Fu un'esperienza che ricordo ancora oggi con molto piacere, perché dal punto di vista umano mi permise di conoscere altri astrofili, con i quali in precedenza avevo avuto solo scambi epistolari o telefonici. Inoltre, durante le ore della giornata non dedicate al sonno ed al cibo, si instaurò tra i partecipanti un costruttivo dibattito/confronto sull'eventuale implementazione di programmi informatici a supporto dell'elaborazione e della riduzione statistica dei dati, soprattutto in virtù della nascente era informatica.

Suggerimenti e proposte posero le basi per future sinergie osservative, mentre le varie opinioni personali sulla dispersione delle stime di luminosità imputabili alla differente risposta spettrale dell'occhio umano tra i diversi osservatori furono lo spunto per interessanti discussioni, che si animavano generalmente durante le pause dedicate al pranzo.

Nel 1984, visto il successo dell'iniziativa dell'anno precedente, il GEOS organizzò nello stesso luogo un secondo campo osservativo estivo, che per l'occasione fu esteso anche ai "variabilisti" d'oltralpe (francesi, spagnoli e belgi), poiché non fu più riproposta l'esperienza dei "siti multipli".

L'evento ebbe una discreta affluenza: vi parteciparono i soci SAUPS Nigro e Marco Aluigi e l'amico Francesco Acerbi di Codogno, nonché qualche nuovo amatore come Antonio Maraziti, proveniente dal centro-sud d'Italia, ed un ragazzo fiorentino, Andrea Boattini, di qualche anno più giovane di me, che mi sorprese per come riuscisse a rintracciare con il suo Dobson campi stellari e oggetti estesi del profondo cielo in pochissimo tempo senza l'ausilio di un atlante stellare! Boattini, attualmente astronomo professionista, diventerà il più prolifico scopritore italiano di comete.


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Figura 27 – Secondo Campo Estivo del GEOS   (Logarghena – Massa, 1984)
Da sinistra, in piedi: Andrea Boattini [?], Andrea Manna, [???], [???], [???], Gianluca Nigro, Luca Maccarini, Edmond Nezry.
Accovacciati: Sandro Baroni, Carlo Barani, [???], Antonio Maraziti, Marco Aluigi.


5.2 La nascente era informatica mi viene in aiuto

Nei primi anni '80 l'informatica e gli home computer entrarono prepotentemente nella mia vita di astrofilo. Come già accennato, qualche anno prima avevo seguito un corso di programmatore in linguaggio Fortran IV presso l'Istituto Tecnico Commerciale, ad integrazione del programma di studi ministeriale per Ragionieri, imparando così a costruire i primi flow chart ed a scrivere qualche riga di codice di programmazione.

Tuttavia il Fortran non era il linguaggio più utilizzato, a quel tempo, su home computer come lo Spectrum ZX80, prodotto dalla ditta inglese Sinclair Research, oppure il VIC20 ed il C64, dell'americana Commodore. Queste macchine, che si connettevano ad un comune televisore analogico, contenevano in un case l'elettronica, la tastiera ed erano destinati per lo più all'intrattenimento, anche se era possibile programmarli con un software molto più intuitivo e di più facile comprensione rispetto al Fortran: un dialetto BASIC pensato per il gioco ed il tempo libero.

Incominciai ad accarezzare l'idea, che avrei potuto sostituire la "vecchia" calcolatrice ed i fogli di carta millimetrata, per calcolare il periodo e costruire la curva di luce di una stella variabile in funzione del tempo, creando dei programmi ad hoc in linguaggio BASIC e fu così che, ancora una volta, mi venne in aiuto l'amico Mario Pelissetto che nel frattempo, terminati gli studi al Liceo Scientifico, si era iscritto al corso di laurea in Ingegneria Elettronica dell'Università di Genova ed era diventato molto bravo nella programmazione.

Ovviamente Mario fu ben lieto di aiutarmi in questo nuovo progetto: i primi programmi e le prime fasi di apprendimento alla programmazione in BASIC li devo a lui, utilizzando il suo Commodore C64, ma nel 1983 – messe da parte molte "paghette settimanali" dei miei genitori – acquistai un pocket computer della CASIO, il modello PB-100, 44 ▼ che nonostante avesse una memoria RAM di soli 1,5 kbytes poteva scrivere, salvare ed eseguire programmi in BASIC. Poi comprai anche qualche altro accessorio come una piccola stampante termica (Casio modello FP12) e l'interfaccia per il collegamento ad un registratore a nastro magnetico (Casio modello FA3) per il salvataggio dei programmi che avevo scritto in BASIC.

Con questo piccolo computer, i suoi accessori e la consulenza informatica di Mario, realizzai un set di 18 programmi software, 45 ▼ che mi permisero di "automatizzare" l'intera gestione delle mie osservazioni, ossia dall'inserimento manuale dei dati osservativi grezzi (gradini di Argelander e periodo temporale) alla memorizzazione su nastro magnetico (audio-cassette) dei dati ridotti in magnitudine ed epoca giuliana, nonché la loro elaborazione statistica attraverso alcune metodologie (sequenza personale della magnitudine delle stelle di confronto, decalage e compositage della curva di luce), descritte nelle circolari della Sezione Stelle Variabili UAI, sino alla stampa finale della curva di luce su di una speciale (e costosa) carta argentata.


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Figura 28 – Il listato in BASIC del programma per "plottare" la curva di luce di variabili Cefeidi
eseguito dall'autore con il
pocket computer Casio PB100 e la stampante termica Casio FP12
(1984)


Parallelamente a questa attività, la raccolta delle stime visuale di luce continuava notte dopo notte, incrementando il numero di stelle variabili osservate e la possibilità di mettere a disposizione i dati raccolti agli astrofili di altre associazioni.

In quegli anni, ed in quelli successivi, le stime visuali che raccolsi e trascrissi nelle pagine dei miei taccuini incominciarono a diventare un numero statisticamente rilevante per incominciare a concludere qualche studio sulla curva di luce e verificarne il periodo.

Ricordo con piacere gli sforzi per reperire fonti bibliografiche per scrivere un articolo; ad esempio, sulla stella variabile VZ Cam ottenere le stime visuali raccolte dall'American Association of Variable Star Observers (AAVSO) oppure quelle effettuate dalla British Astronomical Association (BAA/VSS) richiese molto tempo. In un raccoglitore conservo ancora la lettera originale speditami nell'agosto del 1984, dopo tre mesi dalla mia richiesta, da Elizabeth O. Waagen, assistente della direttrice Janet A. Mattei, con il listato ed il relativo plot delle osservazioni visuali compiute dall'AAVSO negli anni 1979-1984, mentre nell'ottobre dello stesso anno ricevetti dal direttore Doug Saw della BAA/VSS quelle tra il 1968 ed il 1970.

A quel tempo il motore di ricerca sviluppato al giorno d'oggi dalla piattaforma Google era ancora un sogno irrealizzato e per rintracciare altro materiale bibliografico dovetti impiegare parecchi mesi, recandomi a più riprese dapprima alla biblioteca civica Berio a Genova e poi a quella universitaria della Facoltà di Fisica e sfogliando l'indice di intere annate della rivista Sky & Telescope. In seguito, l'amicizia con il socio SAUPS Roberto Alfano mi aiutò a scoprire una fonte primaria di informazioni utilissima e mirata allo scopo, come il Bibliographic Catalogue of Variable Stars (BCVS) distribuito dal Centre de Données Stellaires (CDS) di Strasburgo: 46 ▼ un catalogo disponibile su microfiches, ma consultabile in Osservatorio con il lettore messo a disposizione dal socio SAUPS Giuseppe Chiodo.

Iniziai a pubblicare lo studio della curva di luce di qualche stella variabile sul Bollettino SAUPS 47 ▼ ed in conseguenza dell'amicizia che mi legò ad altri astrofili conosciuti durante le campagne osservative del GEOS, intrapresi una collaborazione osservativa su alcune variabili a lungo periodo con la sezione stelle variabili del Circolo Astrofili di Milano (CAM). Nel 1986 riuscii ad inviare alle redazioni di Coelum e Orione la bozza di un paio di articoli che furono accettati per la pubblicazione. 48 ▼

Trascorso un decennio, il trasferimento a Milano per motivi di lavoro non assopì la mia passione per l'osservazione visuale delle stelle; tuttavia il maggior inquinamento luminoso della città mi costrinse ad osservare altri tipi di astri ed approcciare nuove tecniche osservative, scoprendo come la fotografia con l'ausilio di apparecchiature digitali, ed equipaggiate con opportuni filtri a banda stretta, potesse offrirmi molte opportunità per divertirmi ancora a lungo con l'astronomia.


6. Astrometria cometaria

Quel pomeriggio, nei primi giorni del mese di novembre del 1987, mi accingevo a raggiungere, a Sestri Ponente, il piazzale della Costa, dal quale, salendo per una mulattiera e superata la linea ferroviaria Genova-Casella, avrei raggiunto a piedi l'edificio dell'Osservatorio Astronomico della Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese il cui piano cupola, ubicato a 124 metri slm, si ergeva verso un cielo terso dove da lì a poco avrei visto transitare la cometa Bradfield. Codificata dal Minor Planet Center di Cambridge (USA) come 1987s (denominata definitivamente C/1987 P1), fu avvistata per la prima volta l'11 agosto 1987 dall'astrofilo neozelandese William Ashley Bradfield.

Davanti al pian terreno dell'Osservatorio mi aspettava Roberto Alfano, il redattore del Bollettino della nostra Sezione Astrofili, ma anche colui che stava credendo in un interessante progetto per il neonato Osservatorio, un'opportunità di ricerca in ambito astronomico a cui sono grato per averla condivisa insieme a me: l'astrometria fotografica.

Roberto, dopo avermi salutato con un largo sorriso di intesa, aprì la porta dell'Osservatorio e velocemente sgattaiolammo all'interno. Attivato il pannello generale della corrente elettrica, accendemmo il computer IBM 5120 che, con alcuni suoni brevi e acuti, interruppe il silenzio della stanza dando inizio alle sue procedure di inizializzazione hardware e software. Nel frattempo, saliti a due a due i gradini della scala esterna arrivammo al piano cupola, liberammo i lucchetti della piccola apertura laterale e velocemente entrammo all'interno per manovrare il meccanismo manuale di apertura e per predisporre la necessaria strumentazione ottica e meccanica.

Quella sera per osservare la cometa Bradfield usammo l'astrografo Aero-Tessar dal diametro di 100 mm f/6 costruito dalla Bausch & Lomb fissato sul telescopio riflettore Newton da 400 mm di diametro (f/4.7), che per l'occasione ne avrebbe gestito l'inseguimento e la guida. Avevamo portato con noi il corpo macchina di una reflex Zenit 122 (formato 135 mm) per fissarla all'astrografo attraverso un attacco a vite 42x1 autocostruito (in luogo del portalastre originale) ed un duplicatore di focale che avrebbe portato la focale equivalente dell'astrografo a 122 cm ed un campo visivo abbracciato di circa 2 gradi sulla diagonale di un negativo 24x36 mm.

Carte stellari, l'immancabile torcia rossa, un cronometro ed alcuni rullini della pellicola HP5 Ilford da 400 ASA in b/n completavano la nostra dotazione. La sera prima Roberto aveva sincronizzato il suo orologio da polso mediante il segnale diffuso dalla rete televisiva RAI, per essere in grado di stabilire con accuratezza l'epoca della foto astrometrica.

Quando fu pubblicata dal Minor Planet Center (MPC) la Circular n. 4460 del 3 ottobre 1987, della cometa Bradfield erano state compiute 50 osservazioni dagli osservatori professionali, che trasmisero i dati astrometrici di posizione al CBAT (Central Bureau of Astronomical Telegram) del MPC di Cambridge, permettendo agli astronomi di perfezionare gli elementi orbitali, inizialmente parabolici, in ellittici. La magnitudine apparente totale (m1) stimata nella circolare ai primi di novembre era intorno a +5,2, abbordabile anche da un cielo mediamente inquinato come quello di Genova. Alcune prove fatte in estate, con la stessa strumentazione, ci avevano confortato sul fatto che era possibile scorgere stelle di magnitudine apparente intorno alla +9,5 nell'oculare del crocicchio illuminato del telescopio Newton che fungeva da guida all'astrografo e pertanto decidemmo di tentare l'osservazione e la rilevazione della posizione attraverso una serie di riprese fotografiche a "largo campo".

La cometa sarebbe stata alta circa 40° sull'orizzonte a sud-ovest in prima serata, cioè un paio di ore dopo il tramonto, per cui avevamo il tempo per prepararci all'osservazione. L'intenzione era quella di riprendere la Bradfield, che il 5 novembre aveva una magnitudine apparente totale stimata di +5, verso le 18:30 ora solare, quando sarebbe transitata nella costellazione dell'Ofiuco, centrando la posa fotografica sulla stella SAO 122787 (coordinate equatoriali AR 17h47m18s Dec 01°50') di sesta magnitudine ed effettuando varie pose tra 1 e 3 minuti di esposizione. Nel frattempo sceso al primo piano dell'Osservatorio attraverso il computer IBM 5120 incominciai a stampare alcuni moduli, che ci sarebbero serviti per annotare i dati tecnici dell'osservazione e della ripresa fotografica una volta salito in cupola.

Giunto il crepuscolo, tutto era pronto per iniziare: attivammo il moto orario e controllammo lo stazionamento dello strumento. Roberto si occupò scrupolosamente del puntamento dell'astrografo, operando sul grosso pannello elettronico di controllo della ascensione retta e declinazione e successivamente all'oculare del Newton, da me coadiuvato nell'annotazione degli istanti e dei tempi di esposizione delle foto. Una "guida" accurata è molto importante in astrometria: con una stella di campo sufficientemente luminosa ed utilizzando un tempo di posa di un minuto avevamo stimato improbabile osservare il moto proprio cometario considerando la scala immagine dell'astrografo a quella focale pari a 170 arcsec/mm. Tuttavia facemmo molte pose della cometa, sovraesponendo sino a tre minuti per testare in seguito l'efficacia della guida ed i diametri stellari delle stelle di confronto ottenuti in fase di sviluppo del negativo. Tutto questo lavoro non fu del tutto inutile perché ci permise in seguito di affinare la tecnica ed i tempi di ripresa di successivi campi stellari.

Durante le esposizioni non utilizzammo alcun filtro fotometrico, sebbene l'astrografo Aero-Tessar fosse dotato di opportuno attacco per due filtri, uno rosso e l'altro giallo, di cui però non conoscevamo l'indice di rifrazione del vetro alla lunghezza d'onda passante ed il coefficiente di assorbimento, per poter attuare un corretto accoppiamento del filtro stesso con l'emulsione fotografica.

La pellicola utilizzata fu una Ilford HP5, che aveva il vantaggio di poter essere sviluppata in tempi brevi in qualunque laboratorio professionale e "tirata" a 800/1600 ASA senza accrescimento sensibile della grana.

Dopo un paio di ore l'osservazione terminò ed esausti, ma soddisfatti, "parcheggiammo" il telescopio e chiudemmo la cupola. Spento il computer e lasciatoci alle spalle l'Osservatorio, durante il passaggio in moto che Roberto mi diede verso casa, incominciammo ad abbozzare le idee per le fasi successive del progetto di astrometria fotografica.

In realtà, questo progetto iniziò ben prima di quella sera, prendendo corpo gradualmente sin dal 1983, ma fu in quel fantastico e frenetico anno, il 1987, che Roberto ed io fummo uniti in un sincero legame di amicizia e collaborazione, animati da una grande passione e che ci vide coinvolti entrambi in maniera paritaria nell'inventare, sviluppare ed applicare quelle idee che ci avrebbero permesso di intraprendere il cammino verso la "ricerca scientifica". Ricordo ancora con piacere le riunioni in casa di Roberto, quelle in Osservatorio seduti di fronte al computer IBM 5120, ma anche le innumerevoli discussioni intavolate al pub o al bar: indimenticabili furono gli incontri, soprattutto durante i freddi mesi invernali, al "Ragno Verde" un locale ubicato allora in zona quartiere Di Negro, prescelto perché i larghi tavoli erano i soli nel riuscire a contenere sia i molteplici appunti, che scrivevamo di nostro pugno sui moduli continui di carta per la stampante, nonché i voluminosi libri di testo che nel frattempo consultavamo ed infine i "metri" di listato di codice di programmazione che venivano sistematicamente srotolati lungo il bordo del tavolo. In quel posto, assecondati dalla generosità dei gestori che ci lasciavano stare lì anche per molte ore consumando (da ex studenti squattrinati) solo un paio di caffè, assaporavamo quello spirito di sana collaborazione che è alla base della "vera" ricerca.

Roberto fu tenace nel perseguire gli obiettivi anche nei momenti di difficoltà o di perplessità, che di volta in volta si celavano come fantasmi indesiderati dietro una formula matematica oppure in un difficile passaggio concettuale. Ed allora si dava da fare nel propormi e trovare soluzioni, attraverso la ricerca in biblioteca di ulteriori fonti bibliografiche o scrivendo lunghe lettere ad appassionati astrofili, come Ermes Colombini dell'Osservatorio Astronomico di San Vittore (Minor Planet Obs. Code 595) ubicato in provincia di Bologna, perché dalla ricerca dell'accuratezza della misura del dato astrometrico dipendeva la buona riuscita dell'intero progetto. Infatti, affinché le misure astrometriche di posizione potessero essere accettata dalla comunità scientifica e pubblicate nelle circolari del Minor Planet Center (un'organizzazione professionale operante presso l'Osservatorio Astrofisico Smithsonian di Harvard per l'Unione Astronomica Internazionale), occorreva raggiungere un'accuratezza minore o uguale a 2 arcsec e ciò, con gli strumenti ed i mezzi informatici di quel tempo, non era affatto banale nell'ambito dell'astronomia amatoriale.

La parte analitica del progetto fu eseguita da Roberto. Tralasciando volutamente l'aspetto teorico e matematico della questione per il quale si rimanda il lettore direttamente alla fonte in bibliografia, 49 ▼ il metodo delle "coordinate standard" (Turner's method) 50 ▼ fu quello applicato allo scopo di determinare la posizione astrometrica (in coordinate equatoriali) di un astro poco noto o sconosciuto impresso su uno o più negativi fotografici, rispetto ad un sistema di riferimento topocentrico (un osservatore situato sulla Terra).

In altri termini, nota la focale effettiva dell'ottica utilizzata con cui si scattava la foto e le coordinate equatoriali del centro della foto, con un minimo di tre stelle di confronto di posizione nota risultò possibile ricavare le coordinate equatoriali, come ad esempio quelle di un asteroide o di un cometa fotografata in cielo, disponendo di un buon catalogo stellare di posizione e di un macromicrometro con il quale fosse stato possibile determinare le "coordinate rettangolari" di tutti gli oggetti impressi sul negativo (dette anche "costanti di lastra") e da queste risalire, attraverso un processo iterativo (Runge-Kutta's method), alle coordinate standard dell'oggetto incognito.

Fu una grande fortuna disporre in Osservatorio di un macromicrometro professionale prodotto dalla allora ditta Carl Zeiss di Jena per impieghi di precisione. Roberto capì immediatamente l'importanza di quello strumento per gli scopi del progetto di astrometria ai fini della misura di grandezze lineari su pellicola o lastre fotografiche in vetro. Da un controllo effettuato in quegli anni, mediante analisi statistica, l'incertezza della lettura risultava essere di 0.002 mm!

La misurazione dei migliori fotogrammi ripresi quella notte della cometa Bradfield, insieme ad altri dati (schede osservative) che ci furono inviati dall'Osservatorio San Vittore relativi ad osservazioni precedenti di asteroidi e della cometa P1/Halley unitamente ad un confronto epistolare con Ermes Colombini (attivo in quegli anni presso l'osservatorio bolognese nella ricerca di asteroidi e comete), ci permise di affinare le procedura di calcolo per implementare un'efficace sistema di riduzione statistica dei dati al fine di ridurre l'incertezza della misura finale della posizione. Una collaborazione, quella tra l'Osservatorio di San Vittore e l'Osservatorio della SAUPS, avviata in quegli anni che si protrasse anche successivamente tra il 1988 ed il 1990.

A tal proposito mi piace ricordarne qualche passaggio: 51 ▼

[...] l'analisi statistica delle posizioni stellari desumibili dalle schede dell'Osservatorio San Vittore che mi hai inviato, è iniziata da alcune settimane. Voglio in questa sede ritornare, più estesamente di quanto è stato possibile in una nostra precedente conversazione telefonica, sull'argomento della terminazione delle stelle di confronto che, per un motivo o per l'altro, contribuiscono alla soluzione ai minimi quadrati con equazioni di condizione "molto" imprecise. Sto studiando quel metodo che Everhart, E., 1984, p. 96 del testo Cometary Astrometry, definisce "Focal Length of Telescope from Pair of Stars". Come è possibile osservare nell'articolo originale nessun aggancio statistico è presente nella formulazione che Everhart dà del metodo: nessuna conclusione basata su un approccio utile e rigoroso. In effetti la Tab. I ha una sola chiave di lettura: eseguire tutti gli accoppiamenti possibili (in numero Cn,k di combinazioni senza ripetizione di n=8 elementi in classi di k=2) delle distanze lineari s (dij, nei ragionamenti che seguono) e di quelle angolari O (ψij nel seguito). Dedurre i rapporti F (Fij nel seguito) che chiamiamo focale del telescopio ed osservare se vi sono ricorrenze di stelle di confronto nelle focali che si discostano dalla media [...]

Su questo argomento di discussione, Roberto ed io lavorammo molto per creare un processo, dapprima su input manuale e successivamente automatizzandolo al computer: la ricerca delle migliori "coppie" o "serie" di stelle di confronto di posizione nota intorno all'astro di posizione sconosciuta e la successiva operazione di "selezione/rigetto" di queste ultime unitamente ad una appropriata riduzione statistica ci avrebbe condotto a raggiungere quell'incertezza entro i 2 arcsec necessari per far accedere l'Osservatorio della SAUPS nel "monte Olimpo" degli Osservatori astronomici. 52 ▼

Il periodo di implementazione della procedura analitica delle coordinate standard sviluppata da Roberto confluì, nel volgere di un paio di anni, nella scrittura di circa 400-500 linee di codice di programmazione contenute in ognuna delle prime due "major release" del programma denominato Astrometric.

Personalmente in quegli anni, essendo appassionato anche di informatica, mi occupai di sviluppare la prima versione (giugno 1987) del codice di programmazione Astrometric scritto in linguaggio Basic, su di un "home computer" Commodore 128 (128K di RAM, processore 8502 a 8 bit - 2 Mhz). Successivamente, a seguito dell'acquisto di un un computer IBM PC-XT compatibile (512K memoria RAM, disco rigido da 20 Mb, scheda grafica Hercules e sistema operativo Microsoft MS/DOS 2.11), effettuai il "porting" del codice di programmazione della versione originaria scritta in Basic 7.0 (un tipo di Basic nativo negli home computer della Commodore) utilizzando l'interprete "GW-Basic Olivetti" e successivamente lo compilai in eseguibile attraverso il codice sorgente "Quick Basic Microsoft".

Fu così che nel marzo del 1988 nacque Astrometric 2.0 dotato di una interfaccia di input/output dei dati più professionale su di un monitor monocromatico a fosfori verdi, anziché tramite lo schermo dell'apparecchio televisivo. Inoltre, l'introduzione di numerose "subroutine" e migliorie apportate grazie al costante, prezioso e generoso contributo dell'amico Mario Pelissetto, furono fondamentali nell'ottimizzare righe di codice nel calcolo matriciale e nel primo grossolano procedimento di riduzione statistica.

Nel frattempo, terminati i numerosi test volti a raffinare le procedure ed i calcoli di riduzione statistica per raggiungere la migliore accuratezza delle misure sui residui delle stelle di confronto, con la versione 2.21 del programma finalmente fu raggiunta la fatidica soglia al di sotto dei 2 arcsec! Con questo risultato potevamo incominciare ad "astrometrare" seriamente.

E l'occasione non tardò ad arrivare, seppur con una grande dose di pathos: nell'estate del 1989 decidemmo di riprendere dall'Osservatorio della SAUPS la cometa Brorsen-Metcalf (1989o) 53 ▼ che avrebbe dovuto raggiungere la quinta magnitudine il 7 agosto, durante il punto di massimo avvicinamento alla Terra, ma un'inaspettata avaria al motore, da poco sostituito, che produce il moto orario del telescopio da 400 mm ed il tempo nuvoloso sembrarono mandare all'aria i nostri piani. Il 30 agosto 1989 riuscimmo comunque a riprendere la cometa Brorsen-Metcalf, che stimammo di sesta magnitudine, dalla postazione privata del socio SAUPS Guido Conte, a Cassinelle (AL), con un telescopio Schimdt-Cassegrain da 2030 mm di focale e 200 mm di apertura. Il 14 ottobre 1989 furono pubblicate sulla Minor Planet Circular n. 15134 le quattro misure di posizione calcolate con il programma Astrometric rel. 2.21:

1989 08 30.14131RA 08h 39m 00.95sDEC 31° 23' 11.5"
1989 08 30.14246RA 08h 39m 00.94sDEC 31° 23' 09.1"
1989 08 30.14316RA 08h 39m 02.20sDEC 31° 23' 07.6"
1989 08 30.16446RA 08h 39m 10.48sDEC 31° 21' 59.1"

Sulle ali dell'entusiasmo, da li a poco, le attività di sviluppo e migliorie del software diventarono più fluide e nell'aprile del 1990 nacque la terza versione del programma: Astrometric 3.0.

A seguito del cambio di scheda e monitor da Hercules a VGA (a quel tempo il "refresh" tecnologico in ambito informatico aveva tempi... su scala astronomica!) ed all'acquisizione e all'analisi dei tracciati dei records contenuti nei files dati del Kambach Observatory relativi ai principali (per quell'epoca) cataloghi stellari come il SAO e l'AGK3, Mario ed io creammo un codice che consentì il "live-link" con questi cataloghi (con una "chiamata" ad subroutine denominata "STARFIND") e che pertanto avrebbe permesso a me e Roberto di riprodurre a monitor o di stampare il campo stellare fotografato! Un'utilissima opportunità che sarebbe stata fondamentale durante l'individuazione e la scelta delle stelle di confronto. Ora, l'intero codice sorgente del programma ammontava a più di 1000 linee.


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Figura 29 – Le versioni del manuale tecnico del programma "Astrometric"
(2023)


Nel frattempo furono eseguite altre osservazioni : l'8 luglio 1990 dal Minor Planet Center fu pubblicato 54 ▼ un secondo set di posizioni astrometriche della cometa Austin (1989c1), un astro interessante che sarebbe dovuto diventare visibile ad occhio nudo nella primavera del 1990. Tuttavia, come spesso accade per questi oggetti celesti estremamente imprevedibili, non fu così: riprendemmo la cometa (denominata definitivamente C/1989X1) il 29 aprile 1990 quando raggiunse la mag. apparente di +4.5 e poco dopo il 4 ottobre 1990 fu la volta della cometa Levy (1990c), 55 ▼ oggi denominata C/1990 K1, di mag. +6 che fotografammo il 15 agosto 1990 con la collaborazione del socio Guido Conte, ottenendo anche in questo caso due posizioni astrometriche.

Al termine di una lunga e dettagliata lettera ad Ermes Colombini, 56 ▼ Roberto accennava a quelli che sarebbero stati gli sviluppi del software di elaborazione e riduzione dei dati astrometrici:

[...] così come proposti da Everhart, controlli e selezioni del miglior set di stelle di confronto sono oltremodo empirici (non fondati su considerazioni statistiche) e, quel che forse è peggio, interattivi per via del flusso considerevole di informazioni, dal computer all'operatore, e di decisioni, dall'operatore al computer. Praticamente, un'analisi interattiva dei dati, pure incompleta come quella che Everhart presentava al Workshop ESO, comporta tempi difficilmente inferiori ai 30-40 minuti. Astrometric 3.0 realizzerà molto più in 3-4 secondi, senza intervento alcuno dell'operatore, grazie all'uso del PROLOG e di una ben più estesa base di conoscenza. Altro vantaggio: la base di conoscenza, una volta fissata, viene applicata nelle decisioni prese dalla macchina (comune computer compatibile MS-DOS) in una concatenazione logica rigorosamente gerarchica; la stanchezza e/o carenza teorico-pratica dell'operatore non ridurrà più l'accuratezza delle posizioni astrometriche [...]

La subroutine che doveva essere scritta con il Turbo-Prolog della Borland rimase un'ottima idea, ma dopo averne tracciato la logica di esecuzione con un diagramma di flusso non fu mai implementata: la mia assunzione a tempo indeterminato alla Digital Equipment Corporation (DEC) e la partenza di Roberto da Genova, per svolgere gli obblighi di leva, a mano a mano ci sottrassero tempo ed energie per terminare l'ambizioso progetto software e per testarlo con la ripresa di altre immagini.

Negli anni successivi le nostre strade si divisero per scelte personali e professionali: ci allontanammo anche dalla Sezione Astrofili della UPS. Io andai a vivere a Milano e Roberto sull'Appennino bolognese per inseguire il sogno di diventare un astronomo. Ma la bellezza del cosmo è difficile poterla dimenticare ed a distanza di 30 anni ancora, come allora, alcune immagini di comete ed asteroidi da me fotografati e pubblicate in rete ci fecero incontrare nuovamente. Ma questa è tutta un'altra storia.


7. Conclusione

Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Dante Alighieri, Inferno, XXVI, 119-120.

Mentre riflettevo sui miei ricordi personali di giovane astrofilo, mi sono reso conto di quanta conoscenza ci abbiano insegnato gli Astronomi nel loro meraviglioso viaggio di indagine, spingendo lo sguardo verso un Universo sconosciuto e misterioso. Dall'osservazione del cielo ad occhio nudo al cannocchiale, dall'astronomia di posizione all'astrofisica e alla cosmologia, dalla mappatura della radiazione cosmica di fondo, alla scoperta degli esopianeti, sino alla rilevazione delle increspature dello spazio-tempo prodotte dalle onde gravitazionali, sono alcuni dei contribuiti che questa antica scienza ha dato al sapere umano.

L'evoluzione tecnologica sviluppata dall'uomo attraverso il proprio ingegno e la curiosità gli hanno permesso di scrutare il Cosmo attraverso i più potenti telescopi operanti a tutte le lunghezze d'onda dello spettro luminoso, sia dal nostro pianeta che dallo spazio, ed esplorare i pianeti del Sistema Solare per cercare altre forme di vita.

Durante la mia quindicennale esperienza nella Sezione Astrofili dell'Università Popolare Sestrese, ho avuto la fortuna ed il piacere di assistere ad una importante fase di transizione nel modo di concepire l'astrofilia e nell'avvicinarsi alla strumentazione astronomica necessaria a osservare le stelle: da quella "pionieristica" dei primi anni '70, appannaggio di (pochi) astrofili autocostruttori ed in generale del "fai da te", a quella, esplosa negli anni '80, a seguito della grande risonanza mediatica dovuta al progetto americano Apollo e al lancio delle prime sonde interplanetarie (Voyager I-II): eventi che contribuirono a far "riscoprire" la scienza astronomica al "grande pubblico" e a far nascere in Italia un mercato di telescopi e montature equatoriali importati dall'estero.

Non di meno assistetti anche ad un altro passaggio di testimone: negli anni '90 lo sviluppo dei primi modelli di sensori CCD per l'astronomia decretarono il lento declino dell'emulsione chimica fotografica e, successivamente, il paziente processo di sviluppo in camera oscura fu gradualmente sostituito dai primi rudimentali programmi software dedicati al digital imaging che iniziarono ad essere implementati sui personal computer.

Queste novità riuscirono a portare una ventata di grande entusiasmo, soprattutto per quelle nuove generazioni di astrofili che, come me, incominciarono a diversificare la propria attività astronomica, che era stata prettamente contemplativa, verso un percorso di avvicinamento alla ricerca astronomica.

Con il trascorrere dei decenni il progresso tecnologico ha radicalmente cambiato anche il modo di come osservare la volta celeste: al giorno d'oggi con un semplice tap su di un cellullare o sul tablet anche un neofita, purché sotto un cielo buio e con una discreta strumentazione, può riuscire a trovare, senza alcuna conoscenza in materia, gli oggetti del catalogo di Messier e molti di quelli contenuti nel più vasto NGC. Ormai non è un "sogno" tutto americano, come lo era allora, quello di poter possedere un piccolo osservatorio privato a costi tutto sommato non più così proibitivi. Ottiche di maggiore qualità e strumentazione meccanica assistita dall'elettronica assicurano agevolmente la visione degli oggetti astronomici ed una precisione nel puntamento al polo celeste inimmaginabile rispetto ai tempi in cui iniziai a muovere i primi passi verso questa meravigliosa passione.

Ma tutto ciò ha rivoluzionato il modo di essere astrofili?

Non credo esista una risposta univoca a questa domanda: i "puristi" dell'osservazione visuale potrebbero storcere il naso di fronte alla rinuncia del divertimento nell'imparare ad individuare ed inseguire un astro come facevano gli astronomi dell'800, mentre gli "astrofotografi" o gli astrofili dediti alla ricerca sarebbero entusiasti della tecnologia, perché permetterebbe loro di aumentare la quantità di oggetti da riprendere e la qualità dei lori studi. La scelta è soggettiva, dipendendo dalla mentalità con la quale ogni astrofilo desidera avvicinarsi all’osservazione della volta celeste che, non dimentichiamo, dovrà rimanere pur sempre un'attività piacevole.

Con un po' di nostalgia, ricordo le riunioni della SAUPS talvolta animate dai diversi punti di vista dei soci, che nel bene e nel male tracciarono la storia del nostro sodalizio: divulgazione o ricerca? Astrofili costruttori o astrofili osservatori? Sebbene il mondo dell'informazione sia diventato sempre più interconnesso attraverso le piattaforme dei social network ed i forum tematici, noto con rimpianto che tra le nuove generazioni di giovani si sta gradualmente perdendo quel genuino spirito di collaborazione e confronto, ma anche di rispetto reciproco e appartenenza, che ha contraddistinto la mia generazione.

Tuttavia, con il trascorrere del tempo, sono sorti altri problemi.

Nelle principali città l'inquinamento luminoso è diventato ormai sempre più invadente per poter sperare di osservare con il telescopio dal balcone di casa, come ho fatto per tanti anni: ad esempio, da una stima dell'associazione Cielo Buio, 57 ▼ dal 2012 al 2016 la luce notturna a livello mondiale è aumentata del 2%, ma si tratta di una stima ancora ottimistica perché questa analisi non considera l'emissione sotto i 500 nanometri delle nuove lampade a LED (bianche), che stanno sostituendo gradualmente quelle al sodio a bassa pressione (giallo-arancione). Di pari passo, purtroppo, anche la qualità del cielo notturno in montagna, a causa di un crescente turismo di massa, è peggiorata ed è sempre più arduo scorgere porzioni di cielo a basse declinazioni esenti da luci parassite.

Infine, da qualche anno la corsa allo spazio, rigenerata da parte di aziende private, sta inserendo in orbita bassa nuove costellazioni di satelliti per le telecomunicazioni, che in un prossimo futuro permetteranno ad ogni punto della Terra di essere connesso al World Wide Web. Ciò, però, disturberà ovunque la visione del cielo notturno, soprattutto al crepuscolo serale e mattutino, quando il transito in cielo di questi satelliti artificiali potrà interferire durante la ricerca di comete ed asteroidi.

Dunque la magia di un bel cielo stellato che ha ispirato poeti, scrittori, pittori, astronomi e tante Associazioni e Circoli di Astrofili è destinata a diventare uno sbiadito ricordo?

Con il trend attuale di crescente sfruttamento e distruzione dell'ecosistema ci sarebbero tutti i presupposti per prevedere un graduale "spegnimento" delle stelle dalla volta celeste sopra alle nostre principali città. Non è certo uno scenario troppo pessimistico ipotizzare che i nostri nipoti potranno osservare quei puntini luminosi chiamate stelle solo attraverso i proiettori dei Planetari. Pertanto, le associazioni di astrofili, gli amanti del cielo e tutta la comunità scientifica si dovranno adoperare con ogni sforzo possibile per richiamare ad una maggiore responsabilità verso il problema dell'inquinamento luminoso tutti quegli enti amministrativi locali preposti sul territorio a vigilare ed a far rispettare le regole contro l'emissioni luminose non a norma di legge, come lampioni stradali non opportunamente schermati e insegne pubblicitarie puntate verso l'alto irrispettose dell'ambiente.

Auspico che l'Astrofilia e le Associazioni di Astrofili possano trovare, nel frattempo, ancora la passione, l'entusiasmo e la forza di insegnare "all'uomo della strada", nell'esempio che ci diede il grande astrofisico britannico Steven Hawking: «Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi».

Cieli bui, sempre e ovunque!


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Figura 30 – Prima di salire al rifugio Torino
(Courmayeur, luglio 1986)




Appendice I – L'invasione dei telescopi giapponesi (1970-1980)

Le iniziali dell'azienda produttrice erano solitamente indicate, insieme a quelle del marchio commerciale, sulla targhetta posta sopra il fuocheggiatore. La curiosità di conoscere questo dettaglio mi ha indotto a cercare in internet qualche indizio sul costruttore del mio primo rifrattore attraverso le informazioni e le discussioni riportate sui principali forum italiani ed americani di amatori di astronomia Link esterno Astrofili.org, Binomania e Cloudy Nights. La ricerca che segue, pur non essendo esaustiva, può fornire un'idea della moltitudine di marchi ed aziende manufatturiere che operavano sul mercato a quel tempo.

In Europa, nei primi anni '70, il panorama dei maggiori produttori di ottica (inteso come obiettivi per macchine fotografiche o per cannocchiali terrestri e telescopi) era concentrato nella ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR), a Dresda, e nella ex Repubblica Federale di Germania (BRD), a Jena, dove risiedevano le fabbriche dei prestigiosi marchi VEB Zeiss Ikon e ZEISS Ikon Optical. A I 1 ▼

Oltreoceano, ed in particolar modo in Giappone, dalla fine degli anni '60 fino alla metà degli anni '70, la produzione di ottiche conobbe un periodo di grande espansione. Per quanto riguarda la costruzione delle ottiche e l'intubazione di telescopi rifrattori di piccolo diametro per il mercato consumer, il Giappone dispiegò un'incredibile quantità di brand che sebbene mantenessero, da un lato, una propria linea di produzione, dall'altro lavoravano anche per conto terzi. Pertanto ai tradizionali costruttori, si aggiunsero anche linee di prodotti registrati sotto differenti marchi, talvolta di aziende che ne curavano l'assemblaggio ottico e meccanico, talvolta di altre che si occupavano solo della loro distribuzione commerciale. La collaborazione tra i vari produttori di parti ottiche e meccaniche era probabilmente mirata a soddisfare sia il mercato interno, sia quello di esportazione che agli inizi degli anni '70 ebbe un grande boom economico in questo settore.

Nel sito Link esterno The history of the telescope & the binocular di Peter Abrahams, alla voce "Trademarks of optical manufacturers", ho trovato vari documenti che elencano i marchi dei maggiori produttori e distributori giapponesi censiti dal 1957 al 1973. The Japan Telescopes Inspection Institutes (JTII), l'organismo deputato al controllo ed alla certificazioni che gli strumenti fossero conformi ai rigidi standard di esportazione del governo giapponese, ad esempio nel caso dei binocoli, riportava la classificazione di più di 300 produttori di parti ottiche e di carpenteria tra il 1960 ed alcuni decenni dopo. Un particolare che non passava certamente inosservato era l'adesivo ovale dorato od argentato che recava la dicitura "PASSED JTII" incollato sul tubo del telescopio. Il colore dorato potrebbe indicare le date di applicazione tra il 1966 ed il 1972, mentre l'adesivo di colore argentato molto probabilmente quelle successive. Come già accennato, il marchio commerciale ed il produttore delle ottiche erano indicati su di una targhetta in allumino incollata o rivettata sopra il fuocheggiatore (in alcuni esemplari impressa sotto il carter metallico che protegge la cremagliera della messa a fuoco). Sulla targhetta si poteva chiaramente leggere il marchio commerciale del telescopio, talvolta accompagnato dalla dicitura "Astronomical Telescope Achromatic Coated Lens", il diametro e lunghezza focale in millimetri e lateralmente,ma in caratteri più piccoli, erano indicate con due o tre lettere iscritte all'interno di un cerchio (circle) o tra un rombo (diamond) le iniziali dell'azienda produttrice.

Attraverso una ricerca in rete, nella Tab.1, ho raccolto alcuni dei maggiori produttori giapponesi di telescopi rifrattori degli anni '70. Towa, Eikow e Yamamoto furono senz'altro quelli più prolifici e che probabilmente produssero le ottiche per alcuni marchi commerciali esportati sul mercato italiano nella prima metà del decennio.

Eikow e Yamamoto (che probabilmente acquisì Eikow nella prima metà degli anni '70) produssero sia intubazioni ottiche, sia doppietti acromatici di qualità. Ne sono un esempio i rifrattori nativi da D=77 mm e F=1000 mm (Eikow) e D=77 mm F=910 mm (Yamamoto) le cui ottiche, lavorate a mano da sapienti artigiani, si narra fossero costituite da (segrete) terre rare ed ancora oggi si possono considerare i precursori delle prestigiose lenti montate sui rifrattori apocromatici alla fluorite o negli oculari al lantanio. Non a caso, molti di questi vetri di qualità furono esportati per il mercato estero e capitò di trovarli assemblati nei rifrattori denominati Lafayette e Stein Optik.

Tanto per citare l'importanza del mercato giapponese, basti pensare che dal 1972, la nota azienda americana Meade Instruments Corporation fondata da John C. Diebel, iniziò la sua attività come importatore di telescopi "Made in Japan" della Towa Optical Manufacturing Company. Solamente nel 1977 con la piena operatività della fabbrica in Costa Mesa, in California, la Meade iniziò a produrre una propria linea di telescopi e montature che divennero negli anni a venire uno standard di riferimento per altri produttori di telescopi catadiottrici Schmidt-Cassegrain.

La grande varietà di marchi commerciali esistenti in quel periodo, nonché le operazioni di fusioni ed acquisizioni societarie di alcuni produttori di ottiche giapponesi intraprese nel corso degli anni 1970-80, hanno senza dubbio contribuito a creare in questo settore, soprattutto a distanza di cinquant'anni, molta confusione ed incertezza nell'attribuire una corretta identificazione tra produttori e rivenditori.


Sigla del produttore Produttore o distributore di ottiche Marchio commerciale ∅ obiettivo / focale (mm)
T nel cerchio

<Circle T>
TOWA Towa
Orbit
Crescent
Monolux
Stein Optik
60 / 800
50 / 600
60 / 800
60 / 800
60 / 700
W nel cerchio

<Circle W>
TOWA Stein Optik
Stein Optik
Focal
Jason
60 / 900
80 / 1200
40 / [incerta]
60 / 700
K nel cerchio

<Circle K>
KENKO Kenko
Kenko
Sears (mod. 6305-A)
Jason (mod. 415)
Revue
Astronomer Pallas
Pallas
60 / 800
60 / 710
60 / 900
60 / 700
60 / 910
60 / 710
60 / 710
SYW nel rombo

<Diamond SYW>
YAMAMOTO

[dopo il 1970]
Satellite
Bush
Sky Master
Perl
Palomar
Sport Master
Yosco
Milo
Mayflower
Perfex
Prinz Optics
Sears
Galaxy
108 / 1600
108 / 1600
108 / 1600
108 / 1600
101 / 1600
108 / 1600
76 / 1400
76 / 1400
76 / 1200
60 / 800
60 / 910
76 / 1200
60 / 800
Y rovesciata nel cerchio

<Circle Upside Down Y>
EIKOW

[prima del 1970]
Eikow
Hilkin
Zemex
Polaroscope
Stein Optic
Stein Optik
77 / 1000
77 / 1000
80 / 800
77 / 1200
60 / 400
77 / 910
BOL nel rombo

<Diamond BOL>
BUSHNELL OPTICAL LABORATORY, Inc Sky Chief II 60 / 910
H.O.C. HINO OPTICAL COMPANY Atco
Selsi
Mayflower
Mizar
Mizar
80 / 1000 [incerta]
80 / 910
80 / 1200
60 / 1000
80 / 1000
V nel cerchio

<Circle V>
VIXEN Super Halley SR-1000 100 / 1000
A nel cerchio
ASTRO nel cerchio

<Circle A>
<Circle ASTRO>
ASTRO OPTICAL CO. Ltd Astro T-Type
Astro S5 Typ
50 / 500
60 / 910
G e G rovesciata in una croce nel cerchio

<Circle G, backwards G, in a cross>
ASTRO OPTICAL

[e in seguito]

ASTRO OPTICAL IND. CO. Ltd
[sul marchio Royal / Tokio]
Royal

[nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]


Royal
Scope
60 / 910

60 / 1200

76 / 910
76 / 1200
C.O.C CARTON OPTICAL COMPANY [nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]


Iveco
60 / 910

60 / 1000
APL APOLLO LABS o
APOLLO BUSINESS & INDUSTRY

[acquisita da KOYU, poi VIXEN]
Mayflower
Bushnell
60 / 700
60 / 910
AvA nell'ovale

<Oval AvA>
TAKAHASHI Swift

[nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]
77 / 1000

50 / 700
[assente] KOYU CO. Ltd.
Tokio
Vixen 60 / 910
TJK nel rombo

<Diamond TJK>
TOYO JITSUGYO KOGAKU Bushnell
Galaxy
80 / 1200
60 / 800
SPI nel rombo

<Diamond SPI>
SOUTHERN PRECISION INSTRUMENT CO. [nessun marchio commerciale
indicato sulla targhetta]
60 / 1200
Z nel rombo

<Diamond Z>
TANZUTSU Pathéscope
Vision
Sears
Jason
40 / 400
60 / 700
60 / 900
60 / 700

Tabella I – Alcuni modelli di rifrattori giapponesi degli anni Settanta




Appendice II – Fantascienza in tv e al cinema (1970-1984)

È difficile non essere catturati dall'interesse per la Fantascienza quando si è appassionati di Astronomia. Una questione su cui spesso capita di riflettere è se un giorno troveremo nell'Universo forme di vita simili alla nostra. L'affascinante tema della vita extraterrestre e dei viaggi nello spazio diventò un filone letterario popolare e di grande successo cinematografico negli anni della cosiddetta "corsa allo spazio", culminata con la conquista della Luna.

Agli inizi degli anni '70, incominciai ad acquistare in edicola i volumi della serie Classici Fantascienza Urania, una collana di libri nota e ben avviata edita da Mondadori, attratto anche dalle bellissime fotografie e dagli artistici disegni che erano impressi sulla prima pagina di copertina. Difficile dimenticare le ristampe di alcune opere di Arthur C. Clarke come Incontro con Rama, La sentinella e Spedizione di soccorso, oppure Il pianeta proibito di W.J. Stuart, A II 1 ▼ o, tanto per citare qualche opera da cui furono tratte delle trasposizioni cinematografiche, Viaggio allucinante di Isaac Asimov, Cronache marziane di Ray Bradbury e Solaris di Stanislaw Lem. Naturalmente anche i film di fantascienza, con il fascino irresistibile dell'avventura e delle invenzioni tecnologiche, contribuirono ad alimentare in maniera preponderante la mia passione per l'Astronomia.

Le serie televisive Link esterno Thunderbirds, UFO e Spazio 1999 fanno parte ancora oggi dei miei più bei ricordi adolescenziali, nonostante siano trascorsi cinquant'anni dalla messa in onda di quei telefilm. Gli episodi delle tre serie televisive furono ideati e prodotti tra il 1964 ed il 1977 per la televisione britannica dai coniugi Gerry e Sylvia Anderson e trasmessi dalla RAI negli anni Settanta. Più precisamente, i primi episodi di UFO furono mandati in onda dal 1970 alla domenica pomeriggio, nella fascia dedicata alla "Tv dei ragazzi", Thunderbirds fu trasmesso dal 1975 al 1976 in varie fasce orarie, mentre il primo episodio di Spazio 1999 fu trasmesso il 31 gennaio 1976 in seconda serata.

Senza alcun dubbio gli episodi di UFO e Spazio 1999 furono quelli che più mi appassionarono in quegli anni. Come non ricordare la fredda determinazione di Ed Straker, a capo della S.H.A.D.O. (Supreme Headquarters Alien Defence Organization) o le ponderate scelte del comandante Koenig della Base lunare Alpha? A seguito del successo di pubblico che ebbe soprattutto Spazio 1999, ricordo che la casa editrice AMZ pubblicò, a partire dal 1976-77, una serie di libri illustrati con le immagini di alcuni episodi dei telefilm e realizzò due diari scolastici (che ovviamente acquistai), mentre la ditta Clementoni mise in commercio un gioco da tavolo ispirato all'intera serie. Anche le Edizioni Panini resero omaggio alla serie pubblicando due raccolte di figurine. Fortunatamente negli anni avvenire tutti gli episodi delle tre serie televisive furono raccolti e riprodotti in DVD e venduti in eleganti cofanetti di cartone che mi precipitai ad acquistare.


Composizione originale

Figura 1 – I primi cofanetti delle serie televisive Spazio 1999, Thunderbirds e UFO


Credo che molti miei coetanei ricordino queste tre serie tv e le rispettive avvincenti trame, ma per i più giovani e per chi non le conoscesse rimando eventuali approfondimenti al sito Link esterno Moonbase '99, curato dal primo club italiano degli estimatori di Gerry Anderson e della fantascienza anni '60-'70-'80.

L'occasione per rispolverare gli indimenticabili episodi di Spazio 1999, mi capitò moltissimi anni dopo: il 13 settembre 1999 giorno del primo anniversario della data in cui la Base Alpha ed i suoi abitanti, a causa dell'esplosioni di un deposito di scorie nucleari contenute nel sottosuolo lunare, venne immaginata abbandonare l'orbita terrestre. Quell'episodio fu narrato nel primo telefilm della serie intitolato "Separazione" (Breakway). Pertanto, la settimana successiva partecipai a quella prima"convention" rievocativa alla quale confluirono da tutta Italia appassionati di fantascienza, fans della serie televisiva e semplici curiosi. L'evento fu organizzato in maniera impeccabile da Moonbase '99 e si tenne a Monza presso il Palazzo del Comune durante il week-end del 25-26 settembre 1999.


Fotografia originale

Figura 2 – La locandina della Mostra e della Convention della serie televisiva Spazio 1999
(settembre 1999)


La manifestazione si articolò in varie giornate e si svolse in concomitanza all'analoga "convention" americana di Los Angeles. Furono invitati Virginio Marafante (scrittore di libri di fantascienza), Giuseppe Festino (copertinista collana Urania), Johnny Byrne (uno dei più prolifici sceneggiatori della prima serie di Spazio 1999) e Franco Malerba (primo astronauta italiano della storia a bordo dello Space Shuttle Atlantis che fece parte della missione STS-46 lanciata dalla NASA il 31 luglio 1992). Tra un simpatico scambio di opinioni con i partecipanti all'evento su questo o su quell'altro episodio della saga, fu interessante e spettacolare assistere alla proiezione del documentario Vivere e lavorare nello Spazio realizzato dall'astronauta Franco Malerba.

Parallelamente alle brevi conferenze che si svolsero nella Sala consiliare del Palazzo Comunale, fu possibile visitare altre stanze del Comune nelle quali era esposta tutta l'oggettistica legata alla serie Spazio 1999, tra cui ricordo i modellini delle Aquile (le astronavi della Base Alpha), i plastici che ricostruivano sino nei mini particolari la base stessa, la riproduzione delle armi (pistole laser) in dotazione al personale della Base lunare, nonché altri oggetti di merchandising come magliette e poster. Nella quota di partecipazione alla manifestazione fu previsto anche un pranzo, che gli organizzatori tennero presso un ristorante del luogo, a base di un menù spaziale alle cui portate furono dati nomi originali e stravaganti, in onore a luoghi o personaggi incontrati nei vari episodi della serie.


Fotografia originale

Figura 3 – Le portate del pranzo spaziale
(26 settembre 1999)


Infine, nel pomeriggio rammento ancora con molto piacere la spasmodica attesa di tutti i partecipanti per il collegamento previsto con la convention di Los Angeles durante la quale sarebbe andato in onda e condiviso un inedito cortometraggio intitolato "Message from Moonbase Alpha" (Messaggio da Base Lunare Alpha) che nell'intenzione di Johnny Byrne, che ne ideò la sceneggiatura, e degli appassionati americani, che lo girarono in un garage con mezzi di fortuna, avrebbe dovuto gettare le basi per il proseguimento della serie televisiva, che sarebbe dovuta discendere dai personaggi originali ormai approdati su un nuovo pianeta abitabile.

Scontato concludere che fu una piacevole ed indimenticabile giornata!

Oltre alla fantasia, al carisma dei protagonisti e alle avvincenti trame, dalle quali talvolta è trapelata qualche inesattezza scientifica (come può accadere quando si esplorano angoli del Cosmo ignoti), il motivo che a mio parere ha reso questi telefilm indimenticabili è nell'aver prefigurato tecnologie che nel corso dei decenni successivi sono diventate reali.

Negli episodi di Thunderbirds fui affascinato dalla facilità con cui i razzi dell'International Rescue atterrassero sulla verticale e nel breve spazio di un atollo del Pacifico: nessuna rampa di lancio, nessun ammaraggio! Al giorno d'oggi, tutto ciò sta per diventare realtà ed il futuro dei vettori spaziali (delle principali compagnie commerciali) sarà il riutilizzo del primo e del secondo stadio attraverso una discesa controllata ed automatizzata dai computer di bordo all'interno del perimetro di uno "spazioporto" o sopra una chiatta ormeggiata in mare.

Il sistema di difesa e monitoraggio dagli oggetti volanti non identificati (UFO) nello spazio tra l'orbita della Terra e Base Luna, nei telefilm della serie UFO, erano affidati ad uno strano congegno dalla voce metallica dotato di antenne e parabole chiamato S.I.D. (Space Intruder Detector), che "allertava" il quartier generale del comandante Straker nel caso di imminenti minacce provenienti dallo spazio. Ebbene, da ormai quarant'anni, una fitta rete di satelliti per scopi militari e civili orbita intorno alla nostra Terra a varie altezze, monitorando incessantemente Terra e Spazio attraverso una tecnologia divenutaci familiare.

Infine, in Spazio 1999, le avventure di una colonia umana permanente ed autosufficiente sul suolo lunare (Base Alpha) implica che gli sceneggiatori abbiano immaginato una serie di innovazioni tecnologiche, come la creazione di una biosfera per la coltivazione di piante e la produzione di ossigeno, la costruzione di schermi di protezione contro le radiazioni solari ed i raggi cosmici, ma anche la trasformazione della regolite lunare in materiale da costruzione, tematiche scientifiche che sono sviluppate nel corso dell'attuale progetto Link esterno ARTEMIS, principalmente portato avanti dalla NASA con la collaborazione di altre agenzie spaziali internazionali come ESA, JAXA, CSA e partner commerciali, che prevederà la costruzione di una stazione lunare orbitante ed una base permanente al Polo Sud lunare in grado di essere autosufficienti e di poter mandare nei prossimi 10 anni il primo uomo sul pianeta Marte.

Nel decennio successivo alla conquista della Luna le due superpotenze di quel tempo, USA ed Unione Sovietica, misero in orbita le prime stazioni spaziali Saljut e Skylab ed il lancio delle sonde automatiche Mars, Pioneer e Viking verso il pianeta Marte, mentre sul finire degli anni '80 le missioni Voyager furono programmate per raggiungere Giove, Saturno e dirigersi ai confini del sistema solare.

L'entusiasmo attorno alla nascente "era spaziale" fece crescere la popolarità della fantascienza: nel 1968 fu prodotto e diretto da Stanley Kubrick il film 2001: Odissea nello Spazio, scritto assieme ad Arthur C. Clarke che nello stesso anno, ma a distanza di qualche mese dall'uscita del film nelle sale cinematografiche, pubblicò l'omonimo romanzo.

Non mi dilungherò sulla ben nota trama del film e sulla grande abilità del regista nel dirigere la macchina da presa, creando suggestive inquadrature e scene mozzafiato come nelle prime sequenze del film dove un branco di scimmie, agli albori della vita sulla Terra, incontra un Monolito, completamente nero e dalla forma di parallelepipedo, dal quale apprende quegli insegnamenti che lo porteranno alla supremazia territoriale, all'uccisione dei suoi simili, ma anche al progresso della civiltà. Il quell'osso lanciato in aria che solcando il cielo si trasforma in un razzo venne simboleggiata l'incredibile storia della conoscenza umana. Quattro milioni di anni più tardi – sempre nel 1999! – un Monolito sarà ritrovato dagli astronauti sul suolo lunare.

Assistetti alla proiezione di quel film nel 1970 al cinema Splendor di Sampierdarena. La complessità della trama e certi passaggi del film mi risultarono subito difficili da capire: ricordo che mi terrorizzò la scena finale in cui David Bowman, al culmine della sua vecchiaia, sdraiato sul letto vide apparire il Monolito e nel tentativo di toccarlo scomparve improvvisamente per poi riapparire trasformato in un feto. Al forte impatto emotivo che mi trasmise quella scena contribuì il lento incedere della cinepresa nell'inquadrare una stanza completamente arredata da un mobilio di colore bianco, mentre ai piedi del letto uno specchio appeso ad una parete rifletteva il volto pieno di rughe di Bowman.

Confesso che per comprendere compiutamente la bellezza della sceneggiatura e la maestria della regia cinematografica di 2001 Odissea nello Spazio dovetti rivederlo più di una volta e parecchi anni dopo mentre mi preparavo alla visione di quello che ne fu considerato il sequel e cioè 2010: l'anno del contatto, che fu proiettato al cinema nel 1984. Quest'ultimo film, tratto anch'esso da un successivo romanzo di Arthur C. Clarke ed ambientato in piena guerra fredda tra le due potenze spaziali, fu ben più modesto rispetto al capolavoro di Kubrick ed infatti deluse le mie aspettative.

In quel decennio apparirono una dozzina di pellicole del genere fantascientifico, ma a mio parere la fantascienza è sinonimo di avventura e tecnologia. In molti film proiettati non riscontrai quei presupposti, ovviamente del tutto personali, ed infatti Guerre Stellari rappresentò l'unico film davvero innovativo, sia per gli innumerevoli effetti speciali creati da una "grafica digitale" che muoveva i primi passi, sia per uno stile narrativo estremamente avventuroso, unitamente alla bravura interpretativa dei protagonisti. Questo film fu il preludio di una fortunata saga, la più longeva in assoluto nella storia della cinematografia mondiale di fantascienza, ma rappresentò anche il capostipite di un genere dove l'incessante azione, l'ancestrale lotta tra il bene ed il male e l'umana fragilità dell'uomo di fronte all'ignoto saranno ripresi come temi di successo da altri "cult movies" degli anni '80.




Appendice III – Cara vecchia pellicola

All'alba del terzo millennio le pellicole fotografiche sono diventate desuete e quasi del tutto abbandonate a favore della fotografia digitale e solo in rare occasioni vengono ancora utilizzate. Ai tempi in cui iniziai la mia esperienza di astrofotografo ne esistevano di tre tipi, che voglio ricordare per qualche giovane lettore abituato a fotografare con le odierne camere digitali equipaggiate con un sensore CCD o Cmos:

Il formato più diffuso in commercio era il "35 mm" con fotogrammi da 24x36: dimensioni in millimetri che rappresentavano il lato corto e quello lungo della pellicola fotografica, la cui sensibilità alla luce viene espressa in un valore numerico ISO (International Organization for Standardization), nato dalla fusione dello standard americano ASA – con valori equivalenti agli ISO – e di quello tedesco DIN. Valori piccoli, come ad esempio 25 ASA, rappresentavano una bassa sensibilità della pellicola fotografica, mentre 400 ASA corrispondevano ad una maggiore sensibilità, rendendo possibili esposizioni più brevi. Le emulsioni chimiche con maggiore sensibilità alla luce erano quelle che avevano la dimensione dei grani di alogenuro d'argento più grandi, rispetto alle pellicole meno sensibili caratterizzate da una "grana più fine".

La gamma di produttori e la sensibilità delle pellicole erano molteplici, ma nel campo dell'astronomia la scelta delle pellicole negative in bianco e nero era considerato un obbligo, in quanto queste emulsioni fotografiche si potevano sviluppare artigianalmente in casa – come già ricordato nel terzo capitolo, ciò era preferito da molti valenti astrofotografi della SAUPS – dando la possibilità di applicare procedimenti rivolti ad aumentarne la sensibilità nominale (tiraggio) utili quando si riprendevano soggetti deboli come nebulose e galassie, oppure quando si desiderava esaltare il contrasto con tecniche mirate di sviluppo e stampa (maschere di contrasto), nel caso di ripresa di pianeti in alta risoluzione in cui era necessaria una maggiore nitidezza del particolare fotografato ad elevati ingrandimenti.

Premesso che non sono mai stato un astrofotografo e che non lo sono neppure diventato oggi con l'avvento della fotografia digitale, le pellicole da me più utilizzate per i miei "esperimenti fotografici", come li ho sempre considerati, furono:

A dei prezzi proibitivi per quel tempo, ma soprattutto per le mie tasche di studente sempre squattrinato, era possibile acquistare, ordinandole direttamente alla casa madre e per un certo quantitativo, le famose pellicole pancromatiche della Kodak: una fra tutte la "mitica" (per me che ero un ragazzo, considerata anche "irraggiungibile") Technical Pan 2415, emulsione fotografica molto sensibile alla banda del rosso e del vicino infrarosso e quindi molto adatta per fotografare deboli nebulose, che emettono luce alla particolare lunghezza d'onda di 656,28 nanometri (H-α).

Oppure, per chi era un amante del "fai da te", con un po' di manualità e qualche cognizione di meccanica, poteva cimentarsi nel tentare di modificare un vecchio ed inutilizzato apparecchio fotografico, per tramutarlo in una "camera a freddo";A III 1 ▼ in pratica, dopo aver tolto l'obbiettivo fotografico ed averlo sostituito con un raccordo adatto per innestare il corpo macchina al fuoco diretto del telescopio, si procedeva a modificarne il dorso predisponendo un alloggiamento stagno ed impermeabile, che potesse contenere la pellicola a contatto con del ghiaccio secco, per mantenerla ad una temperatura di qualche grado centigrado sotto lo zero anche durante l'esposizione sotto il cielo. Questa tecnica consentiva alla pellicola di raggiungere una sensibilità nominale maggiore e quindi di abbattere il nemico più acerrimo dell'emulsione fotografica: il "difetto di reciprocità" che sancisce il limite oltre il quale, aumentando l'esposizione alla luce, la pellicola non riesce più ad impressionarsi ulteriormente.

Ma per i più "esperti ed evoluti astrofotografi", ricordo ancora con un po' di stupore e timore reverenziale l'ipersensibilizzazione tramite "forming-gas", un metodo molto diffuso in America, ma che tra gli anni '70-'80 incominciò ad essere applicato anche dagli astrofili italiani, soprattutto su quelle emulsioni come la già citata Technical Pan 2415, la cui sensibilità veniva aumentata considerevolmente. Il processo, molto complesso, era ben descritto nel libro Fotografia astronomica di Walter Ferreri, un astronomo che svolgeva la sua attività professionale presso l'Osservatorio Astronomico di Pino Torinese (To): questo era l'unico testo in italiano, che a quel tempo trattò la complessa materia della fotografia applicata all'astronomia. Un libro interessante ed ancora oggi attuale, ristampato ed aggiornato più volte, e diventato con il passare del tempo un punto di riferimento per molti astrofotografi.A III 2 ▼

E poi come non dimenticare le "gelatine", cioè i numerosi filtri in vetro (costosissimi perché già montati su di un telaietto) o in plastica (più economici perché tagliati in strisce) da applicare frontalmente all'obiettivo fotografico?

Quante "stelle strisciate" nel vano tentativo di inseguirle attraverso l'oculare dotato di un crocicchio illuminato da una debole luce rossastra! Quanti scatti sprecati per l'inesperienza o per la curiosità di provare una tecnica fotografica! D'altra parte i rullini delle pellicole contenevano 24 pose, al massimo 36, e bisognava farsele bastare...

Ma tra le piacevoli emozioni c'era anche l'attesa dello sviluppo ed il ritiro delle stampe o dei telaietti presso il laboratorio verso il quale mi recavo con tanta speranza nel giorno prestabilito, non avendo quasi il coraggio di vedere il volto del negoziante mentre mi consegnava la busta contenente le diapositive o le stampe in b/n. Talvolta, la consistenza della busta mi faceva supporre l'esito positivo dei miei "esperimenti fotografici", ma (ahimè) il più delle volte erano cocenti delusioni.


Fotografia originale

Figura 1 – Un rullino da 36 esposizioni di pellicola a colori 100 ASA





  Note

▲ 1   Si veda Total Solar Eclipse of 1999 August 11 Link esterno NASA Eclipse.

▲ 2   Si veda Link esterno Mario Pelissetto.

▲ 3   Sul versante della collina che guarda verso la foce del torrente Polcevera aveva sede, tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento, una delle specole del marchese → Paris Maria Salvago. Si veda anche Belvedere (Genova) Link esterno Wikipedia.

▲ 4   G. Corbò, Fisica per non fisici (Milano : Salani, 2015), pp. 48-49 Link esterno OPAC SBN.

▲ 5   Idem, pp. 49-50.

▲ 6   Gif animata tratta – provvisoriamente! – da Link esterno Our Vast Universe. L'immagine proviene, a sua volta, da Link esterno DeLeoScience (pagina inesistente il 28/11/2020, ma presente quanto meno dal 16/5/2021). L'animazione dovrebbe essere stata realizzata dal prof. John DeLeo, che insegna nel Link esterno Saratoga Springs City School District.

▲ 7   Alla storia dell'Osservatorio Astronomico di Genova, costruito dall'Università Popolare Sestrese e dal Comune di Genova, è dedicata una pagina specifica di → Urania Ligustica.

▲ 8   Nella prima pagina del Notiziario Culturale del marzo 1972 spicca il modellino della specola, realizzato da Amedeo Morini sulla base di un progetto preliminare. L'Università Popolare Sestrese aveva fatto stampare dalla tipografia Bettini un numero di copie molto più elevato del consueto, per far conoscere l'iniziativa e favorire le adesioni anche negli anni successivi.

▲ 9   L'autore della foto può essere → Silvano Galanti, che ha partecipato alla gita con la famiglia, ma non pare essere nel gruppo fotografato. Nonostante vari contributi (Riccardo Balestrieri, Silvano Di Corato, Tiziana Tortonese), l'identificazione delle quaranta persone non è ancora completa, dato che alle gite sociali, e a questa in particolare, hanno partecipato anche parenti e amici dei soci. Per eventuali segnalazioni ci si può rivolgere direttamente al curatore del sito, il cui indirizzo è in → Urania Ligustica.

▲ 10   D. Alfonso, Il gasometro non deve morire (29/6/2008) Link esterno la Repubblica. Il collegamento diretto all'articolo di Donatella Alfonso non è più attivo ante il 20/9/2023, perché il contenuto è diventato a pagamento; il testo dell'articolo è ancora disponibile nell'ambito della discussione Cornigliano e Sampierdarena: riconversione aree ex ILVA, nuova strada a mare e ristrutturazione Lungomare Canepa (2008) Link esterno FreeForumZone.

▲ 11   Alcune fotografie sono successive agli anni qui trattati, ma esemplificano quanto si poteva osservare visualmente, turbolenza permettendo, con uno strumento simile a quello descritto.

Data e ora di ripresa: 27-03-2010 21h52m (ora solare). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: SkyWatcher Black Diamond. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 127 mm focale 1500 mm. Rapporto focale: f/11.8. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtri utilizzati: IR-Cut. Camera: Webcam Philips Toucam Pro PCVC740K. Esposizione: filmato da 20 s a 30 fps. Elaborazione digitale: allineamento e somma dei migliori 324/601 frames con Registax 4.0.

▲ 12   C. L. Calia, Un anno passato a guardare le stelle (Milano : Ponte alle Grazie, 2016) Link esterno OPAC SBN.

▲ 13   Data e ora di ripresa: 23-11-2011 22h26m (ora solare). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: SkyWatcher Black Diamond. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 127 mm focale equivalente 3000 mm. Rapporto focale: f/23.6. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: fuoco diretto con lente Barlow 2x. Filtri utilizzati: IR-Cut. Camera: Webcam Philips Toucam Pro PCVC740K. Esposizione: filmato da 30 s a 30 fps. Elaborazione digitale: allineamento e somma dei migliori 842/900 frames con Registax 4.0.

▲ 14   P. Leoncini, "Osservare. I - Variabili Cefeidi", Bollettino SAUPS, 7 (1979), n. 28, maggio-agosto, pp. 8-13. F. Fontanelli, P. Leoncini, "Evoluzione Stellare I", Ibidem, pp. 14-15. L'elenco dei Bollettini è in → Osservatorio Astronomico di Genova.

▲ 15   Data e ora di ripresa: 15-07-2012 11h54m (ora estiva). Luogo di ripresa: Desio (MB). Strumento: KONUS Simplex. Configurazione ottica: Maksutov-Cassegrain diametro 90 mm focale equivalente 875 mm. Rapporto focale: f/9.7. Montatura equatoriale: SkyWatcher EQ5 SynScan. Tecnica utilizzata: proiezione dell'oculare (focale 20 mm). Filtri utilizzati: THOUSAND OAKS OPTICAL Class B in vetro. Camera: DSLR Canon 350D @200ISO. Esposizione: 1/125 s. Elaborazione digitale con Astroart 4.0.

▲ 16   Marco Milani ha poi diretto la rivista mensile Astronomia 2000, di cui sono apparsi 10 numeri da ottobre 1983 a luglio 1984.

▲ 17   La produzione del modello Vito B risale al 1954, quando questo apparecchio a corpo rigido fu l'evoluzione dei precedenti modelli a soffietto, fabbricati dalla Voigtlander dal 1939; la produzione delle Vito B continuò sino al 1971, "anno in cui l'azienda entrò in crisi e scomparve dal mercato" Link esterno Fotografia riflessiva. Il collegamento non è più attivo ante il 20/9/2023. Un profilo di questa linea di fotocamere è ad esempio in I. Matanle, Collezionare e fotografare con macchine d'epoca (Roma : L'Airone Editrice, 1994), p. 191 Link esterno Google libri.

▲ 18   Strumento: app. fotografico. Configurazione ottica: obiettivo focale 50 mm. Rapporto focale: f/3.5. Montatura: inseguitore autocostruito. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtro utilizzato: nessuno. Camera: a telemetro Voiglander VITO B. Esposizione: 5-10 min (?). Pellicola: Kodak Tri X (400 ASA). Elaborazione: scansione del negativo.

▲ 19   Strumento: Stein Optik. Configurazione ottica: rifrattore diametro 60 mm. Rapporto focale: f/12. Montatura: altazimutale. Tecnica utilizzata: accostamento dell'oculare (non precisato) del telescopio all'obb. fotografico. Filtro utilizzato: nessuno. Camera: a telemetro Voiglander VITO B. Esposizione: (non precisata). Elaborazione: scansione del negativo, ritocco fotografico con FastStone Image Viewer 7.5.

▲ 20   L. Maccarini, "L'eclisse di Sole del 30 maggio 1984", Bollettino SAUPS, 14, n. 43 (gennaio-aprile 1985), pp. 19-22.

▲ 21   L. Maccarini, G. Menni, "L'eclisse totale di Luna del 17/10/1986", Bollettino SAUPS, 16, n. 49 (gennaio-aprile 1987), pp. 23-25.

▲ 22   Strumento: Tecnosky TS65/420. Configurazione ottica: rifrattore apocromatico diametro 60 mm. Rapporto focale: f/6.5 Montatura: Vixen Super Polaris. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtro utilizzato: nessuno. Camera: DSLR Canon 350D. Esposizione: 9 frames di 30s @400ISO e 3 frames di 30s @800ISO. Elaborazione: somma e media dei frames con Astroart4.0, ritocco fotografico con FastStone Image Viewer 7.5, creazione clip animata tramite il sito GIFMaker.me.

▲ 23   Strumento: app. fotografico. Configurazione ottica: teleobiettivo focale 200 mm. Rapporto focale: f/5.6. Montatura: inseguitore autocostruito. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtro utilizzato: da saldatore. Camera: Reflex Canon AE1 Program. Esposizione. Esposizione: 1/250s. Pellicola: Ilford FP4 (125 ASA). Elaborazione: scansione del negativo.

▲ 24   Strumento: app. fotografico. Configurazione ottica: teleobiettivo focale 200 mm. Rapporto focale: f/5.6. Montatura: inseguitore autocostruito. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtro utilizzato: da saldatore. Camera: Reflex Canon AE1 Program. Esposizione. Esposizione: 1/125s. Pellicola: Ilford FP4 (125 ASA), Elaborazione: scansione del negativo.

▲ 25   Strumento: app. fotografico. Configurazione ottica: teleobiettivo focale 200 mm. Rapporto focale: f/5.6. Montatura: nessuna. Tecnica utilizzata: fuoco diretto. Filtro utilizzato: nessuno. Camera: Reflex Canon AE1 Program. Esposizione. Esposizione: 1/125s. Pellicola: Kodak Ektachrome 200 ASA. Elaborazione: scansione delle diapositive, allineamento e centraggio dei frames con Adobe Photoshop Elements 4, creazione clip animata tramite il sito GIFMaker.me.

▲ 26   B. G. Marsden, IAU Circular, n. 3796 (1983 May 4) Link esterno Central Bureau for Astronomical Telegrams.

▲ 27   NASA, Jet Propulsion Laboratory, California Institute of Technology, Comet Close Approaches prior to 1900 Link esterno Center for Near Earth Object Studies.

▲ 28   M. Fulle, Comunicazione rapida UAI, n. 66 (9 maggio 1983).

▲ 29   F. Schaaf, Comet of the Century. From Halley to Hale-Bopp (Copernicus, 1997) Link esterno Springer.

▲ 30   C. Guaita, L'esplorazione delle Comete. Da Halley a Rosetta (Milano: Hoepli, 2016), pp. 41-42 Link esterno OPAC SBN.

▲ 31   R. Balestrieri, "La cometa di Halley", Bollettino SAUPS, 14, n. 45 (settembre-dicembre 1985), p. 30.

▲ 32   Alex [A. Lotta], "Una gita per passione", Bollettino SAUPS, 15, n. 47 (maggio-agosto 1986), p. 15. D. Marcheselli, "Una gita per passione (2a parte)", Bollettino SAUPS, 15, n. 48 (settembre-dicembre 1986), pp. 6-7.

▲ 33   NASA, Jet Propulsion Laboratory, California Institute of Technology, Solar System Dynamics, Horizons System – Horizons Web Application Link esterno NASA.

▲ 34   Strumento: app. fotografico. Camera: Zenit 122. Configurazione ottica: obiettivo focale 58 mm, rapporto focale f/2. Esposizione: 40 secondi, su treppiede senza inseguimento. Pellicola: Scotch Chrome (800-3200 ISO, sviluppata a 3200 ISO). Elaborazione: scansione della stampa positiva. L'immagine è afflitta da forti gradienti e si nota la "grana" della pellicola.

▲ 35   F. Fontanelli, "Evoluzione stellare I", Bollettino SAUPS, n. 28 (maggio-agosto 1979), pp. 14-15.

▲ 36   S. Aiello, Introduzione alla stelle : Elementi di astrofisica (Firenze : Sansoni, 1979) Link esterno OPAC SBN.

▲ 37   P. Leoncini, "Variabili Cefeidi - Osservare I", Bollettino SAUPS, n. 28 (maggio-agosto 1979), pp. 8-13.

▲ 38   Sull'astronomo Friedrich Wilhelm August Argelander (Memel 1799 - Bonn 1875) Link esterno Treccani.

▲ 39   L. Rosino, "Le Stelle Variabili", Collana rivista Coelum, n. 1 (Bologna : Tipografia Compositori, 1979) Link esterno OPAC SBN.

▲ 40   B. Cester, Corso di Astrofisica (Milano : U. Hoepli, 1984 - quarta edizione) Link esterno OPAC SBN.

▲ 41   Ennio Poretti, astronomo dell'INAF Osservatorio Astronomico di Brera a Merate (Lc) è stato dal 2018 Direttore e Gerente, con mandato sino all'anno 2022, del Telescopio Nazionale Galileo (TNG) a la Palma (Canarie).

▲ 42   Nel 1982 lo International Directory of Amateur Astronomical Societies (IDAAS) riporta il GEOS come acronimo di "Groupe Etude et Observation Stellaire".

▲ 43   A. Figer, "Le 9° Camp d'ete du GEOS: sites multiples 83", Note Circulaire GEOS, n. 395 (7/1/1984), pp. 1-6.

▲ 44   The Casio PB-100 computer Link esterno The pocket computer museum. Il pocket computer Tandy/Radio Shack TRS-80 PC-4 (o Casio PB-100) Link esterno Settore Zero.

▲ 45   L. Maccarini, Libreria di programmi per l'elaborazione delle stime visuali delle stelle variabili con un pocket computer (maggio 1984, inedito).

▲ 46   W. Wenzel, "Bibliographic Catalogue of Variable Stars", Bulletin d'Information du Centre de Données Stellaires (1981), n. 20, p. 105 Link esterno SAO/NASA ADS.

▲ 47   L. Maccarini, "Osservazioni di variabili Cefeidi", Contributo, supplemento al Bollettino SAUPS n. 41 (1984).

▲ 48   L. Maccarini, "Il Gruppo Europeo Osservatori Stellari (GEOS)", Coelum, 54 (1986), n. 3, pp. 144-148 Link esterno SAO/NASA ADS. Idem, "La 'sequenza personale'", Orione, 9 (1989), n. 2, pp. 59-61 Link esterno SAO/NASA ADS.

▲ 49   R. Alfano, Astrometria Fotografica : Photographic Astrometry Techniques (1988), 130 pages, Edition published by Genoa Astronomical Observatory (Minor Planet Obs. Code 974) Link esterno ResearchGate.

▲ 50   W. M. Smart, Textbook on Spherical Astronomy (Cambridge, UK : Cambridge University Press, 1977).
A. Koenin, in Stars and stellar Systems, Vol. 2 Astronomical Tecniques (Chicago : The University of Chicago Press, 1963).
B. G. Marsden, E. Roemer, in Comets, Eds. L. L. Wilkening, M. S. Matthews (Tucson : The University of Arizona Press, 1982).

▲ 51   R. Alfano, Comunicazione privata (8/6/1989).

▲ 52   L'Osservatorio Astronomico di Genova – codice MPC 974 – è stato il primo osservatorio amatoriale nella provincia di Genova, il secondo in Liguria e il quattordicesimo in Italia ad essere catalogato dall'IAU Minor Planet Center. È stato infatti preceduto da: 107, Osservatorio "Geminiano Montanari", Cavezzo (MO); 126, Osservatorio di Monte Viseggi, La Spezia; 147, Osservatorio "Galileo Galilei", Suno (NO); 157, Osservatorio di Frasso Sabino, Frasso Sabino (RI); 204, Osservatorio "G. V. Schiaparelli", Campo dei Fiori (VA); 552, Osservatorio di San Vittore, Bologna; 565, Osservatorio di Bassano Bresciano, Bassano Bresciano (BS); 571, Osservatorio di Cavriana, Cavriana (MN); 587, Osservatorio di Sormano, Sormano (CO); 589, Osservatorio Santa Lucia Stroncone (TR); 595, Circolo culturale astronomico, Farra d'Isonzo (GO); 596, Osservatorio Colleverde di Guidonia, Guidonia Montecelio (RM); 610, Osservatorio di Vittorio Goretti, Pianoro (BO) Link esterno IAU MPC.

▲ 53   In seguito la cometa fu denominata definitivamente 23P/Brorsen-Metcalf.

▲ 54   Minor Planet Center at Cambridge, Mass., MPC Circular nos. 16480-16481, July 8, 1990, DOI 10.13140/2.1.1485.6481 Link esterno ResearchGate, IAU MPC.

▲ 55   Minor Planet Center at Cambridge, Mass., MPC Circular nos. 16935-16936, October 4, 1990, DOI 10.13140/2.1.4107.0889 Link esterno ResearchGate, IAU MPC.

▲ 56   R. Alfano, Comunicazione privata (21/6/1989).

▲ 57   L'inquinamento luminoso cresce a livello globale (23/11/2017) Link esterno CieloBuio.


▲Appendice I 1   Si veda Carl Zeiss - A History Of A Most Respected Name In Optics Link esterno Company Seven.


▲Appendice II 1   Anche le copertine di Karel Thole in: Incontro con Rama Link esterno Catalogo Vegetti, La sentinella Link esterno Idem, Spedizione di soccorso Link esterno Idem, Il pianeta proibito Link esterno Idem.


▲Appendice III 1   F. Fontanelli, G. Montaldo, Bollettino SAUPS, 11, n. 36 (maggio-agosto 1982), pp. 8-10.

▲Appendice III 2   W. Ferreri, Fotografia astronomica (Milano : Il Castello, 4ª edizione, 1994) Link esterno OPAC SBN.



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